La nuova Cortina
di ferro grande campo
di battaglia

Società | 9 gennaio 2025
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Sembrava archiviata. Invece rieccola: “Cortina di ferro 2.0”. Con l’espressione “Cortina di ferro” si indica una faglia geopolitica che attraversava il continente europeo da nord a sud: a occidente le democrazie, ad oriente i paesi del comunismo reale. È stato così dal dopo 1945 al disfacimento dell’Unione Sovietica nella notte tra il 31 dicembre 1991 e l’1 gennaio 1992. Dagli ultimi anni del secolo scorso i paesi dell’Europa orientale sotto asfissiante controllo di Mosca (Polonia, Repubblica democratica tedesca, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria) o facenti parte dell’Urss (Lituania, Estonia, Lettonia) sono entrati progressivamente nella Nato e nell’Unione Europea (adesioni all’Ue nel 2004 e nel 2007).
Per un paio di lustri, fino alla metà del decennio scorso, nel continente europeo la “Cortina di ferro” è di fatto sparita grazie ad uno svelenito clima internazionale. Ma il fuoco covava sotto le ceneri. La Russia di Vladimir Putin ha rindossato i paramenti degli zar e il cappotto e colbacco della nomenklatura sovietica, ha varato anno dopo anno nuove dottrine politiche, strategiche, militari, ha reso un cardine quasi religioso il concetto di “sicurezza” della Russia a cui tutto viene piegato, ha fatto chiaramente intendere che se oltre i suoi confini vivono minoranze russofone quella è madre terra russa e Mosca non può e non deve esimersi dal metterci dentro il becco e sopra gli stivali. Non sono pochi: parliamo di “14 milioni di russofoni che fino al 1991 vivevano dentro i confini dell’Unione Sovietica ma adesso sono fuori dalle attuali frontiere della Federazione Russa” (Maurizio Molinari “La nuova guerra contro le democrazie” – Rizzoli, 2024).
Abbiamo così assistito alle elezioni asseritamente truccate in Bielorussia; alla guerra tra Russia e Georgia nel Caucaso (2008); alla prima aggressione all’integrità territoriale dell’Ucraina che ha prodotto come risultato l’annessione alla Russia della Crimea (2014) a cui seguono altri scontri tra secessionisti filorussi ed esercito ucraino nella regione orientale confinaria del Donbass; alla seconda e ben più sconvolgente invasione dell’Ucraina, la cosiddetta “operazione speciale” nella definizione minimizzante adottata da Mosca (2022).
La Nato si trincerava e acquartierava al di qua della “Cortina”, la Russia spara e si trasforma mese dopo mese in una colossale economia di guerra. Il sangue in Ucraina, specie nelle regioni orientali, scorre a fiumi, i morti cadono a centinaia di migliaia, intere regioni ucraine sono distrutte da bombardamenti e raid su infrastrutture civili e abitazioni. Tragica cronaca quotidiana da quasi tre anni.
Riecco la “Cortina di ferro”. Seconda versione. Più insanguinata e destabilizzante della prima, si è spostata ad est di alcune migliaia di chilometri. Più a ridosso della Russia, a seguito delle libere decisioni di governi e parlamenti di Cechia, Polonia, Ungheria nel 1999, Bulgaria, Estonia, Lettonia, Romania, Slovacchia nel 2004 di aderire alla. Riposizionamenti letti a Mosca come un attentato alla “sicurezza” della Russia. Così - mentre ognuna delle parti si spacca il cervello a sentenziare se prima è venuto l’uovo o la gallina, se la colpa di tutto è della Nato che si è allargata troppo ad est o della Russia di Putin che ha ripreso ad agire da superpotenza militare aggressiva nei confronti dei paesi a ridosso dei suoi confini - l’Europa è tornata ai nefasti del passato. A passare cioè da continente più pacifico del mondo – con l’eccezione delle guerre etniche nei Balcani (in varie fasi dal 1990 al 2001) seguite alla dissoluzione della Jugoslavia ed alla sua frammentazione in ben sette stati – a continente in fiamme. Tornato alle trincee nel fango e nella neve tra Russia e Ucraina, come succedeva sulle Alpi e al confine franco-tedesco nella Prima guerra mondiale (1914-1918). La “Cortina di ferro 2.0” fa tremare più della prima.
E allora ripercorriamo il tracciato del più insidioso (e non segnalato…) confine nel continente. Vediamo dove “tagliava in due” l’Europa la prima “Cortina” e dove la taglia la seconda. Con un suggerimento per il lettore: lo si può fare per la prima “Cortina di ferro” smartphone alla mano ma è ancora meglio se ci si riesce a procurare un vecchio atlante di quando studiavamo noi o, per i più giovani, i propri genitori ancora nelle librerie a casa (per fortuna i libri non si buttano). Per la “Cortina di ferro 2.0” opportuno verificare invece il nuovo esplosivo e vero confine tra gli europei su un atlante aggiornato.
Si sostiene che a coniare l’espressione “Cortina di ferro” sia stato Winston Churchill. Il 5 marzo 1946 in un memorabile discorso nel Missouri (Usa) pronunciò frasi destinate a rimanere nella storia: “(…) Da Stettino nel Baltico a Trieste nell’Adriatico una cortina di ferro è scesa attraverso il continente. Dietro quella linea giacciono tutte le capitali dei vecchi stati dell’Europa centrale e orientale. Varsavia, Berlino, Praga, Vienna, Budapest, Belgrado, Bucarest e Sofia; tutte queste famose città e le popolazioni attorno ad esse giacciono in quella che devo chiamare sfera sovietica, e sono tutte soggette, in un modo o nell’altro, non solo all’influenza sovietica ma anche a un’altissima e in alcuni casi crescente forma di controllo di Mosca”.
Con quel significato la definizione è entrata nel linguaggio della geopolitica. Ma l’espressione “Cortina di ferro” risale a decenni prima e in tanti l’avevano già usata per descrivere condizioni di insofferenza politica o persino familiare o scritta in opere letterarie o per manifestare la loro frustrazione nel sentirsi ingabbiati come persone: la scrittrice inglese Violet Paget nel 1915, la regina del Belgio Elisabetta nello stesso anno, il cancelliere tedesco Theobald von Bethmann-Hollweg nel 1916, l’autore russo Vasilij Rosanow nel 1918, la socialista e femminista inglese Ethel Snowden nel 1920, l’ambasciatore britannico a Berlino Edgar D’Abernon nel 1924, il giornalista tedesco Herbert von Bose nel 1930, il ministro della Propaganda nazista Joseph Goebbels nel 1945, il giornalista tedesco Max Walter Clauss nello stesso anno. Quattro mesi dopo il discorso di Churchill la riprese il cancelliere tedesco Konrad Adenauer.
La prima “Cortina di ferro” iniziava nel profondo nord, ben oltre il Circolo polare artico, con i 196 chilometri di ghiacciato confine tra Norvegia (paese Nato dal 1949) e Unione Sovietica. Solo questo ridotto contatto tra Nato e Urss in Scandinavia in quanto Svezia e Finlandia erano democrazie occidentali ma neutrali. Riprendeva poi in Germania, più correttamente la tagliava in due: ad occidente della “Cortina di ferro” la Repubblica federale tedesca con capitale Bonn, ad oriente la Repubblica democratica tedesca (Ddr) con capitale un sobborgo di Berlino est, potenza economica rispetto alle traballanti economie del comunismo reale degli altri paesi dell’Europa orientale satelliti di Mosca e superpotenza sportiva – lo ricorderete – con il doping di stato per gli atleti. Nel bel mezzo della Ddr Berlino, città emblema della Guerra Fredda con il suo “Muro” eretto nel 1961 e la sua spartizione in tre settori occidentali (americano, britannico, francese) e un settore russo, Berlino est. La “Cortina di ferro” proseguiva rendendo impenetrabili i confini tra Germania federale a occidente e Cecoslovacchia ed Ungheria a oriente. Così come tra l’Ungheria e l’Austria, democrazia occidentale ma neutrale al pari della Svizzera. Procedeva ancora lungo il confine tra Ungheria, Romania, Bulgaria da una parte e Jugoslavia dall’altra. La Repubblica socialista federale di Jugoslavia del maresciallo Tito, con un peculiare modello di comunismo reale, si atteggiava ad una sorta di capofila dei cosiddetti “Paesi non allineati”. Non faceva parte dell’alleanza militare “Patto di Varsavia” (1955-1991) alla quale aderivano oltre all’Urss tutti i paesi europei sotto stretta influenza di Mosca (Ddr, Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, Romania, Bulgaria). Anche l’Albania - che professava un proprio modello comunista fanaticamente dittatoriale incarnato dal leader Enver Hoxha - aderì nel 1955 al “Patto di Varsavia” ma ne uscì di fatto nel 1961 e formalmente nel 1968 con la crisi tra Urss e Cina maoista prendendo le parti di quest’ultima. Paese molto povero, carcere a cielo aperto quanto a libertà dei cittadini, l’Albania finì per guardare più a Pechino che a Mosca. Infine a sud, nel tratto finale, la “Cortina di ferro” correva lungo il confine tra Bulgaria comunista da una parte e Grecia e Turchia, paesi Nato, dall’altra.
Percorriamo adesso il tracciato della “Cortina di ferro 2.0” del nostro tempo. In Scandinavia ai 196 chilometri originari del confine tra Norvegia e Russia si sono aggiunti i ben 1.268 chilometri di confine tra Russia e Finlandia. Preoccupate dall’aggressività, dalle ripetute minacce anche di ricorso alle armi nucleari, dalle tante forme di guerra ibrida e dalle mire interventiste di Mosca, la Finlandia nel 2023 e la Svezia nel 2024 hanno aderito alla Nato. Tra l’altro Russia e Finlandia - appena 5,5 milioni di abitanti ma bene armata ed equipaggiata - hanno in corso da tempo dispute di confine sulla vasta regione della Carelia. La “Cortina” prosegue con uno dei suoi tratti più problematici, ora e prevedibilmente ancor più in futuro: il confine tra Estonia, Lettonia, Lituania ad occidente – piccole ex repubbliche dell’Urss ma non russe quanto a componente principale della popolazione, entrate nel 2004 nell’Unione Europea e nella Nato – e Russia sul versante orientale. La “Cortina” continua seguendo il corso del confine che separa Lettonia e Lituania dalla Bielorussia di Lukashenko, principale o meglio unico alleato-gregario di Mosca nel continente europeo. Il tracciato segue ancora il confine tra Polonia e Bielorussia e tra Bielorussia e Ucraina. Infine si identifica con l’intero confine di quasi 1.600 chilometri tra Ucraina e Russia. In questo tratto la “Cortina di ferro” è diventata un immenso campo di battaglia, una lunghissima trincea. Si sposta di continuo di chilometri in avanti o indietro secondo l’avanzare o il ritirarsi dei due eserciti che si fronteggiano. Dal 2014 la Russia – cominciando, come osservato, dalla penisola della Crimea - si è annessa o occupa circa un quinto del territorio nazionale ucraino. Pensare che nei patti originari doveva essere uno degli stati “garanti” dell’indipendenza dell’Ucraina… Invece ora di fatto disconosce l’indipendenza dell’Ucraina originata nel 1991 dalla dissoluzione dell’Urss, ne accetterebbe solo una sovranità limitata, mutilata territorialmente, al guinzaglio di Mosca.
Come oltre la prima “Cortina di ferro” esistevano enclave nel territorio “avversario” (Berlino ovest nella Germania comunista) così nell’era della seconda “Cortina di ferro” esistono enclave russe nel versante occidentale: la città superarmata e superdifesa di Kaliningrad, territorio russo, che si affaccia sul Baltico, e la Transnistria, una striscia di 4.163 chilometri quadrati (neppure un sesto della Sicilia), con 450.000 abitanti. La Transnistria - facente parte dello stato indipendente della Moldova, tra Romania e Ucraina, ma abitata in prevalenza da russofoni e con una stabile presenza di truppe russe - si è proclamata indipendente nel 1990. Rivendicata dalla Moldova, come repubblica indipendente sotto tutela russa non è riconosciuta praticamente da nessuno stato.
In palese sofferenza militare in tutto il fronte orientale del Donetsk nei suoi territori occupati man mano dall’esercito moscovita, l’Ucraina nell’agosto 2024 si è concessa il lusso, con una clamorosa offensiva-lampo, di rosicchiare un migliaio di chilometri quadrati nell’area di Kursk, ora ridotti alla metà. Impensabile: “sacro” suolo della Federazione Russa a ridosso del versante orientale della “Cortina” occupato dagli ucraini. Questa occupazione poco più che simbolica di suolo russo - se non sarà prima riconquistato dall’esercito di Mosca, al quale nientemeno da dicembre 2024 si è affiancato un contingente di dodicimila nordcoreani - servirà come merce di scambio sul tavolo dei negoziati. Se e quando avranno luogo per questo insensato conflitto.
Nel Caucaso intanto oltre i propri confini la Russia occupa le regioni dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud e sta facendo il possibile e l’impossibile per sabotare l’affronto della Georgia – così si considera a Mosca – di proseguire il processo di adesione all’ Unione Europea.
Il sogno di un continente europeo dall’Atlantico agli Urali aperto dove viaggiare, spostarsi, soggiornare, commerciare, cooperare è ri-seppellito. Durato una manciata di anni. Sopraffatto da tamburi di guerra, trombe di guerra, missili, droni, missili ipersonici, carri armati. E sangue, tanto sangue di giovani vite in divisa, civili inermi, bambini derubati dell’esistenza, anziani dallo sguardo assente. Il sogno si è schiantato sulla “Cortina di ferro 2.0”. Ed ha tutta l’aria di prologo di ancor più diffuse distruzioni nell’era funesta della “Cortina di ferro 2.0.”.
 di Pino Scorciapino

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