Ovazza, storia di un tecnico
prestato alla politica

Società | 19 dicembre 2024
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Nella Sicilia che, alla fine del 1943, è tutta da rifare, un posto di primo piano spetta a Mario Ovazza, un uomo che visse tre volte: da professionista di “grande e riconosciuto valore”, da vittima delle leggi razziali e da tecnico prestato alla politica, “di formazione marxista e militanza comunista”. Era nato a Torino il 5 giugno 1897 da Elia, professore universitario, e da Elena Lombroso, pronipote di Cesare, ma ha vissuto tutta la vita a Palermo e in Sicilia. Suo padre, straordinario ingegnere ancora studiato, fu cattedratico a partire dal 1899 fino ai primi anni Venti.
È, a parere di chi scrive, di gran lunga la figura più importante – quella che ha inciso di più nella realtà – della presenza ebraica in Sicilia nella seconda metà del Novecento.
Le famiglie Ovazza in Piemonte erano numerose e, di queste, si ricorda per lo più quella che discende da Vitta Ovazza: questa famiglia era padrona di una grande banca e, con il movimento La Nostra Bandiera, era tra i maggiori interpreti del “fascismo ebraico”. Per dirne il livello, alcuni di loro, ad esempio gli Elkann, sono tutt’oggi ai vertici dell’imprenditoria. Elia Ovazza figlio di Israel era invece un altro Ovazza.
Di Mario Ovazza, che in Sicilia sarà uno dei padri della Regione, oggi sappiamo molto grazie a Giuseppe Carlo Marino e all’Istituto Gramsci Siciliano che, nel 1990, ne hanno delineato il percorso in due volumi dal titolo Mario Ovazza. Il comunismo come pratica della ragione. Sappiamo anche del suo impegno civile e della sua coscienza critica grazie a un piccolo libro del 1967, l’unico che ha scritto, dal titolo Il caso Battaglia. Pascoli e mafia nei Nebrodi, ristampato dal Centro Studi Pio La Torre.
Ma com’era? Chi scrive non ha avuto la fortuna di conoscerlo. Ce lo dice invece il prof. Marino, che si considerava “una specie di figlio adottivo”: «Non sarebbe stato neanche facile riconoscerlo come siciliano. Egli era una di quelle rare persone che la Sicilia non riesce a rendere del tutto omologhe alla sua cultura ma che per un paradosso esistenziale sarebbe diventato esponente tra i più attivi del Mezzogiorno. Può darsi che una così ferma “identità” forestiera fosse il retaggio dell’origine ebraica. L’assai laico Ovazza era un ebreo che mantenne comunque, all’ombra della sinagoga e fuori, un costante rapporto con i principi morali della sua propria tradizione» (Giuseppe Carlo Marino, Mario Ovazza. Il comunismo come pratica della ragione, Istituto Gramsci Siciliano, Palermo 1990, vol. 1, pp. 23-26). Era un uomo riservato e della sua vita privata, paradossalmente, si sa molto poco.
Nel 1916 Mario, di tradizione sabaudo-risorgimentale e di idealità nazionalistiche, si arruola come volontario. Ufficiale di complemento, il fronte sarà per lui un’esperienza durissima: ritornerà grande invalido, gli verrà data la medaglia d’argento al valor militare, perderà quasi del tutto la vista; non perderà invece l’entusiasmo per un futuro diverso e l’ancoraggio ai valori di quel tempo, valori “di destra”. Si laurea in Ingegneria civile (sembra un miracolo!) il 16 novembre 1920 e metterà al centro della propria cultura e della propria azione di tecnico – e qui Marino ha scritto pagine mirabili – la questione sociale dei contadini, delle campagne, dell’agricoltura che nel Mezzogiorno era tragica. Era anche fascista, di quelli però che pensavano con la propria testa. Non sappiamo se avesse rapporti con la piccola comunità ebraica palermitana, che peraltro non era strutturata, ne aveva invece con la Curia, in particolare con quella di Monreale per conto della quale progettò e diresse tantissimi lavori.
Il percorso degli Ovazza si spezza con le leggi razziali. Dalla lettera di Ettore Ovazza (il più famoso di tutti) inviata a Mussolini il 15 luglio del 1938: «È la fine di una realtà. Quella di sentirsi una cosa sola col popolo italiano. Era questo fatale?». A decorrere dal 1° marzo 1940 Mario, come tutti i suoi colleghi ebrei, viene radiato dall’albo degli ingegneri e non può esercitare perché cittadino di razza ebraica. «Costretto a vivere, dal 1938 al 1943, in un’avvilente condizione di semiclandestinità, riuscì a salvarsi da guai peggiori per i meriti “nazionali” del suo passato di combattente e per la protezione offertagli dall’arcivescovo, mons. Ernesto E. Filippi».
Il 6 maggio 1942, tutti gli appartenenti alla razza ebraica, anche se discriminati, tra i 18 e i 55 anni, sono sottoposti a precettazione civile a scopo di lavoro: lavori umili che non risparmiano anziani e invalidi. Non è chiaro dove lo abbiano collocato. A metà del 1943 la Sicilia viene liberata dagli Alleati e Mario mette la propria competenza a disposizione dell’Amgot.
Tradito due volte, come italiano e come ebreo, il processo di sottrazione diventa una addizione: muore il patriota e nasce gradualmente il tecnico prestato alla politica. Rielabora le lezioni di democrazia e di apertura intellettuale apprese dal suo maestro Antonio Sellerio, il professore di Fisica, antifascista e democratico, e dal presule Filippi, pastore illuminato, e apre la mente e il cuore a una nuova e diversa visione della società italiana, una società peraltro indebolita da più di venti anni di dittatura e tre guerre.
Il tecnico si avvicina alla sinistra, le due anime si fondono, restano in equilibrio ma nessuna delle due prevale e diventa un punto di riferimento razionale per il partito comunista e per il suo numero uno in Sicilia, Girolamo Li Causi: furono due amici fraterni.
Si apre così un nuovo mondo, del quale Ovazza sarà uno dei migliori interpreti e al quale dedicherà tutte le energie, che possiamo sintetizzare con le sue parole: «Il caso Battaglia, assassinato [a Tusa, provincia di Messina] sulla trazzera del feudo, ci interessa, certo, perché – nelle sue implicazioni sociali ed economiche – coagula i termini concreti di un’ennesima aggressione alle fatiche del movimento contadino per rinnovare le strutture dei rapporti agrari siciliani. Nei piani generali, un ruolo di particolare efficacia dovrà essere assegnato ad una larga diffusione a vari livelli dell’istruzione, con la cura di indurre un’autentica educazione civica» (Mario Ovazza, Il caso Battaglia. Pascoli e mafia sui Nebrodi, a cura di Fernando Ciaramitaro, Centro Studi Pio La Torre, Palermo 2008, pp. 24 e 73). Al primo posto quindi stanno la scuola e l’università.
I ruoli ufficiali di Mario Ovazza sono noti: l’Ente di colonizzazione del latifondo siciliano, l’Ente siciliano per l’elettricità, l’Assemblea regionale siciliana, il Centro studi della Lega delle cooperative. Ha dato un contributo fondamentale alla realizzazione del sistema idrico regionale. Nicola Cipolla lo chiamava “genio bonificatore”.
La sua vita fa parte dei miracoli laici: «privato della vista ma dotato, in cambio, di una superiore visione della realtà, leggeva senza occhi». “Zio Mario”, così lo chiamavano con affetto, muore a Palermo il 1° luglio 1974 all’età di settantasette anni. Era un eroe di guerra e, per questo, un picchetto d’onore lo accompagnerà all’ultimo domicilio conosciuto.
 di Alessandro Hoffmann

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