Abuso d’ufficio, l’abrogazione che non fa bene alla giustizia

L'analisi | 13 gennaio 2024
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Ho già trattato il tema della giustizia in un recente
articolo. Allora mi ero illuso che le pressioni che arrivavano al Governo, in particolare al ministro Carlo Nordio,
da più parti – la società civile, gli intellettuali, i giuristi, i
costituzionalisti – potessero convincere il ministro a ripensamenti. Ma dentro
di me, in fondo, sapevo benissimo che si trattava di un’insana illusione. E
infatti sono costretto a riprendere l’argomento perché qualcosa di veramente
grave è avvenuta in Italia e lascia intendere che dovremo aspettarci ancora
tanti altri sgambetti.

La Commissione giustizia del Senato della Repubblica, presieduta
da Giulia Bongiorno, ha votato l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio,
regolato dall’articolo 323 del codice penale, con buona pace per tutti gli
amministratori pubblici – a cominciare dai sindaci – che finalmente adesso
potranno firmare gli atti amministrativi, anche quelli più temerari o
bordeline, senza dover temere che qualche procuratore della Repubblica,
eccessivamente attento, li metta sotto accusa. Stiano pure tranquilli sindaci, assessori, direttori generali, funzionari di enti pubblici e, comunque, tutti i colletti bianchi;
d’ora in avanti nessun inquirente s’interesserà più di loro. Così finalmente le
macchine comunali potranno ricominciare a funzionare a tutto beneficio dei
cittadini che potranno contare sul rilascio di atti, autorizzazioni,
provvedimenti in pochi giorni. Gli enti locali e tutti gli enti pubblici in
generale saranno efficientissimi e finalmente le città funzioneranno a dovere,
mostrando il massimo dell’efficienza. Non sarà più necessario che i vari
colletti bianchi e politici siano persone competenti ed esperte. Tanto, l’abuso
d’ufficio non è più un reato, quindi nessuno mai potrà essere indagato non solo
per gli errori commessi, ma anche per quelli voluti – per avere abusato delle
proprie funzioni. Così sarà più facile impostare sotto il segno della
“clientela” il rapporto fra cittadini e amministratori pubblici.



Invero, sono stati proprio i sindaci a fare particolare
pressione su Nordio per la riforma in argomento, non solo perché presi dalla
“sindrome della firma” e della conseguente eventuale condanna, ma anche, e
soprattutto, per lo spettro della fine della propria carriera.



E il ministro ha concesso ben più di una riforma che, quanto
meno, avrebbe avuto il carattere della mediazione fra la maggioranza e
l’opposizione: ha concesso direttamente l’abrogazione dell’intero articolo 323 c.p.



Non oso addentrarmi nel pericoloso dedalo di circostanze, di
avvenimenti, di fatti, a cui si andrà incontro quando i vari colletti bianchi
si troveranno ad avere le mani libere di potere firmare gli atti amministrativi
senza dovere temere azioni di responsabilità alcuna. A maggior ragione adesso che vi sono 220 miliardi da
distribuire, sui quali le famiglie mafiose hanno già redatto i loro bilanci
preventivi, pronti a confrontarli con i bilanci finali.



L’abrogazione del reato di “abuso d’ufficio” comunque è il
classico gioco operato dalle destre: è un po’ come quando un governo Berlusconi
al quale l’ordine giudiziario invocava l’integrazione del personale di
segreteria e cancelleria fino al tetto appositamente previsto per l’organico a
regime,  ebbene in quella occasione il
Governo ha risolto il problema abbassando il tetto; e fu così che non è stato
più necessario assumere altro personale. Analogamente, l’attuale Governo, per risolvere il problema
degli amministratori pubblici che si rifiutavano di firmare gli atti
amministrativi per paura di sbagliare e di essere indagati, normalizza il reato
di “abuso d’ufficio”. Adesso i pavidi amministratori pubblici, potranno firmare
tutto. E tutto il sistema della pubblica amministrazione si baserà sul rapporto
di “clientela”. Quel rapporto di “clientela” che ci riporta indietro agli anni
di Vito Ciancimino quando l’assessore e poi sindaco di Palermo riusciva a
sfornare anche 3000 concessioni edilizie in una sola notte. Si chiamò il “sacco
edilizio di Palermo”, quello che ha devastato la città privandola di eccellenti
opere d’arte liberty, per fare posto a palazzoni di calcestruzzo che ancora
oggi deturpano irreversibilmente la città. Quello fu un periodo davvero
disgustoso, nel quale un gruppo di politici di primo pelo come Lima e Gioia
guidati dal furbo ed esperto Ciancimino (primo politico ad essere condannato
per fatti di mafia) portarono a termine un perverso e criminale progetto che ha
contribuito alla formazione di veri e propri imperi criminali nelle mani di
pochi costruttori corrotti e spudorati; si pensi a Vassallo, Piazza, Buscemi,
Zummo, Civello. 

Leggendo attentamente le pagine dei giornali e riascoltando gli
interventi in aula e in Commissione giustizia, non ci si può non rendere conto
della gravità del momento politico che sta vivendo il nostro Paese e,
necessariamente, ogni cittadino italiano.



L’attuale Governo mostra assoluta incapacità e incompetenza.
Il presidente del consiglio necessita di essere attorniata da parenti e amici
ai quali ha riservato le migliori poltrone istituzionali, allo scopo di essere
abbondantemente tutelata nella sua attività gestoria.



La maggioranza parlamentare e l’attuale esecutivo sono nelle
mani delle destre più populiste e conservatrici presenti nel Paese che mai prima
d’ora avevamo conosciuto e che non garantirà nulla di buono alla comunità se
non una stretta dei principi di libertà dei cittadini.



Mi riferisco alla riforma della Giustizia che porta il nome
della Cartabia e che tanto sta facendo discutere per tutti quegli effetti
distorsivi della legge di riforma della Giustizia, attualmente all’attenzione
particolare dell’attuale maggioranza che brama di riuscire a portare a casa, in
questa legislatura, quelle riforme da sempre volute dal tanto inossidabile
Silvio Berlusconi.



Obbligatorietà dell’azione penale. È uno dei dispositivi della nostra Carta costituzionale
che all’art. 112 recita che il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare
l’azione penale. La ratio della legge
intende, per un verso, garantire l’autonomia del pm che appartiene alla
magistratura requirente e, per altro verso, garantire i diritti dei cittadini
che devono essere tutti uguali innanzi alla legge.



Dunque il pm, appresa la notitia
criminis,
qualunque sia la fonte di provenienza, ha l’obbligo di
intervenire autonomamente aprendo, se è il caso, le indagini.



Ebbene, pare che il Governo, per mano del ministro Carlo
Nordio, voglia abolire questa norma costituzionale riducendo il pm a un
semplice notaio che dunque non avrà più l’obbligo di perseguire autonomamente i
reati penali che resteranno impuniti. Piuttosto con molta probabilità potrà
indagare sui reati facenti parte di apposite liste di priorità (le quali molto
prevedibilmente non conterranno i reati di mafia, di terrorismo, la corruzione
e così via) che il Ministero sottoporrà alle Procure tanto da lasciare le mani
libere ai politici corrotti e ai boss mafiosi. Questa futura norma determinerà
inevitabilmente la fine dell’autonomia della magistratura e, pertanto, la fine
della separazione dei poteri – legislativo, esecutivo e giudiziario – adottata
dall’Italia e ispirata ai principi e modelli di Montesquieu.



Il progetto politico di questo Governo è ben chiaro: l’obiettivo
è quello di riformare la magistratura nel senso di sottometterla al potere
esecutivo attraverso l’emanazione di indirizzi politici ben precisi.

 di Elio Collovà

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