In memoria di Rocco Chinnici a 40 anni dalla strage
Società | 27 luglio 2023
Sono stati diversi, purtroppo, i delitti di mafia che ho visto da vicino per averne sentito fisicamente il boato dell’autobomba o perché sono stato avvertito. Immagini tutte rimaste vivide nella memoria personale che suscitano ancora commozione e rabbia. Cesare Terranova, Piersanti Mattarella uccisi a poche centinaia di metri da dove abitavo, Pio La Torre e Rosario Di Salvo mentre li attendevo nella sede del Pci per coordinare la raccolta delle firme contro i missili a Comiso e per la pace, Rocco Chinnici giudice istruttore che abitava anch’egli nella zona di via Libertà. Sentito il boato, era il mattino del 29 luglio 1983, sono sceso per strada e ho seguito il traffico impazzito raggiungendo il luogo dell’esplosione vedendo i resti ancora fumanti di Rocco Chinnici, del maresciallo Mario Trapani, dell’appuntato scelto Salvatore Bartolotta, del portiere dello stabile, dove abitava il giudice, Stefano Li Sacchi.
Tramite Pio La Torre avevo conosciuto Rocco Chinnici che alcune volte volle essere accompagnato da lui per raccoglier il suo parere sul ddl che Pio stava elaborando e che fu approvato dopo l’uccisione politico-mafiosa sua e del prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, pubblicata il 13 settembre 1982 con il n.646 - legge Rognoni-La Torre- che introdusse, dopo 122 anni dall’Unità d’Italia il reato di associazione mafiosa e la confisca ai mafiosi dei beni proventi di reato mettendone in luce le reti di relazione e di potere politico, economico, sociale.
Questa conoscenza diretta di Chinnici, mi consentì, apprezzando la sua disponibilità culturale e umana, di invitarlo a una delle prime manifestazioni del Comitato popolare contro la mafia di Casteldaccia promosso da me, allora componente del gruppo dirigente regionale del Pci, e da Cosimo Scordato, allora vice parroco a Casteldaccia, e da un gruppo di giovani democratici. In quella fase della seconda guerra di mafia (estate del 1982) i corleonesi erano ancora tutti a piede libero e terrorizzavano la zona definita tragicamente il “il triangolo della morte”. L’obiettivo del Comitato antimafia era quello di mobilitare tutti i cittadini e incoraggiarli a prendere coscienza della gravità del fenomeno che non poteva essere alimentato dall’indifferenza. Gli incontri erano organizzati nella sala di un cinema, poco distante dalla piazza principale del paese, che i proprietari ci mettevano a disposizione. Come d’intesa col giudice concordammo di incontrarci in Piazza Matrice per prenderci il caffè e farci vedere dal pubblico domenicale per incoraggiarlo a partecipare. Incamminandoci per raggiungere la sala della conferenza dibattito fummo seguiti, a breve distanza, da una folla enorme che svuotò la Piazza.
Rocco Chinnici è passato alla storia per avere ideato il pool antimafia che valorizzò e rafforzò la scoperta del rapporto organico tra mafia e politica, smentendo la tesi allora dominante anche all’interno della magistratura, della Chiesa e della società civile che la mafia non era delinquenza. Ciò rese possibile, applicando la legge Rognoni-La Torre, il primo maxiprocesso e la sconfitta storica della mafia stragista di quarant’anni fa e lo sviluppo di una legislazione antimafia imitata a livello europeo e internazionale. Finora sono stati respinti tutti i tentativi di indebolire l’efficacia della legislazione antimafia introducendo ipocrite scelte politiche camuffate come accelerazione dell’efficienza del sistema giudiziario relativamente all’ergastolo ostativo, alla corruzione, ai vari reati spia, alla liberalizzazione dei subappalti, alla evasione fiscale.
La lezione dei vari Rocco, Pio, Giovanni, Paolo e di tutte le vittime innocenti di mafia ha esteso la sensibilità antimafia dei cittadini, della Chiesa, delle forze sociali e politiche democratiche.
Occorre spezzare definitivamente ogni protezione politica e ipocrisia con le nuove mafie cogliendone le trasformazioni e i nuovi camuffamenti e, aldilà delle liturgie commemorative, rendere quotidiano l’impegno antimafia della classe dirigente. Antimafia significa anche un nuovo modello di sviluppo da proporre per superare la crisi della democrazia e le conseguenze di trent’anni di neoliberismo che ha prodotto nuove povertà sociali, incapacità di ridurre il riscaldamento globale, e tante guerre locali che minacciano la stessa esistenza della vita umana.
Fa ben sperare la crescita dell’impegno antimafia delle nuove generazioni alle quali tocca cancellare dal loro futuro le nuove mafie e ogni disuguaglianza e ingiustizia sociale.
di Vito Lo Monaco
Tramite Pio La Torre avevo conosciuto Rocco Chinnici che alcune volte volle essere accompagnato da lui per raccoglier il suo parere sul ddl che Pio stava elaborando e che fu approvato dopo l’uccisione politico-mafiosa sua e del prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, pubblicata il 13 settembre 1982 con il n.646 - legge Rognoni-La Torre- che introdusse, dopo 122 anni dall’Unità d’Italia il reato di associazione mafiosa e la confisca ai mafiosi dei beni proventi di reato mettendone in luce le reti di relazione e di potere politico, economico, sociale.
Questa conoscenza diretta di Chinnici, mi consentì, apprezzando la sua disponibilità culturale e umana, di invitarlo a una delle prime manifestazioni del Comitato popolare contro la mafia di Casteldaccia promosso da me, allora componente del gruppo dirigente regionale del Pci, e da Cosimo Scordato, allora vice parroco a Casteldaccia, e da un gruppo di giovani democratici. In quella fase della seconda guerra di mafia (estate del 1982) i corleonesi erano ancora tutti a piede libero e terrorizzavano la zona definita tragicamente il “il triangolo della morte”. L’obiettivo del Comitato antimafia era quello di mobilitare tutti i cittadini e incoraggiarli a prendere coscienza della gravità del fenomeno che non poteva essere alimentato dall’indifferenza. Gli incontri erano organizzati nella sala di un cinema, poco distante dalla piazza principale del paese, che i proprietari ci mettevano a disposizione. Come d’intesa col giudice concordammo di incontrarci in Piazza Matrice per prenderci il caffè e farci vedere dal pubblico domenicale per incoraggiarlo a partecipare. Incamminandoci per raggiungere la sala della conferenza dibattito fummo seguiti, a breve distanza, da una folla enorme che svuotò la Piazza.
Rocco Chinnici è passato alla storia per avere ideato il pool antimafia che valorizzò e rafforzò la scoperta del rapporto organico tra mafia e politica, smentendo la tesi allora dominante anche all’interno della magistratura, della Chiesa e della società civile che la mafia non era delinquenza. Ciò rese possibile, applicando la legge Rognoni-La Torre, il primo maxiprocesso e la sconfitta storica della mafia stragista di quarant’anni fa e lo sviluppo di una legislazione antimafia imitata a livello europeo e internazionale. Finora sono stati respinti tutti i tentativi di indebolire l’efficacia della legislazione antimafia introducendo ipocrite scelte politiche camuffate come accelerazione dell’efficienza del sistema giudiziario relativamente all’ergastolo ostativo, alla corruzione, ai vari reati spia, alla liberalizzazione dei subappalti, alla evasione fiscale.
La lezione dei vari Rocco, Pio, Giovanni, Paolo e di tutte le vittime innocenti di mafia ha esteso la sensibilità antimafia dei cittadini, della Chiesa, delle forze sociali e politiche democratiche.
Occorre spezzare definitivamente ogni protezione politica e ipocrisia con le nuove mafie cogliendone le trasformazioni e i nuovi camuffamenti e, aldilà delle liturgie commemorative, rendere quotidiano l’impegno antimafia della classe dirigente. Antimafia significa anche un nuovo modello di sviluppo da proporre per superare la crisi della democrazia e le conseguenze di trent’anni di neoliberismo che ha prodotto nuove povertà sociali, incapacità di ridurre il riscaldamento globale, e tante guerre locali che minacciano la stessa esistenza della vita umana.
Fa ben sperare la crescita dell’impegno antimafia delle nuove generazioni alle quali tocca cancellare dal loro futuro le nuove mafie e ogni disuguaglianza e ingiustizia sociale.
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