Il torturatore Almasri e la ragion di Stato

Società | 23 gennaio 2025
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Il petrolio italiano ed il lavoro sporco svolto per conto del governo italiano nell’azione di contenimento dell’emigrazione clandestina sul Canale di Sicilia offrono una ragionevole verità sul rilascio del capo delle forze speciali libiche Najeem Osema Almasri, raggiunto da un ordine di custodia dell’Alta Corte dell’Aja per i suoi crimini (atrocità, torture, stupri), arrestato ed espulso dal ministro dell’Interno, rimandato con un volo dell’Aeronautica italiana a Tripoli, dove è stato accolto da un tripudio di miliziani libici compiaciuti e felici.
La ragion di Stato ha richiesto che si violasse una decisione dell’Alta Corte di Giustizia, nata a Roma, e si liberasse immediatamente il torturatore con l’allucinante motivazione che la sua permanenza nel nostro Paese avrebbe provocato problemi di sicurezza nazionale. Un paradosso, dal momento che per i giudici dell’Alta Corte sarebbe la sua presenza in Libia piuttosto a essere causa delle atrocità addebitate.
L’iter di rilascio di Almasri è stato riferito al Senato dal ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, il quale ha lasciato intendere che l’ordine dell’Aja nascondesse la volontà dei giudici di assegnare la patata bollente all’Italia ed ha ricordato la decisione della Corte di appello di Torino di non convalida della detenzione per una questione procedurale sanabile con la stessa rapidità della liberazione del detenuto. Non c’è stato tempo per avvertire l’Aja del cavillo procedurale; il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, non ha avuto il tempo di occuparsi del caso come sarebbe stato un suo dovere fare, e il presidente del Consiglio, cui spetta la decisione di consentire il volo di Stato, non ha avuto il tempo di valutare una decisione che fa dell’Italia il Paese che più di ogni altro viola le decisioni dell’Alta Corte (caso Netanhiau).
La ragion di Stato, derubricata talvolta in ragione di sicurezza nazionale, ha giustificato i crimini più orrendi compiuti dal potere in ogni tempo. Ha fatto quella parte della storia che non leggeremo mai nei libri. Pretendere la verità sul trattamento di favore concesso all’alleato libico, accusato di ammazzare e torturare sventurati, rimane un dovere. Non solo per rendere giustizia alle vittime e non essere sospettati di complicità.
La ragion di Stato è infatti, ed è stata, come scriveva Foucault, «la tecnologia di potere» che ha permesso ai governi di costruire i loro Stati moderni, ma anche di commettere crimini in nome della loro conservazione. Dal massacro di San Bartolomeo alla sistematica oppressione delle minoranze, fino agli accordi segreti della Guerra Fredda, il principio secondo cui “il fine giustifica i mezzi” ha spesso sancito il predominio della forza sulla legge. Hannah Arendt, in Le origini del totalitarismo, ci ricorda che quando la ragion di Stato diventa l’unico criterio, le atrocità non sono un errore, ma una funzione intrinseca del sistema. 

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 di Salvatore Parlagreco

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