Perché l’Occidente si autorinnega

Società | 19 dicembre 2024
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Presentato il 58° “Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2024”. Ogni pagina meriterebbe un approfondimento, tanto è - come sempre - ricca di indicazioni. Ci soffermeremo su due paragrafi. Apparentemente distinti, in realtà legati a doppio filo.
Struttura del Rapporto. Nel capitolo “Sindrome italiana” quattro focus: 1) Intrappolati nella sindrome italiana; 2) La guerra delle identità; 3) La mutazione morfologica della nazione; 4) La fabbrica degli ignoranti. Nel capitolo “I conti che non tornano” i ricercatori hanno indagato su: Più lavoro meno Pil; Il turismo su l’industria giù; L’Italia a corto di; Il divorzio tra città e campagne; Le ipoteche sul welfare. Compongono il capitolo “Fenomenologia del chiaroscuro” analisi riguardanti: Giovani, i disagiati e i salvati; L’imbuto dei patrimoni; Il florido mercato della sicurezza; Le asimmetrie delle emozioni: i luoghi delle relazioni e la solitudine tra le pareti domestiche. Infine nei due capitoli conclusivi trovano posto le analisi per settore: formazione; lavoro e rappresentanza; welfare e sanità; territorio e reti; soggetti e processi politici; media e comunicazione; sicurezza e cittadinanza.

La guerra delle identità

Leggiamo ne “La guerra delle identità”: “All’erosione dei percorsi di ascesa economica e sociale del ceto medio si sta accompagnando la messa in discussione dei grandi valori unificanti del passato modello di sviluppo (il valore irrinunciabile della democrazia e della partecipazione, il conveniente europeismo, il convinto atlantismo)”. Lo dimostra, riferisce il rapporto, il ritrarsi dalla vita pubblica, con un tasso di astensione che alle ultime elezioni europee del 2024 ha toccato un livello mai raggiunto prima nella storia repubblicana, pari al 51,7% (alle prime elezioni dirette del Parlamento europeo, nel 1979, l’astensionismo si fermò al 14,3%). Una diffusa indifferenza si rivolge verso quegli strumenti della mobilitazione collettiva che un tempo erano ampiamente utilizzati, visto che il 55,7% degli italiani oggi considera inutili le manifestazioni di piazza e i cortei di protesta.
C’è ancora una “sfiducia crescente nei sistemi democratici, dal momento che l’84,4% degli italiani è convinto che ormai i politici pensino solo a sé stessi e il 68,5% ritiene che le democrazie liberali occidentali non funzionino più”. Il rapporto raccoglie ancora l’opinione che “l’Unione europea sia una sorta di guscio vuoto, inutile o dannoso, se il 71,4% degli italiani è convinto che, in assenza di riforme radicali e di cambiamenti sostanziali, sia destinata a sfasciarsi definitivamente”.
Non ci si riconosce più nelle grandi matrici valoriali unificanti del passato, “poiché il 70,8% degli italiani esprime oggi un più o meno viscerale antioccidentalismo ed è pronto a imputare le colpe dei mali del mondo ai Paesi dell’Occidente, accusati di essere stati arroganti per via del presunto universalismo dei propri valori, per cui si è voluto imporre il nostro modello economico e politico agli altri”. Più precisamente, il 66,3% degli italiani attribuisce all’Occidente ‒ Usa in testa ‒ la responsabilità delle guerre in corso in Ucraina e in Medio Oriente (non a caso, solo il 31,6% si dice d’accordo con il richiamo della Nato sull’aumento delle spese militari fino al 2% del Pil) e il 51,1% è persuaso che l’Occidente sia destinato a soccombere economicamente e politicamente dinanzi all’ascesa di Paesi come la Cina e l’India.
Se non si può più salire socialmente grazie alle capacità personali, all’impegno, al merito, allo studio e al lavoro, vivendo dentro una società proiettata verso la crescita, allora, in una società che invece ristagna, il desiderio di riconoscimento può – e deve – essere appagato spostando la partita in un altro campo da gioco: quello della rivalità delle identità. Si ingaggia una competizione a oltranza per accrescere il valore sociale delle identità individuali etnico-culturali, religiose, di genere o relative all’orientamento sessuale.
La contesa può dispiegarsi sul piano formale, nella ricerca della codificazione di un preciso status giuridico, altre volte si svolge su un piano squisitamente simbolico, dentro una sempre più aspra dialettica sociale delle differenze, che implica l’adozione della logica “amico-nemico”. Il 57,4% degli italiani si sente minacciato da chi vuole radicare nel nostro Paese regole e abitudini contrastanti con lo stile di vita italiano consolidato, come ad esempio la separazione di uomini e donne negli spazi pubblici o il velo integrale islamico; il 38,3% si sente minacciato da chi vuole facilitare l’ingresso nel Paese dei migranti; il 29,3% vede come un nemico chi è portatore di una concezione della famiglia divergente da quella tradizionale; il 21,8% avverte ostilità nelle persone che professano un’altra religione.
La stessa inimicizia separa il 21,5% degli italiani dalle persone appartenenti a una etnia diversa, il 14,5% da chi ha un diverso colore della pelle, l’11,9% da chi ha un orientamento sessuale diverso.
“Sono dati – conclude il Censis - che rivelano il pericolo che il corpo sociale finisca per frammentarsi dentro la spirale attivata dalla costruzione di rigidi confini identitari, in cui le differenze si trasformano in fratture e potrebbero degenerare in un aperto conflitto”.

La “fabbrica” degli ignoranti

Efficace, di sicuro effetto, il titolo dell’altro paragrafo: “La fabbrica degli ignoranti”:
“Benché in Italia gli analfabeti propriamente detti siano ormai una esigua minoranza (solo 260.000), mentre i laureati sono aumentati fino a 8,4 milioni, ovvero il 18,4% della popolazione con almeno 25 anni (erano il 13,3% nel 2011), la mancanza di conoscenze di base rende i cittadini più disorientati e vulnerabili.
Non raggiungono i traguardi di apprendimento: in italiano, il 24,5% degli alunni al termine del ciclo di scuola primaria, il 39,9% al terzo anno della scuola media, il 43,5% all’ultimo anno della scuola superiore (negli istituti professionali quest’ultimo dato sale vertiginosamente all’80,0%); in matematica, il 31,8% alle primarie, il 44,0% alle medie inferiori e il 47,5% alle superiori (anche in questo caso il picco si registra negli istituti professionali con l’81,0%).
Si palesano profondi buchi di conoscenza in tutte le fasce di età anche in relazione a nozioni che si sarebbe tentati di dare per scontate. Con riferimento ai grandi personaggi e eventi della storia patria, il 55,2% degli italiani risponde in modo errato o non sa che Mussolini è stato destituito e arrestato nel 1943, il 30,3% (in questo caso il dato sale al 55,1% tra i giovani) non sa dire correttamente chi era Giuseppe Mazzini (per il 19,3% è stato un politico della prima Repubblica), il 30,3% non conosce l’anno dell’Unità d’Italia, il 28,8% ignora quando è entrata in vigore la Costituzione.
Con riferimento ai grandi personaggi e eventi della storia mondiale, il 49,7% degli italiani non sa indicare correttamente l’anno in cui è scoppiata la Rivoluzione francese, il 42,1% non conosce l’anno in cui l’uomo è sbarcato sulla Luna, il 25,1% ignora l’anno della caduta del muro di Berlino, il 22,9% non sa che Richard Nixon è stato un Presidente degli Stati Uniti (e non un grande calciatore inglese, come crede il 2,6%), il 15,3% non conosce Mao Zedong (o magari lo scambia per l’uomo più anziano del mondo, come fa l’1,9%) e, infine, il 13,1% non sa che cosa è stata la guerra fredda.
Con riferimento ai grandi scrittori e poeti italiani, il 41,1% degli italiani crede erroneamente che Gabriele D’Annunzio sia l’autore de L’infinito oppure non sa dare una risposta in merito, per il 35,1% Eugenio Montale potrebbe essere stato un autorevole presidente del Consiglio dei ministri degli anni ’50, il 18,4% non può escludere con certezza che Giovanni Pascoli sia l’autore de I promessi sposi e, infine, il 6,1% crede che Dante Alighieri non sia l’autore della Divina Commedia.
Con riferimento ai capolavori dell’arte italiana, il 35,9% cade nell’abbaglio di considerare Giuseppe Verdi l’autore dell’Inno di Mameli o comunque non ha una idea in proposito, invece per il 32,4% la Cappella Sistina potrebbe essere stata affrescata da Giotto o da Leonardo da Vinci, non da Michelangelo.
Le difficoltà di calcolo lasciano perplessi, se per il 12,9% degli italiani la moltiplicazione di 7 per 8 non fa necessariamente 56. E l’ignoranza regna anche in merito ai meccanismi istituzionali: più di un italiano su due (il 53,4%) non attribuisce correttamente il potere esecutivo al Governo, bensì al Parlamento o alla magistratura.
Sono dati che per molti italiani - è la sconsolata conclusione degli analisti Censis - pongono il problema di una cittadinanza culturale ancora di là da venire. E che lasciano prevedere una condizione di ignoranza diffusa anche nel prossimo futuro, quando le attuali giovani generazioni entreranno nella vita adulta e dovranno occupare posizioni di responsabilità. “L’ignoranza è una minaccia anche per la democrazia, se per i cittadini diventa difficile decodificare le proposte politiche, riconoscendo quelle fondate su presupposti falsi o con fini manipolatori”.

La “società superficiale”

Perché sovrapporre le analisi? Perché nel secondo paragrafo si annidano presupposti e spiegazioni di quanto fotografato nel primo. Viviamo nella “società sbrigativa”, strettamente imparentata con la “società superficiale” e con la “società della fretta”. E questo perché siamo convinti di essere esperti di tutto in quanto, all’occorrenza, andando su Google, ci documentiamo su date e avvenimenti. Ma possediamo le basi e le coordinate culturali della conoscenza che consentono di inquadrare in modo sistematico idee ed eventi, collocazioni storiche e geografiche? O quella del nostro tempo è solo una conoscenza random, spot, slegata? Ecco il punto. Abbiamo trasformato la supponenza in conoscenza. Ma senza il tuo telefonino a portata di mano anneghi nell’ignoranza.
Non stupiamoci poi dell’antisemitismo e dell’antiebraismo in fortissima ripresa, della paura dell’altro e del diverso specie se di religione differente dalla nostra. Non stupiamoci della disaffezione al voto, della mancata considerazione (se non vera e propria ostilità) nei confronti di un bene prezioso come la democrazia, al pari di altri beni preziosi come libertà, diritti civili, integrazione. Non stupiamoci dell’antioccidentalismo dilagante nelle società occidentali. Per quanto ci riguarda continuiamo a pensare incrollabilmente che nascere in Italia e in Europa sia stata una fortuna della nostra vita. E chiediamo agli ipercritici dell’Occidente e dell’Unione Europea – pur a considerare tutti i suoi difetti – se è preferibile vivere dalle nostre parti o nella Russia di Putin o nella Bielorussia di Lukashenko. O nella Cina di Xi Jinping. O nella Turchia di Erdogan. O in Israele, avanzatissimo sul piano tecnologico ma dalla sua fondazione nel 1948 sempre in guerra. O nella ricchissima Arabia Saudita dove solo dal 2017 le donne possono permettersi il lusso di guidare l’auto. O in Sudamerica. O in Africa. O negli Stati Uniti delle armi a centinaia di milioni nelle case, delle stragi nelle scuole e nelle università, della sanità avanzatissima ma appannaggio dei ricchi, ben più élitaria della nostra pur colpevolmente acciaccata sanità pubblica. Stiamo attenti a dimenticare - imperdonabile, ce ne pentiremmo amaramente – che la democrazia è stata inventata in Grecia e che la “repubblica” è stata inventata a Roma due millenni e mezzo fa. Che la lotta di classe ha avuto i suoi pensatori e la culla nel nostro continente.
Con tutte le sue magagne e imperfezioni, la democrazia rimane il sistema politico preferibile. Con buona pace dei propugnatori di concetti divenuti di facile presa non solo in nazioni dove storicamente non si è gustato il privilegio della democrazia ma anche nell’Occidente che si autorinnega quando – per usare il lessico Censis - si mette in moto la “fabbrica degli ignoranti” che alimenta la “guerra delle identità”.
 di Pino Scorciapino

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