Il gattopardismo 4.0 del governo Schifani

L'analisi | 26 agosto 2023
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Non amiamo certa iconografia retorica della Sicilia, come luogo dove si addensano tutti i mali. Esempio illustrissimo ne è il colloquio che si svolge tra il principe di Lampedusa ed il piemontese cavalier Chevalley di Monterzuolo nel romanzo, Il Gattopardo (la pellicola è stata restaurata e messa in onda recentemente da Rai 1): “In Sicilia non importa far male o far bene: il peccato che noi siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di “fare”. Siamo vecchi, Chevalley, vecchissimi. Sono venticinque secoli almeno che portiamo sulle spalle il peso di magnifiche civiltà eterogenee, tutte venute da fuori, nessuna germogliata da noi stessi, nessuna a cui noi abbiamo dato il la; noi siamo dei bianchi quanto lo è lei, Chevalley, e quanto la regina d’Inghilterra; eppure da duemilacinquecento anni siamo colonia.” In Sicilia non importa far male o far bene: il peccato che noi siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di “fare”. Siamo vecchi, Chevalley, vecchissimi. Sono venticinque secoli almeno che portiamo sulle spalle il peso di magnifiche civiltà eterogenee, tutte venute da fuori, nessuna germogliata da noi stessi, nessuna a cui noi abbiamo dato il la; noi siamo dei bianchi quanto lo è lei, Chevalley, e quanto la regina d’Inghilterra; eppure da duemilacinquecento anni siamo colonia”.
Un'immagine sulla quale in Sicilia è spesso piaciuto adagiarsi, per scaricarsi- e scaricare sul mondo che non ci capisce - responsabilità che sono quasi tutte nostre. Ci attrae assai di più il modo moderno, a volte brutale, con cui il napoletano catanesizzato Federico De Roberto, pur scrivendo mezzo secolo prima del Tomasi di Lampedusa, ha dipinto l'ascesa alle massime cariche dell'Italia unita del giovane rampollo degli Uzeda di Francalanza dell'antica famiglia feudale spagnola che aveva dato alla Sicilia più di un vicerè. E' Consalvo Uzeda , figlio primogenito del V principe a cambiare prospettiva ad un certo punto della sua giovinezza di grande nobile dissipato e a dedicarsi alla grande politica. Il riferimento trasparente di De Roberto è Antonio Paternò Castello marchese di San Giuliano che divenne ministro degli Esteri del Regno nella cruciale prima decade del secolo ventesimo.
Non a caso fu Leonardo Sciascia che nell'edizione Einaudi del 1977, superando la critica radicale di Benedetto Croce che aveva influito negativamente sulle fortune del romanzo,a definire I Viceré: «Dopo "I promessi Sposi”, il più grande romanzo che conti la letteratura italiana”. E ci piace ricordare un altro grande scrittore che ha ribaltato gli stereotipi della Sicilia: quel Gesualdo Bufalino, grande costruttore di brucianti visioni che dalla Comiso dove insegnò e visse tutta la vita sintetizzò in maniera assoluta il dibattito sulla mafia in Sicilia: “la mafia sarà vinta da un esercito di maestri elementari.”
La lunga digressione per dire che la Sicilia è il luogo della contraddizione, del vecchio e del nuovissimo, di intellettuali di livello internazionale e di giovani laureati costretti a far le valigie e scappare (e che fanno bene ad incavolarsi per gli inutili predicozzi).
Eppure l'immagine che è apparsa dell'isola quest'estate è quanto di più negativo si possa immaginare: dall'incendio del Terminal dell'aeroporto di Catania, che ha rischiato di mandare in vacca una stagione turistica che si presentava di enorme interesse, alla miriade di incendi che hanno devastato boschi e foreste e financo il monte Pellegrino, incendiato da razzi lanciati da bellimbusti che intendevano confermare la propria inciviltà. All'arrivo numeroso quanto mai prima di migranti, dimostrazione del fallimento delle politiche del governo nazionale, ai recenti tragici ed abominevoli episodi di violenza sulle donne che hanno colpito le nostre coscienze.
L'idea che ci siamo fatti è che, nonostante le lezioni della pandemia, la Sicilia non ha alcuna resilienza, cioè nessuna capacità di affrontare e risolvere le proprie crisi trasformandole in opportunità. Il ceto politico che dovrebbe avere il coraggio di assumere decisioni e risolvere problemi, sembra davvero la versione 4.0 dei Gattopardi. E Renato Schifani , ex presidente del Senato, ha la storica immobilità del principe di Lampedusa senza tuttavia il fascino del grande Burt Lancaster.
Né purtroppo l'opposizione sembra godere di una salute di ferro. In un simile frangente, nel quale a settembre il Paese sarà chiamato a fare scelte difficilissime, con risorse sempre più scarse come ha preannunciato al meeting di Rimini il ministro Giorgetti, la Sicilia rischia di sparire dallo scenario nazionale tra autonomia differenziata e taglio delle risorse del PNRR. Esiste la capacità di costruire una capillare mobilitazione sociale che è l'unico strumento per impedite al governo Meloni (che è sempre più di destra destra specialmente sulla politica economica) di portare a compimento le sue scelte devastanti? Questa è la vera scommessa; da questo punto di vista la battaglia unitaria dell'opposizione sul salario minimo e sull'estensione erga omnes dei contratti collettivi sarà la strada giusta solo se non si svilupperà sui social media ma camminerà sulle gambe delle donne e degli uomini che avvertono la crescente difficoltà di vivere in questo paese.
La situazione resterà incandescente fino al 9 giugno 2024, quando si voterà per le Elezioni del Parlamento Europeo che potrebbero rappresentare il vero punto di svolta dell politica italiana. Sempre sperando che la situazione internazionale non precipiti: a Rimini il cardinal Zuppi, pur critico nei confronti dell'Unione Europea , è stato molto chiaro sulla distinzione tra aggressore ed aggredito e sul concetto di pace giusta. Si sta avviando una realistica prospettiva di negoziato che prenda atto dello stallo della situazione militare? Su questi temi, naturalmente nel nostro ambito limitato, rifletteremo il 15 settembre prossimo ai Cantieri Culturali della Zisa, presentando, insieme all'Istituto Gramsci, il bel volume su pace e guerra scritto da Pino Scorciapino.
 di Franco Garufi

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