Giorgia non sopporta il dissenso

Politica | 5 marzo 2025
Condividi su WhatsApp Twitter
Sono giorni di fuoco per la politica italiana. Non c’è parte di essa che, in un modo o nell’altro, non venga colpita. La maggioranza parlamentare e il governo stesso, con la strenua collaborazione di tutti gli uomini e donne dello staff-Meloni, sono abbondantemente impegnati a definire lo scempio della Giustizia. I lavori fervono nelle rispettive commissioni perché bisogna far presto e, soprattutto, bisogna essere veloci in modo che gli italiani – presi da un profondo sonno di assuefazione – non si accorgano di nulla.
Nei giorni scorsi, abbiamo assistito alla più rovinosa operazione di riforma della “giustizia”; una riforma fortemente proiettata verso una nuova Italia che prosegue sulla scia dell’eredità berlusconiana.
Un programma per l’oligarchia
In un articolo pubblicato alla fine del 2024, avevo già elencato buona parte delle riforme che il Governo aveva varato sul tema della Giustizia. Forse allora, ingenuamente, ci siamo illusi che fosse tutto finito anche se avevamo già preso atto di quel subdolo programma del Governo che vedeva il Paese plasmato di oligarchia.
Oggi siamo costretti a tornare sull’argomento per quanto si è verificato alla Camera dei deputati nei giorni scorsi; una delle pagine peggiori della vita parlamentare e di questa legislatura. Nessuno le ha mandate a dire, gli scontri sono stati sempre diretti, i toni sempre accesi hanno fatto da corollario allo scambio di insulti e provocazioni inviate con inaudita virulenza.
La Meloni è furente. Pubblicamente dice che “indagarmi è un danno alla Nazione, mi manda ai matti” (ma che lingua parla?).
Nonostante tutto preferisce la via della fuga evitando in tutti i modi di presentarsi in Parlamento per spiegare a deputati e senatori, ma soprattutto per spiegare ai cittadini come si siano svolti i fatti. Insomma siamo tutti d’accordo che un capo di Governo debba riferire al proprio Paese circa un avvenimento di una delicatezza unica, non solo perché rischia di mettere in crisi gli equilibri interni ma altresì non manca di creare fratture di carattere diplomatico con altri Paesi interessati, o meglio, direttamente coinvolti.
Ma sappiamo com’è la Meloni; non gradisce molto parlare ai microfoni, specie nelle sedi istituzionali; e così sceglie i social per evitare di confrontarsi con gli interlocutori. La premier ha scelto il luogo meno istituzionale per spiegare lo stato delle cose; così il consenso popolare potrà aumentare (sic!) in funzione dei follower piuttosto che sulla valutazione dell’attività dell’esecutivo.
Mi astengo dall’esposizione dei fatti riferiti alla vicenda dell’espatrio (l’argomento è stato trattato ampiamente dalla stampa e dai telegiornali) del terrorista e torturatore libico Njeem Osama Almasri Habish, avvenuto con l’aiuto e la copertura del Governo italiano che ha messo a sua disposizione l’aereo di Stato con tanto di insegne della bandiera italiana.
Le opposizioni hanno chiesto ripetutamente al capo del governo di riferire alle Camere come si sono svolti i fatti; il Paese ha bisogno di sapere con assoluta trasparenza quali motivi così reali e concreti, abbiano indotto il Governo a concedere la libertà a un terrorista pericoloso peraltro già gravato da un ordine di carcerazione emesso dalla Corte penale internazionale. Quali fantasiose elucubrazioni avrà dovuto fare il povero guardasigilli Nordio – al punto di dovere eludere una ordinanza internazionale in nome dell’acclarata pericolosità del soggetto (così ha detto il ministro). Attenzione!
Dunque apprendiamo ora che in tutti quei casi in cui necessita garantire la popolazione da atti terroristici o comunque violenti, piuttosto che incarcerare o espellere gli autori di detti atti inconsulti, potremo accompagnarli in Libia con tutti gli onori e confort possibili.
E, in tutta questa vicenda, la Meloni non si vede; continua a giocare con i social. Però, al suo posto, ha mandato alle Camere i due ministri Nordio e Piantedosi i quali sono scesi in campo con l’unico scopo di coprire le spalle alla premier apparsa assolutamente disarmata davanti a un caso di tale gravità. C’è n’è di tutti i sapori e colori in questa vicenda: il fatto principale è la complicità offerta al criminale al quale è stato concesso infine un passaggio comodo per ritornare a casa propria; ma c’è anche la violazione di un ordine di arresto della Corte penale internazionale, alla quale immagino che in qualche modo, il governo dovrà rispondere; infatti non c’è alcun dubbio sul fatto che il Governo abbia disatteso le disposizione di un Tribunale internazionale che la stessa Italia aveva voluto. In buona sostanza, il Governo, con la usuale arroganza, ha disconosciuto i poteri della Cpi, commettendo così un gravissimo atto di trasgressione.
Il Governo parla con i social
Poi c’è l’ipotesi di peculato a causa dei costi sostenuti dal Governo italiano per il viaggio in Libia; ma c’è anche il fatto che questo torturatore è in assoluta libertà a casa propria, dove potrà continuare a esercitare le sue attività illegali. E qui l’Italia ha fallito.
In tutto questo non possiamo dimenticare gli svarioni che la Meloni ha commesso nelle sue chat.
È ormai a tutti noto che la premier non solo non si presenta nelle sedi istituzionali per fornire spiegazioni del fatto, ma preferisce intervenire mediante chat che le consentono di dire ciò che vuole commettendo una lunga serie di errori veramente venuti alla luce pubblicamente che possono interpretarsi come errori.
Sono solo bugie esibite in false conferenze stampa come il più delle volte avviene, senza la presenza della stampa. Ma d’altronde cosa potrebbero fare o dire i giornalisti? Basta leggere i social, aggiungere un po’ di punteggiatura, condire con un po’ di barre, virgolette, chiocciole… e il gioco è fatto. Tutto ciò, ovviamente, in ossequio ai principi della trasparenza e della più sana democrazia.
La ragione è una sola: Giorgia non ama il dissenso; ciò che lei sostiene è la verità. Tutte le verità in assoluto. Pertanto evita gli incontri pubblici per eludere il confronto. E lo fa anche in Parlamento dove si presenta molto raramente.
Le ultime vicende sulle quali abbiamo ragionato non mancano di mettere il governo in cattiva luce; non c’è dubbio che oggi l’esecutivo stia soffrendo come non mai; credo che stia attraversando uno dei momenti più difficili e che quest’ultima vicenda dell’espatrio del terrorista, abbia contribuito a indebolire l’intera spina dorsale del governo Meloni. Ma non dimentichiamo i fatti dei giorni nostri riguardanti la politica estera, in particolare i rapporti fra i paesi belligeranti, nei quali la Meloni si è assunta ruoli impossibili.
Di fronte a tanto scempio, non riesco a comprendere come mai nessuno dei politici invochi le dimissioni del premier; cosa c’è di tanto sacro nel governo Meloni, da non potere prendere in considerazione la crisi di governo? In altri tempi – neanche molto lontani – questo governo sarebbe già caduto.
La forza dei fedelissimi
Ciò che sta avvenendo è di una gravità preoccupante, il Paese è a rischio costante e l’attuale ceto politico di destra non possiede la cultura necessaria per occupare posti di governo senza creare danni irreparabili.
Forse, con molta cautela, è legittimo pensare che la solidità di questo esecutivo risieda nella capacità della Meloni di attorniarsi di elementi a lei molto vicini (parenti, affini, amici, stretti conoscenti). Persone che le garantiscono il controllo politico e la continuità senza dover temere voltafaccia e infedeltà. Ma nonostante questo il bilancio del governo continua ad essere disastroso: le riforme già approvate – in particolare quelle sulla Giustizia e sulla magistratura – vanno nel senso dell’annichilimento della nostra democrazia e nella distruzione della nostra carta costituzionale.
Credo che sia chiara per tutti la visione, non troppo lontana, di un’Italia imbrigliata in una selva di nuove norme restrittive della democrazia e dei diritti umani di cui, probabilmente, quella parte di ceto più vulnerabile non si accorgerà neanche.
E allora è proprio lì che devono intervenire le opposizioni: ridare coscienza e conoscenza a tutta quella parte della comunità che ha rinunciato ad esercitare il proprio diritto di voto, per colmare quell’immenso baratro costituito dal perdurante astensionismo che ha la colpa di avere messo nelle mani di Giorgia Meloni il governo del Paese.
L’astensionismo in Italia misura oltre il 60%; questo vuol dire che l’attuale maggioranza si è formata solo con l’adesione del 40% degli elettori.
Bisogna fare in modo che le opposizioni si riprendano seriamente il proprio posto per recuperare gli astensionisti. Non è possibile accettare così supinamente che la destra governi in nome di tutto il Paese, privato, però, di oltre il 40% dell’elettorato attivo.
 di Elio Collovà

Ultimi articoli

« Articoli precedenti