Uso e insidie dei social network: le bufale nella rete sono credibili
Il web è considerato come un mezzo indispensabile per acquisire informazioni e i social network come uno strumento utile per scambiare opinioni, confrontarsi, allargare conoscenze e raccontare di sé. La rete per le nuove generazioni è dunque parte integrante della propria realtà e della vita sociale. La grande maggioranza dei “Millennials”- la generazione di utenti nati tra il 1980 ed il 2000-, sembra essere a conoscenza di insidie e rischi anche se non sempre è pienamente consapevole della loro portata e delle loro implicazioni.
Diventa, pertanto, esperienza comune essere vittima o spettatore passivo o complice più o meno involontario di situazioni spiacevoli e di pratiche lesive. Accade spesso, infatti, di imbattersi nella diffusione di notizie false (“bufale”), in contenuti offensivi e discriminatori (“hate speech”), in provocazioni gratuite e accuse infondate (“trolling”). L’indagine di approfondimento dell’“Osservatorio Giovani” dell’Istituto Giuseppe Toniolo su “Diffusione, uso, insidie dei social network”, condotta a gennaio 2017 su un campione di 2182 persone, costituisce un’anticipazione dell’approfondimento che l’Osservatorio Giovani ha realizzato in occasione di “Parole O_Stili”, un evento contro la violenza nelle parole che si terrà a Trieste il 17 e il 18 febbraio.
La quasi totalità dei giovani tra i 20 e i 34 anni usa la rete, la grande maggioranza è presente sui social network. Tra questi, il 90,3% ha un account su Facebook, segue Instagram con 56,6%, Google+ con 53,9%, Twitter 39,9%. Rilevante è anche la presenza su LinkedIn, più orientato a profili professionali, che arriva al 22,4%. Gli utenti di Pinterest arrivano al 20,4% e su Snapchat al 16,1% (che sale al 27,4% nella fascia più giovane del campione, gli under 22). Più di nicchia gli altri. Gli utenti di Facebook risultano anche i più assidui, presenti quotidianamente con il 93% dei casi, seguiti da Instagram (74%) e Snapchat (56,9%). Lo strumento privilegiato per connettersi è lo smartphone (72,7%). Rispetto alle attività svolte nell’ultima settimana, quelle più comuni sono leggere post di amici/follower (fatta “spesso” dal 74,1% degli intervistati), leggere news (63,2%), conversare privatamente tramite Messenger (57,8%).
Le attività che comportano l’inserimento di contenuti sono meno frequenti, ma coinvolgono una larga parte del campione: commentare post di propri contatti (49,1%), postare materiale sulla propria pagina (40,7%), condividere news (35,4%), postare proprie foto o video su pagine altrui (32,6%). Di rilievo anche le voci “Leggere/cercare annunci di lavoro” (28,3%) e “Visitare account di personaggi pubblici” (26,6%), commentare una news su una pagina di media ufficiali (23,5%). Nel complesso, la presenza attiva sui social dei giovani appare ampia, con un’intensa interazione e condivisione di materiali, news e opinioni. Allo stesso tempo emerge la consapevolezza dei rischi. Alto è infatti il consenso sul fatto che non vanno presi troppo sul serio perché i contenuti che vi si pubblicano possono essere tanto veri quanto “inventati” (86,6%). Il 28,5% dei giovani ammette che gli è capitato di condividere un’informazione che poi ha scoperto essere falsa. Al 73,8% degli intervistati è inoltre capitato di accorgersi di bufale pubblicate da amici.
La possibilità di cadere in questa trappola è legata alla frequenza di uso dei social e dalla frequenza con cui si condividono news postate da propri contatti o da altre fonti non istituzionali. Esiste però anche un interessante legame con il titolo di studio: tra chi ha titolo basso (si è fermato alla sola scuola dell’obbligo) la condivisione di un bufala sale al 31,7%, mentre scende al 28% per chi ha un titolo di scuola superiore, e al 24% tra i laureati. I laureati ci cascano di meno, ma si accorgono di più di una notizia falsa condivisa da un proprio amico/follower (77,8%, contro 74,6% di chi ha titolo intermedio e 70,4% di chi ha titolo basso). A seguito di un’esperienza personale o la diffusione da parte di un amico, il 75,4% degli intervistati dichiara di aver aumentato la sensibilità verso tale tema e l’attenzione verso contenuti sospetti.
Il 55,6% ha smesso di condividere contenuti da contatti con contenuti rivelati come bufale, il 41,7% si è trovato anche a rimuovere contatti dalla propria rete. “La fiducia nei social network è comunque complessivamente bassa tra i giovani, ben consapevoli del fatto che molti li usano come passatempo e luogo in cui farsi notare o sfogare le proprie frustrazioni – ha spiegato Alessandro Rosina, curatore dell’indagine - Ma per una parte rilevante sono considerati anche un contesto in cui sviluppare dinamiche di relazione e scambio di informazioni, messo però in crisi dalle troppe insidie dalle quali non è sempre ben chiaro come difendersi”. L’11,2% degli intervistati non adotta mai nessuna strategia per cautelarsi, condivide in modo indiscriminato, ritenendo che sia impossibile comunque controllare la veridicità di tutto. Quest’accettazione incondizionata è fortemente legata al titolo di studio. Solo la minoranza (45,4%) di chi ha un titolo basso è del tutto contraria alla diffusione indiscriminata, mentre si sale al 63,2% tra chi ha un titolo medio e al 66,5% di chi ha un titolo alto.
Il 45,5% di chi ha avuto un’esperienza di diffusione di notizie infondate concorda con l’idea che tutto sommato le “bufale fanno parte del gioco e del bello dei social network”, senza differenze rilevanti per titolo di studio. Per il 53% di chi le ha subite, invece, è diminuita complessivamente la propria fiducia sui social network. In questo caso i più vulnerabili, perché rischiano maggiormente di caderci e hanno meno strumenti per difendersi, sono coloro che hanno un titolo basso. Per essi la perdita di fiducia sale al 60,4%.
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