Mattarella fermato
per le aperture al Pci

Politica | 3 gennaio 2025
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Forse ha ragione Leoluca Orlando quando, in un intervento su questa pagina, ci invita ad andare oltre le verità giudiziarie per tenere in considerazione il diritto alla verità storica. Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini (l’uno capo ed il secondo membro dei Nar) non sono stati ritenuti colpevoli in sede giudiziaria dell’omicidio di Piersanti Mattarella nonostante il riconoscimento da parte della moglie di almeno uno dei due terroristi neri. Un legittimo processo si è espresso così.
Anche la ricerca storica ha le sue verità e si alimenta di fonti, prove, verifiche, e queste ci dicono che l’omicidio di Piersanti Mattarella fu un delitto politico maturato dentro un quadro generale di attacco agli equilibri politico-istituzionali del paese. Come Matteotti, come Moro, come la strage di Portella della Ginestra, come Falcone e Borsellino. Come La Torre e Reina, secondo quanto disse Giovanni Falcone alla Commissione antimafia.
Perché? Beninteso, questi delitti e queste stragi obbediscono a logiche diverse, a diverse condizioni storiche e politiche del nostro paese. Ma il dato certo è che l’Italia, non la Germania o la Francia piuttosto che la Spagna, è l’unico paese europeo ad essere stato accompagnato da una lunga scia di stragi, fin dalla liberazione dal nazi-fascismo. Cosa ci distingue dagli altri paesi europei? Alfio Caruso, in un suo bel libro ci dice che l’Italia aveva una democrazia imperfetta: “ospitavamo il Vaticano ed il più importante Partito comunista dell’Occidente”. E continua: “Fino alla dissoluzione del comunismo la Penisola è stata teatro della più calda delle guerre fredde”. Cioè, questo mi pare di capire, la condizione particolare del paese sia sul terreno geo-politico che su quello della politica interna era (ed è) particolarissima. Di fatto siamo tra gli sconfitti (salvati in extremis) della Seconda guerra mondiale e quindi non siamo protagonisti del dopoguerra. Ed in questo quadro la Sicilia ha una sua centralità per la collocazione in uno dei tratti di mare più strategici del mondo, visto che si affaccia a Sud, ad Est e ad Ovest. E poi, ovvio, la mafia in Sicilia è stata strutturalmente uno dei pilastri del potere, legale ed extralegale. Insomma, l’Italia e la Sicilia, negli equilibri del dopoguerra e nel contesto della nuova guerra fredda, sono il luogo dove si giocherà una partita della massima importanza.
Piersanti Mattarella fu il presidente della Regione che più di tutti sostenne ed incoraggiò il percorso di avvicinamento tra Dc e Pci avviato da Moro per sbloccare fino in fondo il processo democratico del paese. Moro viene ucciso dalle Br per intimidire la Dc e bloccare il percorso segnato di alleanza, seppur progressiva, con il Pci. Anche Mattarella, eletto Presidente proprio nei giorni terribili tra via Fani e via Caetani, verrà ucciso per la sua volontà di proseguire nella politica di intesa con il Pci. In effetti, i destini del paese e della Sicilia, in quegli anni, si intrecceranno continuamente.
Siamo nel 1975, il Pci ha conquistato alle elezioni amministrative tutte le più grandi città del paese e si porta ad una “incollatura”, in quel turno elettorale, dalla Dc. Era la prima volta dal 1948. In quell’anno Piersanti Mattarella spinge la Dc ad aprire ad un nuovo rapporto con il Pci. Il Presidente della Regione è Angelo Bonfiglio, ma è Piersanti Mattarella l’anima della svolta. È il tempo dell’accordo di “fine legislatura” e la Sicilia si pone alla testa di quel processo di rinnovamento guidato a Roma da Aldo Moro. La strada è tracciata. Adesso Moro è più forte all’interno del suo partito. La Sicilia è un enorme contenitore di voti ed è anche la Regione dove mafia e politica hanno un rapporto che non esiste in nessuna area del paese. Qui, in Sicilia, nella Sicilia di Lima, di Gioia, di Ciancimino, solo per stare ai più noti, sembra che, a dispetto di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, tutto stia per cambiare.
Achille Occhetto e Piersanti Mattarella giocano una partita inedita: l’uno sfidando i sentimenti anti Dc del suo popolo, l’altro portando ad un nuovo rapporto con il Pci un partito che era cresciuto anche, e non solo ovviamente, proponendosi come “diga” anticomunista. La Sicilia di Mattarella e di Occhetto prova a cambiare le cose. E Mattarella è l’uomo che ha le chiavi in mano, poiché la “rivoluzione democristiana” scuote le fondamenta della politica e del partito e promette di sconvolgere gli assetti della politica non solo siciliana ma nazionale. Altro che appalti; altro che ispezioni della Regione al comune di Palermo sugli appalti di sei scuole! Ovviamente non sfugge la delicatezza di una vicenda sinistra come quella di una ispezione al Comune di Palermo per appalti che toccavano il cuore del sistema mafioso palermitano, a partire dalla figura di Rosario Spatola. In quella vicenda emerse tutta l’ambiguità se non l’accondiscendenza del sindaco del tempo. Ma va rilevato, innanzitutto, come era in corso, nella Dc, e nel sistema politico, una battaglia dura per la modernizzazione della politica e Piersanti Mattarella ne era l’interprete. Con “l’accordo di fine legislatura” si compie un “mezzo passo” verso quel progetto. E Moro lo incoraggiava.
Fioravanti o no, Cavallini o no, Piersanti Mattarella muore, dopo Moro e dopo Michele Reina, per chiudere definitivamente la pagina delle “intese” con il Pci. È pronto il pentapartito, per l’Italia e per la Sicilia. È certo che Cosa nostra era interessata a chiuderla, quella pagina. Sono gli anni della spesa pubblica facile, della “Cassa del Mezzogiorno” e quella formula, fatti fuori i comunisti e la sinistra Dc di quel tempo, dava garanzie di solidità e di contiguità. È con questa formula che, durante gli anni ’80, si “salderanno” i conti con gli omicidi di Moro e di Mattarella. Se pensiamo a quella Sicilia che anticipò i processi politici nazionali, sfidò a viso aperto la mafia e il sistema di potere che ruotava attorno alla Regione e al sistema pubblico in generale, non v’è dubbio che è forte il rimpianto per una classe dirigente che non c’è più, di cui Piersanti Mattarella fu ideatore e protagonista. Quella mattina del 6 gennaio 1980 colpirono un uomo e la speranza per una nuova idea di Sicilia che quell’uomo aveva rappresentato.
 di Emilio Miceli

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