Mezzo secolo di mafia e compromessi

Società | 18 marzo 2025
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“Fuori la mafia dallo Stato”. È così che si presentava la sala del teatro Golden di Palermo; non una sola poltrona libera, più di mille persone fra cui numerosissimi giovani. E tutti, in un immenso abbraccio di solidarietà, hanno offerto il loro contributo all’indirizzo di valorosi uomini delle istituzioni che stanno combattendo una lotta immane per frenare quella sciagurata politica posta in essere dall’esecutivo e dalla maggioranza parlamentare, affrancate dall’inerzia delle opposizioni.
Ma cos’è avvenuto di così importante? Saverio Lodato, ex cronista dell’Unità e scrittore, ha radunato in quella sala del teatro Golden tanta gente per raccontare la storia della Sicilia vista da una prospettiva particolare: la storia della mafia degli ultimi cinquant’anni. Ne sono passati quaranta di anni o quasi, da quando alla presenza di Giovanni Falcone, espose il primo dei suoi libri che raccontava i primi dieci anni di mafia. Forse, allora, Saverio non avrebbe mai immaginato che dopo quarant’anni avrebbe potuto infiammare le piazze, presentando un libro che, nella continuità, racconta altri quarant’anni di storia della mafia. Eppure, andando avanti nel tempo, man mano che venivano pubblicati i successivi libri, ogni dieci anni, lo stesso Saverio Lodato si accorgeva di avere raccontato non solo la mafia ma la storia del “potere” esercitato nel nostro Paese.
Quando ne ho terminato la lettura mi sono reso conto come questo libro non sia solo da leggere ma da consultare – come un’enciclopedia – tutte le volte che, per un motivo o per un altro, ci troviamo in difficoltà con i ricordi storici degli avvenimenti mafiosi.
Saverio Lodato ha fatto un lavoro pregevole sotto il profilo storico e della ricerca. La questione che più mi interessa e mi appassiona riguarda quella “chiamata alle armi” (ovviamente in senso metaforico), sotto il nome della “resistenza”. (È Nino Di Matteo che, aprendo il suo intervento, si rivolge ai giovani appellandoli come un “manipolo di resistenti” a cui è seguito un forte applauso di consenso). Lodato e tutti gli altri intervenuti hanno risvegliato nei giovani e negli anziani quel desiderio di rivalsa che dia finalmente una nuova spinta per mettere fine all’attuale esecutivo composto anche da amici, parenti e conoscenti del premier – una sorta di “cerchio magico” – che possa garantire l’andazzo del governo il cui programma è palesemente l’autoritarismo e il silenzio dei media. Proprio come nei regimi autoritari nei quali l’interesse dei governanti risiede principalmente nel tenere all’oscuro i cittadini di tutte le leggi, decreti e provvedimenti vari che vengono approvati alle spalle dell’inerte popolazione.
Ma noi non dobbiamo permettere a questo governo di usare il proprio dilagante potere per fare dimenticare ai cittadini la nostra storia.
C’erano tutti al teatro Golden, tutti quelli che contano e che rappresentano una gran parte delle istituzioni e della società civile: oltre a Lodato, ovviamente, c’erano Nino Di Matteo (ex consigliere togato del Csm), Roberto Scarpinato, (ex procuratore generale di Palermo e adesso senatore della Repubblica e componente della Commissione Antimafia), l’avvocato Luigi Li Gotti, Lunetta Savino che ha proposto la lettura di alcuni brani di storia mafiosa.
C’era anche Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, in collegamento remoto che ha attaccato Chiara Colosimo, presidente della Commissione antimafia nella quale sono stati messi sotto accusa Scarpinato e de Raho perché in conflitto di interessi. Una scelta politica in linea con la maggioranza. E c’era anche Giorgio Bongiovanni, direttore della testata “Antimafia duemila” con venticinque anni di attività.
Sono storie che hanno contribuito a far conoscere alla gente – soprattutto ai giovani – l’evolversi e la trasformazione di cosa nostra, raccontata da giovani volenterosi giornalisti, al fine di squarciare quel velo di omertà che impedisce la ibera informazione.
E non poteva mancare Sigfrido Ranucci, simbolo televisivo della lotta alla mafia che combatte quotidianamente l’omertà con una inaudita esposizione personale. L’incontro inizia con un audio-video che ripropone l’intervista di Giovanni Falcone a Saverio Lodato, quarant’anni addietro. Non posso nascondere d’aver provato una forte emozione nel risentire la voce di Falcone che già, fin d’allora, manifestava i suoi forti sospetti quando parlava, a Lodato, di “menti raffinatissime”.
Nel suo intervento Roberto Scarpinato parla di “borghesia mafiosa”: “una componente di un sistema criminale integrato che va a braccetto con altre componenti reazionarie della stessa classe dirigente. Hanno tutte un unico comune denominatore: odiano la Costituzione, la vivono come un corpo estraneo e il loro sogno è liberarsene in tutti i modi possibili”.
Ed ancora scandisce Scarpinato: “Questa maggioranza sta costruendo, giorno dopo giorno, un habitat ideale per gli interessi del vasto ed eterogeneo mondo della corruzione, per il mondo della borghesia mafiosa e delle nuove aristocrazie criminali della mafia del terzo millennio”.
Dunque è da questo pericolo che dobbiamo difenderci: quello di chi vuole riscrivere la storia del nostro Paese e quindi la Costituzione facendola diventare una Costituzione blanda, quasi insignificante, pronta a cancellare con un colpo di spugna le volontà dei nostri padri costituenti che con determinazione, ma anche con prudenza, hanno saputo scrivere il libro più bello della storia d’Italia.
Eppure sembra proprio che questo processo di metamorfosi sia già in corso velocemente fin dall’inizio della legislatura corrente.
La maggioranza parlamentare e l’esecutivo sono nelle mani delle destre più populiste che mai, prima d’ora, avevamo conosciute e che non garantiranno nulla di buono alla comunità. Intanto però il danno è già fatto: la cancellazione del reato di abuso d’ufficio, la separazione delle carriere fra giudici inquirenti e giudicanti, la modifica dell’obbligatorietà dell’azione penale, le limitazioni alle intercettazioni, e si potrebbe continuare anche per molto. Ma l’aspetto più importante non è tanto questo quanto il fatto che le riforme della giustizia, così come attuate dalla maggioranza parlamentare, non sono altro che quelle riforme volute da Silvio Berlusconi e dalla P2 di Licio Gelli. Perché, si sappia, Berlusconi non è ancora morto; le sue idee, i suoi programmi, le sue riforme, fanno parte di un virtuale lascito testamentario le cui varie parti sono l’oggetto programmatico dell’attuale governo.
Adesso vado alla ricerca della conclusione di questo racconto. Non credo di potere trovare espressione migliore se non quella che Roberto Scarpinato ha urlato al termine del suo intervento: “Sino a quando questa Costituzione sarà in vita sapremo da dove ricominciare e questa sala così piena è la dimostrazione che c’è un’Italia che non va nei giornali padronali, che non va nella tv di Stato. Un’Italia che esiste e vuole salvare questa Costituzione e dice ‘NO’ al sistema di potere mafioso”.
 di Elio Collovà

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