Un reddito d'inclusione che esclude l'esercito dei poveri

Economia | 30 agosto 2017
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Il provvedimento legislativo del Governo Gentiloni sul reddito di inclusione (Rei), per i più poveri è importante, innovativo, ma insufficiente a fronteggiare la povertà assoluta e relativa delle famiglie italiane cresciuta in modo enorme dal 2008. La crisi ha accentuato la diseguaglianza e la povertà ne rappresenta la parte più estrema.

Il sotto-finanziamento del decreto (quasi due miliardi di euro) consentirà di aiutare appena quattrocentomila famiglie su quattro milioni e 598.000 stimate in Italia. Naturalmente ci si augura che si trovino le risorse per aiutarle tutte. L’impostazione del Rei è condivisibile per le misure di accompagnamento verso l’inclusione sociale, la formazione e l’occupazione. Ma ciò rimarrà un obbiettivo irraggiungibile nella misura in cui la crescita del Paese rimarrà debole e lenta. Certamente va riconosciuta la novità dell’introduzione di tale misura che amplia il Welfare State, il quale, nel corso di questi anni di dominio della filosofia economica neoliberista perseguita dai governi di centrodestra, ma anche di centrosinistra, è stato fortemente ridimensionato assieme alla contrazione dei diritti del lavoro in nome della crisi e delle politiche di austerità imposte dal FMI, dalla BCE, dall’UE e accettate, o subite, dai governi italiani che hanno trovato i soldi per salvare le banche, negandoli ai giovani, ai disoccupati, ai pensionati, ai poveri.

Ancora una volta la Sicilia sta perdendo un’occasione per accelerare l’uscita dalla crisi che la Svimez calcola che con i ritmi attuali solo nel 2028 raggiungerà i livelli di reddito e di PIL antecedenti il 2008. Già nel 2015 un ampio schieramento di forze sociali e culturali della Sicilia promosso dal Centro Studi Pio La Torre riuscì a raccogliere le firme per un ddl di iniziativa popolare per contrastare la povertà.

Il ddl giace all’Ars senza che governo, gruppi parlamentari, Presidenza dell’Ars, benché sollecitati ripetutamente dai promotori del ddl e dopo ipocrite manifestazioni di interesse, sinora non hanno calendarizzato la discussione in aula del ddl. Ormai siamo agli sgoccioli, uno scatto d’orgoglio dell’Ars e del Governo potrebbe rimediare discutendo e approvando il ddl contro la povertà per estendere in Sicilia la portata di applicazione del decreto nazionale sul Rei. Perché? Perché in Sicilia la crisi ha fatto lievitare il numero delle famiglie in povertà assoluta sino a 364.000 famiglie (stima Res 2017) per 947.000 persone.

Col decreto nazionale si potrebbe assistere il 10% di quelle siciliane (cioè 36.400 famiglie). Sarebbe un piccolo contributo, ma non un contrasto vero e proprio. Tra l’altro quale inclusione si potrebbe garantire per coloro che sarebbero in condizione di lavorare se l’apparato produttivo siciliano durante la crisi si è contratto cancellando poli industriali, riducendo posti di lavoro, servizi?

In conclusione, se non ci sono investimenti pubblici per politiche industriali, agroalimentari, dei servizi, innovative qualsiasi misura di contrasto alla povertà, al precariato, alla disoccupazione, alla diseguaglianza sarà inefficace alla lunga.

Se non si ribaltano quelle concezioni economiche, finanziarie dell’austerità e delle politiche neoliberiste non si arresterà il declino della Sicilia, del Mezzogiorno e dell’Italia.

A tal proposito, siamo ansiosi di ascoltare le proposte dei molti candidati al governo della Regione, fuori dalla demagogia e dalla propaganda elettorale, per consentire ai siciliani di fare la scelta elettorale più giusta.

 di Vito Lo Monaco

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