Migranti, i disastrosi effetti dei decreti sicurezza

L'analisi | 14 novembre 2022
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Quella del ritorno ai “decreti sicurezza” adottati in Italia tra il 2018 e il 2019, a firma dall’allora ministro dell’Interno dell’esecutivo giallo-verde, Matteo Salvini, sembra più che una semplice promessa del neo-governo in carica. L’obiettivo di Palazzo Chigi, che ha inserito nel proprio programma i “decreti sicurezza” come primo punto nel capitolo dedicato a “sicurezza e contrasto all’immigrazione illegale”, sarebbe quello di contrastare “l’immigrazione irregolare”. Nuova linfa, dunque, all’accostamento “immigrazione-sicurezza”, secondo quell’ottica che assimila l’immigrazione ad un crimine e divenuta cavallo di battaglia delle destre populiste. Del resto, nello scenario di una emergenza climatica globale dagli effetti nefasti già evidenti; nel quadro di una crisi energetica senza precedenti, quale conseguenza di una guerra che da mesi si combatte ai confini europei; nel contesto di un’inflazione tra le più alte degli ultimi decenni; la priorità del governo italiano è quella di inasprire la lotta contro l’immigrazione. Conferma ne è la vicenda, ancora calda nel dibattito politico europeo, del rifiuto del nostro governo di accogliere, qualche giorno fa, la nave della Ong Ocean Viking con 234 migranti - che ha poi trovato un porto sicuro nella città francese di Tolone –, contravvenendo agli accordi internazionali in tema di accoglienza (che includono il meccanismo di solidarietà europea).
Che il “reintegro” di quei decreti voluti dall’attuale vicepremier nonché ministro delle Infrastrutture abbia un carattere populista trova conferma nei dati sull’impatto da questi prodotto specialmente in termini di inclusione, ma anche di perdita di posti disponibili nelle strutture di accoglienza. Come ci ricorda Openpolis in un suo approfondimento sugli effetti dei “decreti sicurezza”, nei due anni in cui i decreti sono stati operativi (da ottobre 2018 a dicembre 2020. Essi sono stati successivamente in parte modificati dal decreto Lamorgese del secondo governo Conte), si è assistito a livelli maggiori di irregolarità nella posizione dei migranti in Italia, a una minore inclusione sociale e a cambiamenti nel sistema per richiedenti asilo e rifugiati che vanno nella direzione opposta al modello dell’accoglienza diffusa. In tema di inclusione, basti pensare che nel biennio 2018-2020 sono andati persi 4.557 posti letto nel sistema di seconda accoglienza (ex Sprar, oggi Sai), quello che più garantisce l’apprendimento linguistico, l'orientamento lavorativo e l’inclusione degli ospiti nelle comunità. Inoltre, nel periodo considerato, sono stati ridotti quasi 22 mila posti nei centri di accoglienza di piccole dimensioni (quelli con al massimo 20 posti letto), quei centri che rientrano nel modello virtuoso dell’accoglienza diffusa. La contrazione dei posti nei centri medi e soprattutto in quelli molto grandi è stata inferiore (-7 mila posti), nel contesto di una tendenza a rendere ancora più grandi i centri di grandi dimensioni (con oltre 50 posti) soprattutto nei centri urbani maggiormente estesi.
La contrazione dei posti disponibili nelle strutture di accoglienza e dei servizi destinati all’inclusione – quali erogazione di corsi di lingua italiana, di formazione professionale, etc. – finisce per alimentare i circuiti della criminalità. Simili politiche “ideologiche”, che si fondano su falsi stereotipi di sovrapposizione tra migrazione e criminalità, creano le condizioni affinché per il migrante “irregolare”, che scappa da condizioni di vita inaccettabili, il contatto con la criminalità diventi un passaggio quasi inevitabile. Di questi “passaggi” dovrebbe essere consapevole un governo che, almeno a parole, dice di voler contrastare la criminalità organizzata e le mafie.
 di Alida Federico

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