Solo lo stupro nero diventa caso nazionale

Società | 15 aprile 2025
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In Italia esistono due forme di violenza sessuale: quella che genera dibattito politico e quella che no. Non dipende dal crimine, né dalla vittima, né dalla ferocia dell’aggressione. Dipende da chi la commette.
A Mestre, Massimiliano Mulas ha violentato una bambina di 11 anni dopo averla pedinata fino a casa. L’uomo, 45 anni, era già stato condannato per tentati stupri: 8 anni e 3 mesi, poi altri 4 anni e 6 mesi. In tutto 13 anni di carcere. È uscito. Ha ricominciato. Eppure, al di fuori di qualche reportage isolato — Corriere della Sera tra pochi — non si è parlato di emergenza. Nessuno ha chiesto dimissioni. Nessuno ha evocato uno stato d’eccezione.
Pochi giorni dopo, a Busto Arsizio, un 21enne di origine nordafricana ha aggredito una 14enne per strada. La violenza è avvenuta in pieno giorno. Il ragazzo è stato arrestato in flagranza. Il fatto è diventato subito un caso nazionale. I social si sono riempiti di accuse contro l’immigrazione. Il reato è stato usato come prova di una tesi preconfezionata: gli stranieri rovinano l’Italia.
Due aggressioni. Due minori. Due atti di violenza brutale. Ma due reazioni completamente diverse. Perché?
Perché nel dibattito pubblico italiano non esiste una vera lotta contro la violenza sessuale. Esiste solo una guerra ideologica sull’identità di chi la commette. Se il violentatore è straniero, il reato viene politicizzato: l’aggressione non è più un fatto criminale, ma un argomento elettorale. Se invece è italiano — anche seriale, anche recidivo, anche conosciuto dalle forze dell’ordine — la notizia resta confinata alla cronaca. È una devianza individuale, non un problema sistemico.
Questo doppio standard ha un costo enorme: lascia invisibili le vere falle del sistema. Perché la domanda da porsi oggi non è “cosa fare con i migranti?” ma “perché uno stupratore seriale era libero di colpire di nuovo?”
La realtà è scomoda: in Italia chi ha già violentato può uscire dal carcere, tornare alla vita, pedinare una bambina, e nessuno lo ferma. Lo Stato lo lascia andare. Nessun braccialetto elettronico. Nessuna misura di prevenzione. Nessuna sorveglianza.
L’indignazione a geometria variabile, selettiva, identitaria, serve solo a distrarre. Serve a evitare una riforma vera della giustizia, della gestione dei recidivi, del sistema penale che si accorge delle vittime solo quando sono ormai statistiche.
Il crimine non ha patria, ma in Italia il modo in cui lo raccontiamo sì. E finché il problema sarà “da dove viene lo stupratore” e non “perché ha potuto agire”, il Paese resterà esposto. Indifeso. Ipocrita.
www.salvatoreparlagreco.it
 di Salvatore Parlagreco

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