Nel cuore della Sicilia postmoderna

Cultura | 15 marzo 2025
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In letteratura, segnatamente in narrativa, si verifica quanto accade nella realtà, le trasformazioni indotte dall’era digitale segnano il cambio di scenari nella rappresentazione del mondo. A noi, rispettivamente nelle vesti di lettori da un lato, di cittadini dall’altro, tocca il compito di coglierne le mutazioni, di rifiutarli o, peggio, di ignorarle.
Al riguardo, il successo della formula del circolo di lettura, fiorito ovunque, in sostituzione del singolo recensore dell’opera, amplifica il concetto rendendolo intellegibile. Nel tumultuoso succedersi degli eventi, legati alla fase del postmodernismo, la funzione della cultura, in essa l’arte, si trasforma rapidamente, percepita al vaglio delle sensibilità soggettive, maturata nel confronto collettivo di idee.
Premessa per introdurre il testo emblematico nel quale mi sono imbattuto di recente, a segnare il superamento della linea di demarcazione tra passato e presente. Anche qui, una indispensabile precisazione riguardante il netto stacco tra la narrativa degli ultimi decenni del Novecento con gli esiti delle innovazioni apparse negli anni due del terzo millennio.
Ecco, quantunque in sintesi, delineato il quadro di riferimento di “Nulla d’importante tranne i sogni”, autrice Rosalia Messina, edito da Arcadia Eclypse.
Per esplicitare la premessa, il romanzo sarebbe adatto a contenere un occhiello, “Ritratto d’artista postmoderno”. Non tanto e non solo, a esergo della personalità letteraria della Messina, quanto per le atmosfere, i contenuti, la scrittura, in sé fluente, nondimeno da mondare in funzione assertiva.
Tra i più acculturati, chiunque si inalberasse, per il trasversale riferimento a “Dedalus. Ritratto dell’artista da giovane”, si dia pace, quantunque il paragone sia improponibile, il disagio espresso dall’inarrivabile James Joyce, ha tanto da spartire con il disperante tentativo di palingenesi in atto nell’ambito letterario globale, nel novero del quale s’inscrive la Messina.
A sceverare tra le righe del testo, per chi si muove nelle pieghe della narrativa del primo quarto di secolo del Duemila, sarà agevole cogliere il periodare insistito eppure irrompente, tutto imperniato sul fluire paratattico, dove le coordinate, in fila una dietro l’altra, rendono il flusso di coscienza una sorta di rimorso sociale per la deriva in cui sono precipitati i personaggi in scena, con loro la Sicilia, metafora del mondo.
Nell’attingere agli appunti vergati sul taccuino durante la lettura, la prima annotazione porta il segno del genere del romanzo, a catalogarlo psicologico si farebbe torto alla trasparente allegoria contenuta in favore degli aspetti sociali. E, pur tuttavia questa è una notizia, non siamo reiteratamente di fronte alla solita indagine sul più recente degli omicidi con il frusto poliziotto a caccia dell’assassino. In un’Italia in cui la giallistica ha agito da padrona, la potenza senza controllo della scrittura della Messina netta l’aria dalle scorie di esercizi intesi a lisciare il pelo al pubblico per il verso… imposto dal mainstream.
Va da sé, riguardo all’osservazione precedente, l’iperbole della potenza senza controllo, lungi dal riproporre la nota pubblicità, vuole solo essere la premessa per attendere sulla soglia della successiva pubblicazione l’autrice, nell’attitudine di scoprire le potenzialità nascoste dietro l’angolo di “Nulla d’importante tranne i sogni”. In quella capacità di organizzare la debordante fantasia creativa, calzante con l’utilizzo dei registri linguistici, sicuramente da rendere più snelli, insistendo per plasmare il periodo in speditezza e incisività, è racchiuso l’approdo del genere narrativo attualmente in sperimentazione non contemplato nei manuali di narratologia, affermatosi in questi anni due del ventunesimo secolo.
In più, da quell’unico sostantivo a campeggiare nella prima di copertina, sogni”, s’intuisce nella sua insita polisemia, la quintessenza della narrazione. Da solo vale la lettura del romanzo.
Sulla duplice ermeneutica poggia l’intero spartito semantico. A sua volta, fissato nel narrato attraverso due concetti chiave, uno tipico del nostro tempo, il desiderio sublimato in sogno, nel caso in ispecie quello di Dora Mariani, vissuta scrittrice, prestatasi a tenere a battesimo, nell’agone editoriale, la giovane promessa letteraria, Rosaria Mortillaro, detta Ro, vagheggia e insegue la voglia di portarla a letto. Da contraltare, sul fronte opposto, il sogno inteso nella sospensione dell’attività psichica superiore con l’immersione in impressioni visive, pensieri e sensazioni a latere delle immagini, proiezioni oniriche sedimentate durante il sonno. Nella finzione sarà Emir, figlio adottivo della protagonista, appunto Ro, a fungere da sognatore di traslucide fantasie rese dalla maestria dell’autrice tramite un retablo di colori, suoni, odori, con l’esito suggestivo di assegnare alle visioni la valenza della premonizione.
Evitando di annoiare chi desiderasse godere della lettura, basti notare la leggerezza con la quale il testo adotta tre voci narranti. Senza sforzo palese, dall’io della prima persona, abilmente distribuito, a seconda delle esigenze del plot, tra diversi personaggi, almeno due, impiegando il meccanismo della missiva, si passa al racconto affidato al narratore extradiegetico, si perdoni il tecnicismo narratologico, da intendersi fuori dalla cerchia dei personaggi. Altrimenti come dipingere il rarefatto e pur profondo dolore di Fosco Beltrami, nipote di Rosamaria Mortillaro, di fronte a un evento straordinario, del quale è vietato dire per non svelare il mistero, orchestrato per mezzo del climax, figura retorica a indicare l’apogeo degli eventi, uno dei tanti, a movimentare la scena del romanzo?
A reggere l’intero plot, l’approccio imperniato sul radicale scontro tra le sorelle Mortillaro, Rosamaria la maggiore, Annapaola la piccola, in un contesto di situazioni in cui luoghi, persone, ambienti, atteggiamenti, pensieri ed emozioni hanno sapori, odori, di una Sicilia di commoventi bellezze paesaggistiche, in commistura con un inesprimibile nulla.
Sullo sfondo della narrazione di Nulla d’importante tranne i sogni, la mescola tra la vocazione letteraria della protagonista, Ro, ovvero Rosaria Mortillaro, scrittrice di fama, con la crisi epocale della società attuale, trova il duplice sbocco sia nella scrittura, sia nei conflitti della quotidianità familiare, a loro volta riconducibili al buio interiore di ciascuno dei personaggi. Nella loro compulsante solitudine in una società di comparse, costoro si muovono nella nebbia del disorientamento, al pari dei soggetti evocati negli Anni perduti, a citare l’intramontabile Brancati, con il peso di una quotidianità da inferno dantesco.
Nello sviluppo della trama l’azione si combina con il narrativo, dando luogo a più racconti, stanze, dentro un’unica cornice. Di un tale effluvio beneficeranno i lettori. In ogni pagina, troveranno atmosfere riconducibili alla delezione dei tempi.
In favore della snellezza di esposizione, accenno per titoli a taluni argomenti, veri e propri topoi, all’origine dello spaccato narrativo della Messina, a mio parere giocato sulla istintualità, dalla danza della vita al limitare della fine, sceverata da Cioran nel “Funesto demiurgo”, alla “Morte del sole”, per usare la metafora di un saggio di Sgalambro, fino al rimpianto della religiosità perduta raccontata da Hillman nella “Vana fuga dagli dei”. Sì, nell’aura del romanzo s’avverte, nella disperazione irrimediabile della protagonista, Rosamaria Mortillaro, la deriva della società multimediale, privata dell’anima mundi.
Nel concludere la riflessione la sensazione predominante è stata di essere dinnanzi a un processo di svolta della narrazione contemporanea, generatrice di una gamma di sensazioni afferenti alla disperante voglia di dare un senso alla postmodernità, con essa alla vita.
angelo mattone (a.mattone@icloud.com)
 di Angelo Mattone

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