Il “nuovo” che avanza, strategie di Cosa nostra dopo il tramonto di Messina Denaro

L'analisi | 19 dicembre 2023
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Ci sono anni cruciali nella lunga storia di Cosa Nostra: il più importante è stato certamente il 1993, quando Totò Riina venne arrestato in pieno centro a Palermo, dopo 24 anni di libertà indisturbata e durante i quali “U curtu” aveva potuto tessere le proprie trame d’affari, e macchiare di sangue il territorio. Altra data significativa è stata senza dubbio il 2006, quando l’invisibile Bernardo Provenzano, ex fedelissimo di Riina prima della sua conversione alla strategia della sommersione, venne catturato in contrada Montagna dei Cavalli, a Corleone, suo luogo di nascita e negli ultimi anni di libertà vero e proprio feudo del boss, dopo una lunga permanenza a Bagheria.
Il cerchio si è chiuso il 16 gennaio 2023, quando l’ultimo esponente dell’ala stragista, Matteo Messina Denaro, è finito in manette, complice la malattia (che lo avrebbe portato alla morte nel mese di settembre) che aveva allentato le sue misure di sicurezza e prudenza nei movimenti.
Come dopo ogni arresto eccellente, la domanda è d’obbligo: cosa cambia adesso per Cosa nostra? Cosa muta nei suoi assetti organizzativi, nelle sue strategie, nella sua visione affaristica per il futuro?
Bisogna subito chiarire che Matteo Messina Denaro non è mai stato il capo di Cosa nostra, a dispetto dei suoi precursori, ma il leader indiscusso della provincia di Trapani, con la propria roccaforte a Castelvetrano. Certamente, come riscontrato dagli inquirenti, forte rimaneva la sua figura anche all’esterno dell’hinterland trapanese, con l’avallo che Messina Denaro dava a suo tempo in merito alle decisioni più importanti della Commissione (o comunque il suo non dissenso).
Bisogna inoltre aggiungere che il suo arresto ha rappresentato un sospiro di sollievo per la stessa mafia, che si era vista sempre più “braccata” con i continui arresti dei fiancheggiatori di Messina Denaro, con le inevitabili ripercussioni sulla libertà d’azione della criminalità organizzata in Sicilia.
Il cuore della “Piovra” rimane comunque Palermo, per quanto autorevole potesse essere la presenza del boss trapanese. Non a caso gli “occhi” della Direzione nazionale antimafia si indirizzano adesso su Giovanni Motisi, palermitano classe 1959 e latitante da ben 25 anni. Adesso è considerato infatti il numero uno fra i latitanti più ricercati d’Italia.
Alle spalle di Motisi condanne per omicidio, associazione mafiosa e strage: centrale il suo ruolo negli omicidi del commissario Beppe Montana e del vicequestore Ninni Cassarà, avvenuti a distanza di pochi giorni nel 1985, durante la stagione più cruenta di Cosa nostra con al comando Totò Riina.
Non è certo, ovviamente, il suo reale comando nella Commissione: negli ultimi anni i numerosi arresti compiuti a Palermo, fra i quali quello di Settimo Mineo, sembrano confermare una difficile riorganizzazione della struttura palermitana. Sembra definitivamente tramontata, soprattutto, la scelta di “affidare” a un uomo solo il potere assoluto, mentre più verosimile sembra una gestione collegiale di Cosa nostra, con una ridistribuzione più capillare dei poteri.
Si prolunga, insomma, la strategia del basso profilo e dell’immersione tenuta da Cosa nostra fin dal comando di Provenzano, vero stratega nell’assicurare affari all’organizzazione nel più assoluto silenzio.
L’arresto di Messina Denaro, in definitiva, non cambia la visione d’insieme di Cosa nostra, che prosegue quindi nella sua lucrosa e silente attività di arricchimento illecito. Il 2023 è stato un anno importante ma non determinante. La mafia non è sconfitta con l’arresto del suo ultimo “totem”.
 di Davide Mannelli

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