Il giornalismo strumento essenziale per la libertà e la democrazia

Società | 27 febbraio 2025
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Oltre 90 scuole collegate da tutta Italia riempiono il cuore perché danno forza a un progetto come quello educativo antimafia proposto e promosso dal centro studi Pio La Torre, questa volta incentrato sul ruolo del giornalismo come strumento per la libertà e la democrazia.
Quando si parla di legalità non è semplice coinvolgere i giovani nell'analisi di temi che rimandano la memoria di chi ha pagato con la vita la scelta civile di non volgere lo sguardo altrove. A cominciare dai giornalisti intimiditi, minacciati, uccisi. Basti pensare che nel 2024 sono stati registrati 134 episodi di minacce nei confronti di cronisti, 18 solo in Sicilia. Importante è fare arrivare questo tipo di informazione proprio ai più giovani, come quelli che si sono ritrovati nell’aula magna dell’Iti ''Vittorio Emanuele III'' di Palermo in occasione della conferenza su “Mafia, antimafia e media”. Evento aperto dalla presentazione del video realizzato dai ragazzi della stessa scuola che ha vinto l’edizione 2025 del premio Mario Francese.
«Su mafia, antimafia e giornalismo e informazione - dice il giornalista Franco Nicastro, direttore della rivista “A Sud’Europa” edita dal centro studi Pio La Torre, introducendo i lavori - si possono spendere tante parole. E partire da una considerazione: in questi ultimi tempi si assiste a una stretta che da un lato riguarda la magistratura e dall'altro l'informazione. Ci sono progetti di riforma che, in qualche modo, intaccano il potere giudiziario e forse anche l'autonomia della magistratura, ma ci sono anche altre misure, come l'introduzione di alcune norme giustamente definite norme bavaglio, che creano un intralcio all'esercizio della libertà di stampa. C’è un motto che compare sotto la testata del Washington Post, giornale di grande tradizione e storia gloriosa: “Democracy dies in darkness” ossia la “Democrazia muore nell'oscurità”. I giornali hanno questo compito, quello di accendere le luci».
Che cosa accade oggi?
«Accade che i giornalisti in questo momento sono un po' stretti tra le minacce della mafia e, come abbiamo visto, l'assedio soprattutto del potere politico con gli attacchi e le querele intimidatorie. C’è chi sottolinea il fatto che, specialmente negli ultimi tempi, il tema della mafia non è stato più al centro dell'agenda politica del Paese. Dobbiamo ricordarci che la mafia si combatte in tanti modi: con la coscienza civile di ciascuno di noi, ma anche con le misure antimafia rispetto al controllo di legalità e alle intercettazioni. Oggi c22 colleghi fanno il loro lavoro sotto scorta, ed è difficile fare il giornalista in queste condizioni».
Ma come si contrasta tutto questo? Non attraverso la lente del web ma continuando a mantenere un presidio quasi di legalità come quello rappresentato dalla carta stampata.
«Mi rivolgo soprattutto ai ragazzi - afferma Emanuele Lauria, capo della redazione palermitana di Repubblica - chiamati ad ascoltare storie che, in fondo, cominciano da lontano. Nel video che ha vinto il premio Francese un ragazzo fra i protagonisti dice che, davanti agli episodi di razzismo bisogna riuscire a non essere neutri, ad avere una reazione a questa sopraffazione, non piegarvisi. Che è un po’ lo stesso messaggio che, negli anni, i ragazzi come noi che scendevano in strada contro la mafia. Pio La Torre è il punto di partenza del ragionamento che facciamo anche oggi».
Come fare in modo che Pio La Torre non appartenga solo ai libri di storia, che non faccia più cronaca?
«L’impegno di tutti noi - aggiunge Lauria - è quello di rendere attuali queste figure storiche, quindi rendere attuale la lotta alla mafia. Faccio parte di una generazione che non ha vissuto, perlomeno da cronista, il periodo della guerra di mafia. Ho vissuto il felice periodo della rivolta dopo le stragi. Probabilmente era più facile per noi giovani sviluppare quella tensione morale contro la mafia, perché c'era una cronaca che ce lo imponeva, una voglia di riscattarsi davanti a quella che era una violenza incredibile. Quella che rimane è una mafia pervasiva, una mafia che condiziona mille volte l'economia, ma che si manifesta in tanti ambiti della nostra vita sociale, in tanti anche punti fisici della città. Nella nostra relazione palermitana di recente abbiamo scoperto anche cosa significa convivere con un collega sotto scorta: per diversi giorni, abbiamo avuto un poliziotto con la pistola, seduto alla scrivania proprio accanto alla nostra. I giornalisti sono fra le categorie che pagano il prezzo più grande, più pesante alla lotta alla mafia».
«Io parto da una frase - interviene Marco Romano, direttore del Giornale di Sicilia -che per me è una sorta di mantra. È una frase di Alberto Moravia, che diceva: “Quando le informazioni mancano le voci crescono”. Credo che sia uno degli elementi essenziali con cui bisogna approcciarsi alle cose della vita. Dovete chiedervi quanto avete voglia di essere informati rispetto a quello che vi viene bombardato attraverso il sistema dell'informazione molto parcellizzato, che viaggia attraverso la rete. C'è un tutto subito, con l'impossibilità di filtrare le informazioni che vi piovono addosso e che, mentre ai nostri tempi le informazioni noi dovevamo andarcele a cercare sui giornali, in televisione, adesso siete voi che venite cercati dall'informazione, anche se in molti casi è meglio definirla “incomunicazione”. Le due cose non sono assolutamente la stessa cosa, anzi spesso sono diametralmente opposte, quindi credo che sia fondamentale conoscere e capire esattamente quanto ciascuno di voi abbia voglia di conoscere e capire. Quello che conta, secondo me, non è tanto il quando o il come o il chi rappresenta tutto questo; la domanda principale è perché tutto questo è successo. E il perché è uno dei motivi per cui siamo qui e il centro Pio La Torre continui a volere questi incontri».
Ma la mafia, quindi, è più forte o più debole?
«Va detto che intanto è un fenomeno nazionale. Basta guardare - sostiene in conclusione Emilio Miceli, presidente del centro La Torre - le inchieste che, nel corso di questi anni, hanno riguardato l'Emilia Romagna e la Lombardia. Qui la mafia stragista è stata sconfitta; la magistratura, le forze dell'ordine, il sentimento delle persone l'hanno sconfitta. Ma il vero problema è che noi oggi ci troviamo a misurarci con delle organizzazioni mafiose che hanno in mano un pezzo dell'economia nazionale. Sparano di meno? Hanno cambiato metodi? Sì ma guardo all’inchiesta culminata con l’arresto di 181 di loro che chiedevano 100 euro di pizzo al piccolo rigattiere o al panificio e nello stesso momento investivano tanti soldi per occupare uno spazio nell'economia nazionale. Penso, quindi, che bisogna fermare questo processo delicato e distruttivo per il nostro Paese. L’informazione ha un grande ruolo e una grande responsabilità: è uno di quei soggetti tra i tanti, forse quello più a rischio, che sostiene la democrazia e la libertà di tutti noi».
 di Gilda Sciortino

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