Le reti di Danilo Dolci
per la democrazia diretta
Società | 5 dicembre 2024
In una delle belle definizioni di “classico”, che non mi stanco mai di richiamare, Italo Calvino afferma che “i classici sono libri che quanto più si crede di conoscerli per sentito dire, tanto più quando si leggono davvero si trovano nuovi, inaspettati, inediti (Italo Calvino, Perché leggere i classici, Mondadori, 1991, p. 15). Rileggendo “davvero” – come dice – Calvino e criticamente l’opera di Danilo Dolci, a me è capitato di riscoprirla, di trovarla “davvero” nuova, e inaspettata. Ma un punto va chiarito: il pensiero e l’azione di Dolci vanno analizzati nel contesto complessivo dell’azione sociale collettiva, per molti versi inedita, che nel tempo e tra difficoltà enormi, viene realizzata nella Sicilia Occidentale. In primo piano sono le grandi capacità organizzative di Dolci, le sue doti di coinvolgimento e di attrazione: dall’umile contadino al pescatore, al maestro di scuola, fino ai grandi scrittori, antropologi scienziati, sociologi, urbanisti, economisti, politici..
Bisogna evitare comunque l’attualizzazione di un Dolci ridotto in frammenti, di volta in volta sociologo, poeta. pedagogista, pacifista etc. E, invece, l’anima viva dell’esperienza di Dolci va individuata proprio nell’intervento pluri e interdisciplinare, sia nel metodo, sia nei contenuti. Dolci, non era un sociologo in senso stretto anche se aveva letto del pragmatismo americano e in particolare Charles Wright Mills:
“Il principale compito politico e intellettuale del sociologo – (in questo caso i due aspetti coincidono) – scriveva Wright Mills nella premessa all’edizione italiana di The sociological Imagination, è oggi individuare e definire gli elementi del disagio e dell’indifferenza dell’uomo contemporaneo. È l’impegno principale che gli impongono altri lavoratori della mente, dai fisici agli artisti, la comunità intellettuale in genere. Appunto questo compito e questo impegno stanno facendo, io credo, delle scienze sociologiche la più necessaria delle nostre facoltà mentali”(Charles Wright Mills (1959), traduzione italiana L’immaginazione sociologica, il Saggiatore, 1962, p. 23.
Immaginazione e sogno ricorreranno spesso nelle opere e nelle iniziative di Dolci, di cui ricorre il centenario della nascita, intrecciandosi con una straordinaria capacità di azione sociale. Per questo preferisco parlare della “atipicità” della sociologia di Dolci. La categoria della “atipicità” mi pare sfugga a improbabili scorciatoie definitorie.
Norberto Bobbio nella prefazione a Danilo Dolci, Banditi a Partitico, sottolinea metodi e contenuti delle iniziative di Dolci suscitassero grande attenzione e rispetto: ”Il modo dunque che Danilo ha scelto per intervenire è stato quello della partecipazione diretta, della presenza attiva, il modo meno libresco che si potesse immaginare; ed è stato appunto tra noi, che di queste cose discutevamo leggendo giornali, inchieste e interviste, un esempio singolarissimo, tale da meritare da parte di tutti – senza distinzione di partiti o di ideologia – il più devoto rispetto” (Norberto Bobbio, “Prefazione” a Danilo Dolci, Banditi a Partitico, Laterza, Bari,1955, pp.5-6).
Bobbio coglie la specificità della sociologia dolciana quando osserva: “Per Danilo partecipare alla vita sociale di questi paesi, ignoti o conosciuti soltanto come luoghi di riprovazione o di dannazione, volle dire dividere dolori e speranze della gente più povera, dei disperati, dei messi al bando, e la loro invincibile miseria, e dividerla non per una voluttà di macerazione o di mortificazione, ma per giungere a comprenderla meglio, poterne parlare con quella serietà con cui si parla di cose non solo apprese ma sofferte e per avere la forza di eliminarla.
Volle essere, nel senso più preciso della parola, un “vivere insieme”, un “mettersi a disposizione”, e “intervenire efficacemente” e “operare qui ed ora” e “essere fratello fra fratelli”.
΄Allura iddu voli fari chista comunità pi essiri fratellu cu tutti.
La gente non capìa tantu assai, ma a picca a picca iavanu sapennu΄” (Norberto Bobbio, “Prefazione” a Danilo Dolci, Banditi a Partitico, Laterza, Bari,1955, pp.5-6).
Quello dell’azione sociale per la formazione delle reti e per la costruzione della comunità, della società civile e della democrazia, è un tema centrale dell’esperienza di Dolci. Questi temi sono stati particolarmente sviluppati in alcune analisi come quella di Marica Tolomelli, per la quale “Dolci fu … uno snodo cruciale per la circolazione di idee e pratiche di 'vita associata democratica', che per vie e reti relazionali multidirezionali attraversarono l’intero Paese” (Marica Tolomelli, Dolci Danilo, in Dizionario biografico degli italiani, 1960- 2020) e, più recentemente, da Marco Grifo per il quale: “È appunto in questa dimensione di rete che l’esperienza di Dolci assume un nuovo senso, facendo emergere una trama i cui nodi (e snodi) sono ambienti culturali politici minoritari ma non certo irrilevanti” (Marco Grifo, Le reti di Danilo Dolci. Sviluppo di comunità e non violenza in Sicilia occidentale, Franco Angeli, p.13).
Nelle conclusioni del suo documentatissimo libro, Grifo sintetizza l’esperienza dolciana nella costruzione ventennale di “laboratori di partecipazione dal basso”, “caratterizzati da un’innovativa pratica d’inchiesta, dall’autoanalisi della popolazione attraverso la discussione maieutica e dall’attivazione di progetti partecipati di sviluppo umano e di comunità”
Recentemente, ricordando la figura di Johan Galtung, il grande sociologo e matematico norvegese, fondatore dei moderni studi sulla pace e sui conflitti, scomparso nel febbraio 2024, ricordavo come egli sia stato uno degli artefici fondamentali dell’azione di Danilo Dolci e del Centro studi e iniziative per la piena occupazione.
Lo invitai nel febbraio del 2001 a tenere una relazione al seminario internazionale su “L’immaginazione sociologica”, il sottosviluppo, la costruzione della società civile. Ricordando Danilo Dolci, ripensando la Sicilia, organizzato dall’Università di Palermo e dall’Istituto Gramsci Siciliano. Galtung in quell’intervento individua dieci elementi importanti nella “atipica” sociologia e nella poliedrica personalità di Danilo.
Centrale è per Galtug la costruzione di reti di relazioni sul piano locale, nazionale e internazionale, la costruzione della società civile e della democrazia.
“La rete – dice Galtung - è come un’organizzazione in statu nascenti senza nascere, nel senso che in essa si mantiene la condizione di reinventarsi, sempre” (Johan Galtung, Danilo Dolci: nonviolenza, sociologia, poesia, azione in Salvatore Costantino (a cura di), Raccontare Danilo Dolci. L’immaginazione sociologica, il sottosviluppo, la costruzione della società civile, Editori Riuniti, 2003, p.53.
Si può dire che i punti indicati da Galtung ruotino tutti attorno alla costruzione delle reti: 1.“Conoscere bene i fatti”, 2.“Il dialogo come metodo”, 3.“Il processo maieutico”, 4. “La parola come co-costruzione”, 5. “partire dai bisogni essenziali: soddisfarli non avviene automaticamente, senza forze nuove”, 6. “Riferimento ad una sociologia umanista, olistica come bisogno di stare insieme e costruire una società civile che nasca dal basso attraverso una pedagogianonviolenta, partecipante, 7. “La rete sociale è più importante dell’organizzazione”, 8. “La lingua non violenta”, 9. “L’azione non violenta”, 10. “Una sociologia dell’azione” (Johan Galtung, Danilo Dolci: non violenza, sociologia, poesia, azione, in Salvatore Costantino (a cura di), Raccontare Danilo Dolci. L’immaginazione sociologica, il sottosviluppo, la costruzione della società civile, Editori Riuniti 2003, pp.50-55).
Galtung conosceva bene Danilo, le sue qualità e, al tempo stesso, i suoi limiti. Ma ne evidenzia soprattutto le qualità di “inventore sociale” e di “maestro dell’organizzazione”, creatore di un “apparato organizzativo innervato localmente nei paesi” (Johan Galtung, I gradini della nonviolenza, in «Critica liberale», 46, dicembre 1998. p.157), ma non isolato e collegato sistematicamente al livello nazionale e internazionale. Da questo punto di vista, appropriata mi sembra la definizione di Dolci come “imprenditore civile” (Antonio La Spina, Danilo Dolci “imprenditore civile”, in Raccontare Danilo Dolci, cit.).
Di particolare interesse e attualità (si pensi alla cronica crisi idrica e ai processi di desertificazione della Sicilia) mi sembra la categoria dolciana di “spreco” che, per diversi aspetti, si intreccia con la categoria hirschmaniana di “risorse latenti”. Su questa base, in pratica, la Sicilia andava considerata non tanto come un'area caratterizzata da risorse carenti, quanto piuttosto da risorse latenti, quindi non utilizzate e, dunque, sprecate. Ciò soprattutto alla svolta degli anni ’60 che poneva agli scienziati sociali e alla politica la necessità di una rifondazione delle categorie tradizionali di intendere lo sviluppo, la partecipazione e la costruzione della democrazia. Costruire società civile, opinione e volontà collettive significava costruire processi innovativi fondati su relazioni comunicative, e sulla reciprocità, sull’organizzazione e auto-organizzazione delle comunità. Ciò implicava, la necessità, anche per la Sicilia del superamento dei “blocchi concettuali, tra loro fortemente interdipendenti”, di cui parla Albert Hirschman per spiegarsi la “combinazione” di fattori di sviluppo di un sistema economico, e gli eventuali “blocchi” che ritardano, occultano o impediscono il raggiungimento di determinati obiettivi (in proposito: Albert O. Hirschman (1958), trad. it. La strategia dello sviluppo economico, La Nuova Italia, 1968, e Albert O. Hirschman, (1991), trad. it. Retoriche dell’intransigenza, Il Mulino, 1991).
Galtung non imbalsama Dolci in un cliché incapace di coglierne pure i limiti, gli errori e anche, a volte, le contraddizioni. Per questo era difficile “amare” Danilo – dice Galtung - per la sua forte personalità e il suo carisma tracimante.
L’esperienza dolciana non è tutta riconducibile a schemi lineari, non essendo priva infatti di difficoltà e, a volte, persino di rotture traumatiche o di frizioni relative ai moduli organizzativi, ai contenuti e alla lettura dei processi socio-economici e ai nodi del sottosviluppo.
Intervenendo nel merito dei dissensi che si verificarono con Dolci, Goffredo Fofi ha sostenuto che alla fine degli anni ’60 ci fu un contrasto, “una rottura che durò fino a un mese e mezzo fa, quando lo incontrai di nuovo. E parlammo, tanto”. Sulle ragioni del contrasto afferma che riguardavano “su come affrontare le grandi trasformazioni dell’Italia di allora, lo sviluppo repentino, l’emigrazione. Io andai a Torino, a lavorare con gli operai del Sud, lui restò in Sicilia, come prima”. Quanto a chi avesse ragione: “Non si può dire: i cambiamenti furono un turbine che ci travolse tutti. E la società mutò così rapidamente che adesso è impossibile dire di chi fu il merito, o la colpa” (Goffredo Fofi, Strana gente. 1960. Un diario tra Sud e Nord, Donzelli, 1993, pp. IX-X.
Vorrei concludere queste note con le parole, semplici ma efficaci, con le quali Goffredo Fofi sottolinea l’importanza della costruzione di reti relazionali e della democrazia dal basso nella Sicilia occidentale. Scrive Fofi riferendosi in particolare all’esperienza del Belice nella Prefazione al bel libro di Lorenzo Barbera I ministri dal cielo: “Nel Belice grazie alla presenza di pochi ma determinati “operatori sociali” o “volontari” o, come
forse sarebbe più giusto definirli, sollecitatori dal basso di forme di democrazia diretta e di responsabilizzazione di tutti nei confronti della “cosa pubblica”, di educatori nel senso di saper contribuire a far esprimere dai singoli e da una comunità le loro migliori energie, si è assistito a suo tempo a uno straordinario esperimento di democrazia dal basso, di lotte di popolo che, per la persuasione e la determinazione di tanti, portarono a notevoli vittorie” (Goffredo Fofi, Prefazione alla seconda edizione del 2011 de I ministri dal cielo di Lorenzo Barbera, pp. 7-8).
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