La legalità vero antidoto per la cultura mafiosa

Società | 30 dicembre 2024
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Non c’è giorno in cui non si parli di legalità. Si fa nelle scuole, negli enti, nei sindacati. Perché la cittadinanza, oggi più che ieri, sembra sia attratta dal termine; al quale, però attribuisce, il più delle volte, significati non corretti o comunque che inducono a credere che, tutto sommato, anche alla legalità si può derogare.
Questo dimostra ancora una volta che purtroppo il concetto di legalità, inteso nel senso di rispetto assoluto delle regole, non è stato ancora ben acquisito dalle persone. Il senso che in genere viene attribuito a tale sostantivo, nel migliore dei casi, viene inteso… come una regola, ma pur sempre una regola che può essere derogata, ove dovesse occorrere; questo perché quella popolazione, che sembra essere fornita di media cultura, non sempre è in possesso degli strumenti intellettuali necessari per comprenderne il significato autentico.
Ho già trattato questo tema nel libro “Confische Spa” (edito da Europa Edizioni nel 2014). E ritenendo che, da dieci anni ad oggi, sembra che nulla sia cambiato, che i problemi del rispetto della legalità siano sempre a galla, nonostante il territorio presenti molteplici istituzioni e iniziative di volontari che fanno opera di divulgazione – ho voluto riprendere quell’articolo che oggi (con qualche piccolo aggiornamento) ritrae le medesime problematiche.
E allora, per quanto mi riguarda mi riferirò a un certo autorevole filosofo francese, Montesquieu, che nella sua opera “L’esprit de lois” discute intorno alla separazione dei poteri dello Stato: legislativo, esecutivo e giudiziario. Come si può immaginare, dopo dieci anni si parla sempre dello stesso argomento.
Il filosofo sosteneva che questi tre poteri devono rimanere assolutamente separati l’uno dall’altro perché possa essere garantita la libertà del cittadino. Se ciò non fosse, si avrebbe il potere assoluto che è quello che corrompe. Egli cercò di dimostrare come le leggi dei popoli non si fondano sull’arbitrarietà o sulla casualità, ma dipendono dalla natura dei popoli stessi, dalla loro storia, dalle usanze, dalla religione. È per questo che l’uomo, siccome facente parte della società, è sottoposto a regole fondamentali, è sottoposto alle leggi.
La legalità dunque deve essere intesa come obbedienza alle leggi, con il fine di farci vivere in maniera civile e pacifica. La legalità deve essere considerata come un vero e proprio investimento nella vita di ciascuno di noi. Ovviamente, un investimento improprio, atipico, inteso sia in senso economico che sociale, dal quale ti aspetti prospetticamente non solo ritorni finanziari per la società ma anche tutela dei diritti della persona.
Un investimento il rispetto delle leggi
L’economista Donato Masciandaro, nel corso di un convegno su criminalità, corruzione ed evasione fiscale, ha sostenuto che “la lotta alla criminalità, organizzata e non, comincia con il considerare la legalità come un investimento, non più come un costo”.
È vero. La legalità costituisce un investimento che interessa tutti; un investimento che dovrebbe fare ciascun componente dell’intera società civile, che ci potrà dare serenità, garanzie di sicurezza, tutela della democrazia, salvaguardia dei diritti. La difesa della legalità risiede nel continuo confronto con il mondo dell’illegalità – quel mondo dell’illecito e del dispregio delle regole – verso il quale deve mostrare la risoluta capacità di trovare ogni antidoto per combatterla.
Il problema del rispetto della legalità è un problema fondamentalmente socio-culturale e quando nella società civile manca la cultura della legalità è perché si è radicato, in maniera endemica, il sistema della malversazione, della mala gestio, del rigetto delle regole, che non sempre è facile estirpare.
Quando il lecito non si distingue dall’illecito
È un tema assolutamente attuale tenuto conto dell’imperversare della cultura mafiosa intesa non solo con riferimento all’organizzazione criminale ma anche con riferimento a quella ordinaria, quotidiana – molto più diffusa nella società – che viviamo continuamente e di cui molto spesso non ci accorgiamo per averla ormai assimilata come habitus consueto. La peggiore malattia che possa colpire la società civile è quella di non riuscire più a distinguere il lecito dall’illecito, il legale dall’illegale. Questo accade quando l’illegalità si è radicalizzata a tal punto nella cultura collettiva da divenirne parte integrante, da rientrare nella normalità.
Il rischio che oggi viviamo consiste nella normalizzazione culturale di quella mentalità mafiosa che costituisce il vero sostegno di base per l’attività criminale.
Per evitare questo rischio è necessario che i cittadini non assopiscano la propria cultura, che rimanga sempre viva la voglia di combattere le ingiustizie, di sottrarsi alle sudditanze, di reagire alle prepotenze e ai soprusi, di denunciare le intimidazioni.
Il confine fra la legalità e l’illegalità non è così netto come potrebbe credersi. È un confine molto frastagliato sul quale si forgia una zona di confusione nella quale la legalità, nella sua plastica essenza, concede deroghe e si avvicina all’illegalità: è lì, in quell’area astratta, che avviene la confusione che dà spazio alla normalizzazione dell’illegalità.
Mi ritorna in mente quanto sostenuto da Roberto Scarpinato, allora procuratore aggiunto della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, oggi senatore e che per anni ha coordinato a Palermo il gruppo di sostituti procuratori che ha lavorato alla richiesta di applicazioni delle misure di prevenzione. È divenuto uno dei maggiori esperti dell’intrigata materia.
“La cultura e il metodo mafioso ogni giorno di più diventano prassi diffusa, quasi inavvertita, dimodoché non se ne avverte più l’alterità e il carattere patologico. Stanno tornando a essere quel che erano in passato: una componente della normalità italiana: Il Principe è tornato a cavalcare la storia ed è in forma smagliante”.
Ecco… il Principe è in forma smagliante… Egli è tornato imperiosamente a cavalcare la storia, con grande boria e sicurezza, fortemente supportato da una collettività che, sia pure inconsapevolmente, e forse anche incolpevolmente, gli fornisce l’appoggio più incondizionato mediante la radicalizzazione di una cultura becera e scadente che non sa più reagire, che rimane inerte davanti all’incapacità dello Stato di combattere il fenomeno dell’illegalità diffusa tanto da riscontrare cittadini assuefatti ad un nuovo sistema alternativo, fatto di corruzione, di evasione fiscale e di illegalità di piccolo cabotaggio che consente di superare i limiti imposti dalla legge, di lunghe pratiche burocratiche per ottenere i propri diritti e quindi di godere di piccoli vantaggi che l’osservanza puntuale della legge impedirebbe.
E non parliamo più di quella società civile appartenente ai ceti meno abbienti che compiono tale scelta culturale quasi senza cognizione alcuna; parliamo anche della media borghesia, anch’essa messa in difficoltà dall’attuale crisi economica, costretta, per sopravvivere a rivolgersi ad “istituzioni” alternative. D’altro canto la rivoluzione in campo legislativo operata dai governi Berlusconi ha garantito una sorta d’impunità non indifferente che funge da vero e proprio incentivo.
E poi c’è quell’altra parte della società costituita dall’alta borghesia, dai poteri forti, dai grandi patrimoni; quella società che intrattiene forti legami con la politica e che, anzi, molte volte, è un vero tramite tra il mondo politico e il mondo dell’illegalità, del malaffare… della criminalità organizzata.
Il malaffare che sostiene la mafia
Se vogliamo semplificare al massimo, possiamo senza dubbio alcuno affermare che oggi la mafia è sostenuta da tre elementi: l’evasione fiscale, il riciclaggio e la corruzione. Eppure, nonostante la questione sia più che evidente, non sembra che la politica abbia deciso di intraprendere il percorso del contrasto alla criminalità organizzata su questo fronte, mettendo in campo provvedimenti seri e concreti.
Orbene, come già detto, questo passo fa parte del mio libro “Confische Spa”, scritto e pubblicato dieci anni or sono; eppure, rileggendolo oggi – anche con un atteggiamento molto critico – non riesco a trovare un solo vocabolo o aggettivo o espressione che possa darci un segnale di miglioramento nella crescita intellettiva collettiva tanto da potere riscontrare cambiamenti positivi nella lotta alla criminalità organizzata.
Questo non vuol dire che le attività di volontariato che giornalmente compiono sacrifici notevoli, per diffondere i principi di legalità, debbano rinunciare a questi percorsi. Invero, senza la loro opera, la situazione della lotta a cosa nostra, sarebbe, fuor da qualsivoglia dubbio, peggiorata. Non bisogna tralasciare niente, non bisogna mai lasciare il campo e proseguire nel lavoro di diffusione dei principi di legalità, perché la parola è l’unica ma vera arma di combattimento, è lo strumento più adatto per farsi sentire dalla gente con chiarezza. Ma soprattutto, è l’unica arma per farsi sentire dalla classe dirigenziale e dalla politica.
 di Elio Collovà

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