Svimez: fuga di giovani dalle università del Mezzogiorno
Con un’intensità crescente, nel corso degli ultimi quindici anni, si è manifestato un flusso migratorio dalle regioni meridionali verso il Centro-Nord e/o l’estero. All’origine di questo fenomeno c’è certamente la fragilità della domanda di lavoro meridionale. All’interno di questo trend, come sottolineato dalla Svimez, che si caratterizza per una rilevante crescita della cosiddetta migrazione intellettuale, si è affiancato quello del trasferimento di un numero crescente di giovani meridionali che vanno a studiare in università localizzate nelle regioni centrosettentrionali. Viene, pertanto, anticipata la scelta migratoria contestualmente a quella universitaria con lo scopo di avvicinarsi ai mercati del lavoro che vengono ritenuti maggiormente in grado di assorbire capitale umano ad alta formazione. “È evidente che la perdita di una quota così rilevante di giovani ha, già di per sé, un effetto sfavorevole sull’offerta formativa delle università meridionali – rileva Luca Bianchi, Direttore Svimez. Ben più gravi, tuttavia, sono le conseguenze sfavorevoli che derivano dalla circostanza che, alla fine del periodo di studio, la parte prevalente degli studenti emigrati non ritorna nelle regioni di origine, indebolendo le potenzialità di sviluppo dell’area attraverso il depauperamento del c.d. capitale umano, uno degli asset più importanti nell’attuale contesto”.
Ad affiancare questo effetto “di più lungo periodo” e di difficile quantificazione, ve n’è un altro, più immediato, probabilmente di minore impatto. “Precisamente – sottolinea Bianchi – la perdita di una quota così rilevante di giovani ha due implicazioni: una minore spesa per consumi privati espressa dai residenti (in diminuzione) all’interno dell’area; una minore spesa per consumi collettivi afferenti al capitolo istruzione. In altre parole, la perdita di questo stock di giovani implica che nel Sud vi sia una minore spesa privata per consumi e un’altrettanta inferiore spesa per istruzione universitaria da parte della P.A. (che in Contabilità nazionale va sotto la voce consumi collettivi)”.
Nell’anno accademico 2016/2017 i meridionali iscritti all’Università sono complessivamente circa 685 mila, di questi il 25,6%, pari a 175 mila unità, studia in un Ateneo del Centro-Nord. La quota, invece, di giovani residenti nelle regioni del Centro-Nord che frequenta un’università del Mezzogiorno è appena dell’1,9%, pari a 18 mila studenti. Ne deriva, pertanto, un saldo migratorio netto universitario pari a circa 157.000 unità. Si tenga presente che nello stesso anno accademico in tutte le università del Sud risultavano iscritti 509.000 studenti. Il movimento “migratorio” per fini di studio ha interessato, quindi, circa il 30% dell’intera popolazione rimasta a studiare in atenei meridionali. Gli studenti “emigrati” per motivi di studio rappresentano, inoltre, circa lo 0,7% della popolazione residente meridionale. Le regioni meridionali che si caratterizzano per i maggiori flussi in uscita in termini assoluti, con oltre 40 mila giovani che studiano al nord, sono la Sicilia (42.403) e la Puglia (40.331), mentre in termini di percentuale su totale degli iscritti, i tassi migratori universitari più elevati riguardano le regioni più piccole del Sud, Basilicata e Molise con oltre il 40%, la Puglia e la Calabria con il 32% circa e la Sicilia con il 27%.
Nel rapporto è stato stimato, inoltre, l’impatto economico del trasferimento di 157 mila studenti meridionali al Nord in termini di impatto negativo derivante dai minori costi sostenuti dagli atenei del sud, a causa dall’emigrazione studentesca. “Lo spostamento degli studenti - spiega il Direttore Svimez- causa una riduzione dei costi sostenuti dagli atenei per i diversi corsi di studio (costi docenti, costi servizi didattici, costi delle infrastrutture). Per quantificare queste risorse è stato preso in considerazione il parametro del costo standard, alla base dei criteri utilizzati dal MIUR per finanziare le istituzioni universitarie. La cifra stimata è di circa un miliardo annuo di minore spesa della PA nel Mezzogiorno dovuta alla iscrizione fuori circoscrizione di 153 mila studenti meridionali”.
È stata valutata, infine, la spesa per i consumi privati attivata dagli studenti meridionali che studiano al Centro-Nord per gli alloggi e per le principali voci del costo della vita (prodotti alimentari, fornitura di acqua, energia e gas, spese sanitari, trasporti e comunicazioni) distinte, in base alle tabelle ISTAT, per città di residenza. Si fa presente che tale costo medio annuo è profondamente differenziato e va dal valore massimo di 4.700 euro di chi studia a Milano ai 1.700 euro di Cassino e Vercelli. Il valore complessivo dei consumi privati che, per effetto della migrazione universitaria, viene trasferito dal Sud al Nord è di circa 2 miliardi.
L’emigrazione studentesca causa, dunque, in termini di impatto finanziario una perdita complessiva annua di consumi pubblici e privati di circa 3 miliardi di euro. A partire da queste cifre, si può fare un ulteriore passo avanti.
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