Lotte e sconfitte
nelle campagne siciliane
al tempo di Ovazza / 1

Società | 21 dicembre 2024
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Il periodo degli anni 1940–1970 per la Sicilia può considerarsi come un tempo di transizione, dettato dalla seconda guerra mondiale, fra un anteguerra caratterizzato dalla staticità di atavici e secolari diritti economico-sociali e un dopoguerra caratterizzato da eventi politici, sociali, economici diversi e opposti, che hanno apportato al mondo contadino sofferenze, un tragico versamento del suo sangue e la restrizione della sua libertà, con il carcere, come appunto è testimonianza in quei tempi la vita di Pio La Torre.
Nel periodo prebellico le condizioni di vita della popolazione siciliana erano caratterizzate da forte squilibrio economico-sociale fra i diversi ceti; questo squilibrio in agricoltura era evidenziato ed espresso dal confronto fra le poche centinaia di lire di reddito pro capite delle centinaia di migliaia di contadini e giornalieri di campagna (93,5% della popolazione attiva agricola) e i milioni di lire di reddito medio pro capite dei pochi grandi proprietari terrieri, imprenditori capitalisti e latifondisti (6,5%). Nel 1947 i grandi proprietari terrieri, con oltre 100 ettari di superficie agraria catastale e oltre 30mila lire di reddito imponibile, erano 2.749, cioè lo 0,23% del totale proprietari, e possedevano il 37,1% della intera superficie agraria catastale (2.488mila ettari).
L’area delle grandi proprietà terriere, il latifondo, ricadeva nell’ampio entroterra isolano, povero di opere infrastrutturali, di miglioramenti fondiari e agrari, con insediamenti rurali sparsi e lontani; essendo costituita da seminativi, terre incolte e pascoli dava luogo, anche per ragioni storiche, economiche e sociali, ad una agricoltura povera ed estensiva, spesso anche di rapina per l’eccessivo sfruttamento del suolo, con coltivazioni ripetute (quasi sempre ringrano) e con pascolamento intensivo dei terreni. L’ambiente climaticamente era malsano e diffusa pertanto era la malaria, socialmente insicuro per i frequenti furti, l’abigeato, le rapine, opprimente per la presenza della mafia, costituita da sovrintendenti, gabelloti, campieri e loro sodali (i cosiddetti “picciotti”).
Il problema dello sviluppo territoriale, nella accezione moderna di rendere il territorio produttivo, sicuro e abitabile nel dibattito politico e culturale ebbe avvio verso la fine dell’Ottocento, sviluppo concettuale nel cinquantennio successivo e conclusivo negli anni Trenta, con il termine di “bonifica integrale”, vale a dire: un insieme di opere idrauliche, agricole e fondiarie finalizzate al progresso dell’agricoltura sotto l’aspetto igienico, economico e sociale, che si sostanziò nel decennio 1923-1933 in alcune importanti leggi, promosse ed elaborate da Arrigo Serpieri, economista agrario, l’ideologo culturale e politico del concetto di sviluppo agricolo, insieme a diversi altri (politici, economisti generali ed agrari, fra cui si ricordano Luigi Sturzo, Luigi Einaudi, Ugo La Malfa, Giuseppe Medici, Manlio Rossi Doria). L’opera legislativa di Serpieri nel tempo fu apprezzata da Antonio Gramsci, Palmiro Togliatti, Sandro Pertini, ed all’estero sia nel mondo democratico, sia nell’Unione Sovietica, come esempio della politica di programmazione.

Lo scontro con gli agrari

Serpieri nel ventennio fascista ebbe numerosi e duraturi incarichi di governo, fu deputato e nominato senatore del Regno, ma deplorava il latifondo e i latifondisti (gli agrari), causa del sottosviluppo economico e sociale della popolazione agricola. Nel 1924 redige la legge sulle trasformazioni fondiarie, che dava concretezza al concetto di bonifica integrale con il risanamento delle zone malsane e malariche e con il loro recupero alla agricoltura, prevedendo l’esproprio delle terre ai proprietari inadempienti. Gli agrari reagirono duramente costringendo Serpieri a dimettersi dagli incarichi di governo.
In questo clima politico il Governo nel 1925, su proposta del Banco di Sicilia istituì l’Istituto Vittorio Emanuele III per il bonificamento della Sicilia, ma per le proteste dei latifondisti l’avvio delle attività si ebbe nel 1930. Il personale assunto durante il decennio di attività fu molto professionale e notevoli furono le attività svolte.
Ai fini della colonizzazione e a dimostrazione degli effetti tecno economici di nuovi ordinamenti produttivi, e quale esempio di realizzazione del concetto di bonifica integrale, nel 1934 l’Ente acquistò la tenuta (ex feudo) Sparacia di 1700 ettari, sita in contrada Tumarrano in territorio di Cammarata, dove organizzò l’Azienda dimostrativa Sparacia, appoderandola con 80 unità aziendali dell’ampiezza di 20 ettari ciascuna e con campi sperimentali nelle coltivazioni erbacee, in special modo nel comparto della cerealicoltura.
Nel 1933 Serpieri redige il “Testo unico sulla bonifica integrale” (Regio Decreto n. 215 del 13 febbraio 1933), ancora oggi operante, nelle regole e nei principi.
Nel 1935 Serpieri ebbe un ulteriore scontro perdente con gli agrari, ma i tempi e gli avvenimenti storici (la conquista dell’Etiopia nel 1936, che insieme a Eritrea e Somalia costituiva l’Africa Orientale Italiana) portarono Mussolini a proclamare l’impero fascista e nel 1937 a definire la Sicilia il centro geografico di tale impero. Mussolini pertanto modificando radicalmente la posizione favorevole ai latifondisti assunta nel 1921, annunciava l’«assalto al latifondo» e la liquidazione della grande proprietà fondiaria, che rischiava di far fallire la politica di colonizzazione, che aveva avuto successo nel centro nord con l’appoderamento.
L’assalto al latifondo trovò realizzazione con il R.D. 2 gennaio 1940 n. 1 – Colonizzazione del latifondo siciliano e applicazione con i successivi decreti relativi al nuovo Ente, che assorbiva l’Istituto Vittorio Emanuele III per il bonificamento della Sicilia. La legge aveva lo scopo di creare unità poderali dove stabilizzare l’insediamento delle famiglie coloniche. I proprietari avevano l’obbligo di instaurare nelle loro aziende un’adeguata direzione tecnica. Riguardo alla bonifica ed alla colonizzazione i poteri dell’Ente erano ampi e cospicue le disponibilità finanziarie.
In questo contesto, l’assetto organizzativo del territorio comportava l’insediamento in campagna della popolazione agricola e dunque costruzioni di case coloniche e borghi rurali di servizio.
Il programma di colonizzazione prevedeva l’appoderamento di 500mila ettari di latifondo posseduti da 892 proprietari terrieri; la ripartizione prevedeva 20mila unità autonome (i poderi) con estensione media di 25 ettari. Il podere affidato alla famiglia colonica con contratto di tipo mezzadrile o enfiteutico. A supporto operativo dei poderi erano previsti 20mila case coloniche, 24 borghi e 30 sottoborghi di servizio.
L’attività dell’Ente nei due anni di guerra fu notevole, ma la guerra, l’occupazione alleata, le dure lotte contadine per il “pezzo di pane” e per il “pezzo di terra, incanalate dalla politica nella seconda metà del decennio, verso la pressante e rivoluzionaria richiesta contadina della “riforma agraria”, le decise e dure reazioni di opposizioni degli agrari latifondisti, la inevitabile violenza mafiosa, che versò sangue di braccianti sindacalisti, la stessa caduta del fascismo, impedirono la realizzazione del progetto di sviluppo economico sociale del territorio, ispirato dal pensiero e dalla scienza degli economisti agrari dell’epoca, già citati.

Latifondo e uso delle terre

Tuttavia vi è un fatto, un esempio (come quello di Sparacia), che dimostra come potevano migliorare le condizioni di vita dei contadini.
L’unico caso riguardò la Ducea di Bronte di proprietà della famiglia nobiliare inglese Nelson- Bridport. Come bene di un cittadino di uno Stato nemico, fu sottoposto a sequestro; l’Ente di colonizzazione ne prese possesso, dando origine all’azienda agricola Maniace di 5.700 ettari circa.
La colonizzazione dell’azienda prevedeva la stabilizzazione di oltre 500 famiglie contadine, che già lavoravano e vivevano nella Ducea, la costruzione di 100 case coloniche e di un borgo di tipo A.
Con la fine della guerra la Ducea ritorna nella proprietà della famiglia inglese e il borgo raso al suolo nel 1964.
Dopo lo sbarco degli Alleati la Sicilia occupata venne amministrata per sette mesi dal governo militare alleato (Amgot), sostituendo nel governo pubblico gli amministratori nominati dal governo fascista; fra questi quelli dell’Ente di colonizzazione del latifondo siciliano: il commissario Nunzio Prestianni con il commendatore Rosario Corona e il direttore Nallo Mazzocchi Alemanno con Mario Ovazza.
Nell’immediato dopoguerra la situazione del Paese e specialmente della Sicilia era disastrosa, era pertanto ineluttabile che le lotte contadine e dei braccianti esplodessero in modo drammatico e fossero mirate a modificare l’uso della terra al fine di realizzare il pieno impiego, la massima occupazione e il miglioramento del tenore di vita delle popolazioni rurali.
Dal Governo di Unità Nazionale furono promossi interventi per la Sicilia, fra cui nell’ottobre 1944 i tre decreti per l’agricoltura, detti Gullo, dal nome del ministro in carica, riguardanti la concessione per quattro anni delle terre incolte e mal coltivate a cooperative di contadini, la riduzione del canone di affitto, la ripartizione della produzione nella mezzadria impropria (in Sicilia detta metateria), la proibizione dell’intermediazione nella stipula dei contratti agrari. Queste norme, però, non furono mai (o quasi mai) applicate.
Nel maggio 1945, con la fine della guerra e con il ritorno dei reduci dal fronte, dato lo stato di penuria e indigenza dei circa ¾ della popolazione siciliana, iniziò un duro scontro per l’applicazione operativa dei decreti Gullo e soprattutto per realizzare l’anelito economico sociale del “la terra a chi la lavora”.
Ma la sconfitta più pesante il movimento contadino la subì proprio nella concessione delle terre incolte e mal coltivate a cooperative agricole: per gli oltre 100mila contadini l’operazione fu un totale fallimento.
La impari lotta avvenne nelle campagne con l’occupazione delle terre dei feudi, difese dai campieri, dai gabelloti e dai sovrastanti, e nelle aule dei tribunali per i ricorsi di inadempienza contrattuale promossi dai latifondisti e difesi da principi del foro.
Gli ostacoli più difficili da superare per le cooperative erano: dapprima la redazione dei piani di utilizzazione e di miglioramento e dopo la verifica del rispetto degli adempimenti previsti dai piani di trasformazione colturale.
La grave deficienza tecnico professionale era diffusa e si riscontrava nei contadini, nelle dirigenza delle cooperative, dei sindacati, e dei partiti che sostenevano il movimento contadino, perché in Sicilia i tecnici (agronomi e periti agrari) erano pochissimi.
In questo quadro di carenza professionale una soluzione alla necessità della redazione dei piani di utilizzazione e di miglioramento fu promossa dall’alto Commissariato retto da Giovanni Salvaggio, che con un decreto costituì, presso l’Ente di colonizzazione, il “Centro di assistenza alle cooperative agricole” diretto dal funzionario Serafino Scrofani (divenne docente di economia e politica agraria all’Università di Messina), con un comitato di esperti, costituito dai professori della Facoltà di Agraria di Palermo Francesco Platzer, economista agrario, Emilio Zanini, agronomo, e con Mario Ovazza, ingegnere idraulico e direttore dell’Ente di colonizzazione.
L’alacre e tempestivo lavoro del Centro di assistenza iniziato nel novembre 1946, fu interrotto nel giugno 1947 da un provvedimento della Corte dei Conti che dichiarò, su istanza e ricorso degli agrari latifondisti, illegittimo il decreto commissariale.
Il movimento contadino così fu sconfitto: sul campo dagli agrari latifondisti e dai loro sodali mafiosi, nelle aule dei tribunali dall’ignoranza professionale.
Si vuole ricordare che al censimento della popolazione del 1951, nella popolazione con età superiore ai sei anni l’analfabetismo e l’alfabetismo senza titolo di studio erano rispettivamente il 24,5% e 23,6%, mentre in Italia si registrava rispettivamente l’8,3 e 8,2%.
Riguardo alla concessione delle terre incolte e mal coltivate alle cooperative agricole, le cooperative costituite furono 750, i soci 100.310 (mediamente 134 soci per cooperativa), le domande di concessione 4.809, la superficie richiesta 903.743 ettari; le assegnazioni ottenute furono 987 (20,1%), la superficie concessa 86.420 ettari (9,5% della richiesta), in media 87 ettari per cooperativa e 6,55 are per socio, cioè quasi il nulla per qualunque ordinamento colturale sia nella conduzione collettiva che in quella individuale. Ma il contenzioso fra i soci non finiva qui, perché la superficie ottenuta, seminativi e incolti, difficilmente era omogenea per fertilità dei terreni.
L’attività dell’Ente di colonizzazione fu bloccata subito dopo la caduta del fascismo (luglio 1943) dalle polemiche fra chi vedeva nell’Ente una istituzione fascista (specialmente i latifondisti penalizzati politicamente ed economicamente dalla colonizzazione) e chi invece sosteneva essere uno strumento al servizio dell’agricoltura. In questo frangente il personale fu abrogato (non licenziato).
1 - SEGUE 
 di Nino Bacarella

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