Storie e curiosità del grande cinema siciliano
IL MISTERO DELLE DUE “TRINACRIA FILM”
Paradossalmente
proprio mentre le luci sulla breve e frenetica attività produttiva
etnea si spengono mestamente una dietro l’altra, nel 1916 un
imprecisato gruppo d’imprenditori locali pensa di dar vita ad una
quinta Casa di produzione (delle quattro già esistenti e tutte nate
tra la fine del 1913 e il 1915 - <
La
notizia viene ripresa, con qualche particolare più circostanziato,
solo una manciata di giorni dopo, dalla milanese <
Questa misteriosa <
LA PRIMA SCUOLA DI CINEMA CATANESE
Fondata nel 1915 dall’attore-regista bolognese Paolo Azzurri al civico n. 6 di via Garibaldi e poi aperta in via Crispi (ex Teatro Lanza), ebbe vita brevissima abbandonata dopo pochi mesi come quella palermitana.
In piena profusione imprenditoriale, profittando del rapido espandersi del cinema muto, nel quale vanno affermandosi numerosi attori catanesi (Giovanni Grasso, Oreste Bilancia, Giovannino Grasso Florio, ecc…) - spintovi dalla nascita dell’ “Etna Film” (fondata alla dine del 1913 da Alfredo Alonzo) e delle altre imprese cinematografiche etnee - a Catania con sede al civico 6 di via Garibaldi apre nel 1915 una delle succursali della scuola di recitazione dell’attore-regista bolognese Paolo Azzurri (Bologna 1878-Firenze 1933), già operante a Palermo (e in altre città) in via Celso 11. E’ questa in assoluto la prima scuola di recitazione cinematografica sorta a Catania, della quale restano rare testimonianze cartacee soprattutto attraverso una delle riviste di cinema catanesi, nate nei primi anni del muto: “Il 14 marzo gli allievi e le allieve del primo corso della “Scuola Cinematografica Azzurri” hanno voluto festeggiare, nei locali della stessa, il loro amato maestro Paolo Azzurri…. Al vermut Nino Ingrao alzò il bicchiere inneggiando ai futuri successi del Maestro. A tutti rispose, ringraziando con acconce parole Paolo Azzurri, che era visibilmente commosso” (“L’Alba cinematografica”, Catania, Anno 1, n. 2, 1 aprile 1915).
Ben poco, tuttavia, emerge dell’attività a Catania abbandonata quasi subito dopo Palermo e “una breve permanenza a Roma” probabilmente a causa della chiusura della “Etna Film” (la maggiore casa di produzione cinematografica siciliana) seguita a ruota da quella delle altre Case catanesi. Più duratura fortuna Azzurri avrà di contro nella sede di Firenze, giuridicamente costituita in data 1 novembre 1916 con ragione sociale “Azzurri e Melai” in via Cavour,12 (ma altresì con stabilimento e teatro di posa, siti in via Vittorio Emanuele, 356). Nel capoluogo toscano l’attore-regista comincerà ad operare già dallo stesso 1915 e vi resterà fino alla seconda metà degli anni ’20, abbracciando anche l’attività editoriale il cui maggior risultato è costituito dalla pubblicazione del manuale “Come si possa diventare artisti cinematografici” (che alla terza edizione raggiunge le 10.000 copie di tiratura) seguita da altre pubblicazioni minori. La presenza di Azzurri nella città etnea si registra, dunque, a partire dal 1915, quando - chiusa a causa dell’evento bellico la scuola di Palermo - attratto dalla molteplice presenza delle Case di produzione etnee, l’attore-regista decide di trasferire la scuola da Palermo a Catania dove, almeno fino alla fine dell’anno l’attività produttiva cinematografica procede regolarmente e dove quindi - a quanto pare “incoraggiato” dagli stessi Direttori artistici - da inizio alle iscrizioni ai corsi in via Garibaldi 16, confortato altresì dalle voci di nuove aperture di Case cinematografiche:
<
Il successo della nuova scuola, aperta in
via Francesco Crispi, nell’ex Teatro Lanza (v. “La Cinematografia
italiana ed estera”, Torino, 1916, n.5) appare immediato, ma
soltanto temporaneo: <
Con i suoi numerosi allievi sparsi in tutta Italia Azzurri ha girato tre film: La regina della notte (1915, protagonisti gli allievi della scuola palermitana, regolarmente repertoriato), Un cuore (1916) e Il soldato cieco (1920).
L’ORGANIZZAZIONE FILMISTICA SICILIANA (O.F.S.)
Fondata a Palermo nel 1944 dall’industriale Francesco Gorgone, finì nel breve volgere di pochi anni. Tre i film girati: “Malacarne”, “I Beati Paoli” e “Il principe ribelle”, tutti diretti dal regista palermitano Pino Mercanti.
Verso la fine del secondo conflitto mondiale, dopo essersi dedicato alla produzione di documentari turistici, scientifici ed artistici che spediva fuorilegge negli Stati Uniti d’America, nel 1944 l’industriale palermitano Francesco Gorgone, fonda nel capoluogo isolano la ”Organizzazione Filmistica Siciliana” (O.F.S.), da non confondere con la messinese “Organizzazione Filmistica Italiana”, O.F.I., fondata nel 1950 dai fratelli Zona. Alla O.F.S. si aggregherà poco dopo il cugino di Gorgone, Girolamo, dalla cui collaborazione nascerà prima una società in accomandita semplice e sempre nel 1944 una società per azioni, con capitale iniziale di un milione di lire, cui si unirono migliaia di piccoli azionisti. Nel 1945 al fine di trovare i finanziamenti per il primo film (il drammatico Malacarne o Turi della tonnara, regia di Pino Mercanti (Palermo 1911 - Roma 1986), che Gorgone aveva conosciuto nel 1941, interpreti Amedeo Nazzari, Otello Toso, Mariella Lotti, Umberto Spadaro, Giovanni Grasso jr.) fu convocata un’assemblea per deliberare un aumento di capitale, a cui darà apporto anche il Banco di Sicilia, nella persona del direttore generale Ignazio Capuano, mettendo a disposizione gli sportelli del Banco per il collocamento di parecchie centinaia di nuove azioni. Malacarne (uscito nel 1946, cruenta storia di seduzione e morte d’un “tonnaroto”) contiene anche una sequenza sottomarina, girata nel mare delle Eolie da Francesco Alliata di Villafranca (da lì a poco cofondatore della “Panaria Film”), in cui il protagonista raccoglie sottacqua una stella marina, in realtà una controfigura (Raimondo Lanza di Trabia), sequenza che costituisce <<…in assoluto le prime immagini cinematografiche “recitate” sotto la superficie del mare>> (v. F. Alliata, Il mediterraneo era il mio regno, 2015). Sceneggiato dallo stesso Mercanti, Giuseppe Zucca e Natale di Cristina.
Annunciato dalla stampa locale come “superfilm in lavorazione”, dal più famoso e fluviale romanzo popolare e popolarissimo del palermitano Luigi Natoli (Palermo 1857-1941), che firma con lo pseudonimo di William Galt, pubblicato in 239 puntate sul “Giornale di Sicilia (1909-1910), l’O.F.S. mette poi in cantiere I cavalieri della maschere nere (altro titolo I Beati Paoli), alla cui direzione è confermato Pino Mercanti. Regista e documentarista, Mercanti tenta anche inutilmente di trasporre sullo schermo la grande narrativa isolana, in particolare le opere di Verga ma, stroncato dalle leggi di mercato, si vede costretto a dirigere esclusivamente film di genere (cappa e spada, spionaggio, western…), firmati anche con vari pseudonimi, avvalendosi a lungo della collaborazione del commediografo, poeta e giornalista messinese Giuseppe Zucca. Regista forse un po’ troppo sottovalutato dalla critica, Pino Mercanti ricava dunque dal romanzo di Natoli l’avventuroso cappa e spada I cavalieri delle maschere nere (1948), sicché il sogno di Francesco Gorgone, di creare in Sicilia una vera e propria industria cinematografica, sembra giunto ad un passo dalla realizzazione. Cast alle stelle per un film ironico e perfino sontuoso, rimasto pressoché sconosciuto e distribuito solo localmente: Paola Barbara, Carlo Ninchi, Massimo Serato, Paolo Stoppa, Otello Toso (l’Errol Flynn italiano), Lea Padovani, Mario Ferrari, Michele Abruzzo, Umberto Spadaro e, in parti secondarie, anche alcuni discendenti delle famiglie nobili di cui Natoli parla nel romanzo. La misteriosa setta dei Beati Paoli lotta contro i soprusi dei dominatori stranieri in terra di Sicilia nel secolo XVIII e dopo varie vicissitudini, compreso l’immancabile rapimento di una giovane moglie, avrà ragione anche contro un corrotto capitano di giustizia, affamatore del popolo. Un certo esprit mafioso aleggia su tutta <<…questa sorta di “Gattopardo” del romanzo popolare, che riesce a rivisitare in modo molto spontaneo e con risultati felici uno stile trapassato…lotta manichea del bene contro il male, vissuta da una comunità di oppressi che viene vendicata dal Superuomo eroe…>> (U. Eco).
L’anno dopo, prodotto ancora dalla O.F.S., Mercanti gira Il principe ribelle (1949, altro titolo I lupi della foresta), avventuroso e fantasioso cappa e spada tratto sempre da un altro romanzo di Natoli (“Coriolano della Floresta”), ambientato in una Sicilia angariata dal giogo asburgico contro cui si battono patrioti denominati “I lupi della foresta”, al cui comando sta l’ardimentoso principe di S. Agata (Massimo Serato). Gli aiuti spagnoli tardano ad arrivare e il principe decide allora di rapire la bella figlia del vicerè (Mariella Lotti), che scambia con un suo uomo fidato già condannato all’impiccagione. Dopo alterne vicende, egli stesso catturato e condannato al rogo dal Tribunale ecclesiastico come eretico, viene liberato proprio dalla figlia del vicerè innamoratasi di lui (dove c’è Serato, sex symbol maschile dell’epoca, c’è l’amore). Tra gli interpreti i siciliani Umberto Spadaro, Giovanni Grasso e Natale Cirino.
Inopinatamente finita nel breve volgere di pochi anni l’avventura della O.F.S., ha subito un’irriverente e impietosa parodia comico-grottesca con il Il ritorno di Cagliostro (2003) di Daniele Ciprì e Franco Maresco, che per non incappare nelle ire degli eredi mutano il nome di Mercanti in Greganti, rendendo però al cinema siciliano un pessimo servizio.
IL CINEMA SENTIMENTALE
DI ROSSO DI SAN SECONDO
Quattro i film tratti dai lavori dello scrittore nisseno, tra i quali spicca tra tutti La bella addormentata (1942) regia di Luigi Chiarini, con Luisa Ferida ed Amedeo Nazzari.
Un solo film muto, tratto dal racconto “La mia esistenza d’acquario” (pubblicato da Treves nel 1926), vanta Pier Maria Rosso di San Secondo (Caltanissetta 1887- Lido di Camaiore 1956) - eccellente scrittore aperto alle influenze europee surrealiste e precursore del teatro dell’assurdo - purtroppo non molto attenzionato dal cinema. Con il titolo Le due esistenze (1920) regia del tandem Ugo Falena-Giorgio Ricci, entrambi attori-registi, il film non deroga alla ferrea regola della trasgressione passeggera, molto in voga nel cinema del tempo che regalava forti emozioni purché alla fine tutto rientrasse nella morale corrente. Qui si plana addirittura sull’esotico: una zingara ammaliatrice del tipo “sempre libera degg’io”, tale Eva Halowska (Maria Melato) femme fatal divoratrice d’uomini, pentita giunge sull’orlo d’uno spettacolare suicidio perché innamorata respinta, ma incontrato un asceta eccola prontamente redenta ed emendata, sicché in conclusione “... la morale è encomiabilmente morale”. Il cinema generosamente regala un’anima anche alle maliarde gitane, senza terra e senza patria e le sdogana alla facile frontiera dei ciarlieri spettatori del muto.
Del tutto episodico appare anche il ricorso al dramma dello scrittore nisseno, per un film ingiustamente passato presto nel dimenticatoio, La scala (1932) del sempre fecondissimo Gennaro Righelli, sceneggiato da Aldo Vergano (interpreti: Maria Jacobini, Carlo Ninchi, Giorgio Bianchi), disavventure sentimentali di una piccola stella del varietà, ininterrottamente infelice prima nel ruolo di sposa, poi in quello di madre e infine in quello di amante. Finché proprio sulla scala del titolo non avviene una dolorosa riconciliazione, foriera però di ulteriori umiliazioni. Poco prima che la poveretta impazzisca, stroncata da mille sventure, il marito finalmente impietosendosi si riconcilia con lei. Critica favorevole alla materia letteraria, ma fortemente ostile alla mise en scène di Righelli.
A Rosso il cinema torna ad incuriosirsi ricavando dall’opera teatrale “Storiella di montagna” lo strappalacrime, deamicisiano e dimenticato Il torrente (1938) regia dell’ex capitano pluridecorato degli alpini e campione mondiale di sci Marco Elter, ridotto dallo stesso autore letterario; interpreti: Camillo Pilotto (Adorno) e Nelly Corradi (Bettina). Patetica e logora la trama: la vita alpestre e melodrammatica d’un orfana accolta da un vedovo padre di due bambine è all’improvviso sconvolta dalla morte di costui che precipita in un burrone; ma prima d’esalare l’ultimo respiro egli sposa in articulo mortis la sfortunata fanciulla, alma mater che dedicherà la sua vita alle due piccine. Di tendenza formalista e calligrafica - come si definisce “l’opposizione passiva” del cinema dei primi anni ’40, realizzato in stretta collaborazione con un gruppo di intellettuali antifascisti chiaramente influenzati dalle esperienze figurative francesi - è invece il più corposo dramma La bella addormentata (1942) del critico di fede fascista e teorico romano della “assoluta forma” Luigi Chiarini, professore e direttore del Centro Sperimentale di Cinematografia, onnipresente dal 1936 al 1940 nelle giurie cinematografiche, sceneggiato dal marxista acese Umberto Barbaro, Brancati, Pasinetti e lo stesso Chiarini, macedonia di cervelli ideologicamente opposti. Amara e tragica storia della bella orfana Carmela (Luisa Ferida, da lì a poco fucilata dai partigiani) sedotta da un notaio di pochi scrupoli (Osvaldo Valenti), diventata prostituta in preda ad un sogno di purezza inviolata e poi salvata da Neri della zolfara (Amedeo Nazzari), un mafioso gentiluomo che si fa giustizia da sé imponendo al notaio Tremulo (Osvaldo Valenti, anch’egli fucilato con la Ferida dai partigiani) le nozze riparatici. L’autore sembra qui far uso della tecnica dell’attribuzione ai personaggi delle caratteristiche morali in base al nome. Ma il giorno delle nozze Carmela sviene e si ammala gravemente. Prima di morire confessa che Neri era il suo unico amore e proprio la sua incomprensione ne ha provocato la malattia.
Conquistato (come tanti) dalla mitica figura del brigante-mafioso, tutto baldanza e lealtà “l’avventura colorata” (come la definì lo stesso autore) trasfigura nel travaso cinematografico non solo l’immagine della protagonista, qui solo preda indifesa di appetiti sessuali, ma imprime al racconto perfino l’assetto ideologico di un dramma di classe, che la prepotente personalità del marxista Umberto Barbaro, strettissimo collaboratore di un intellettuale fascista come Chiarini, impone nel clima di “dittatura imperfetta” del fascismo, in cui s’incontrarono in arditi sincretismi culture diversissime, dando vita ad esperienze irripetibili e per molti versi eccezionali. E tra esse La bella addormentata, vera e propria tragedia degli errori, versione capovolta della commedia plautina, dove la conclusione della vicenda dell’umile servetta e orfana sedotta, si risolve nel dramma e chiude cupamente un’impossibilità di riscatto. In definitiva la presenza dell’aristocratico Rosso nella cinematografia italiana appare dunque più casuale che programmata, quasi un prestito occasionale di un intellettuale pessimista e dal verso inquieto, che raggiunge il massimo rilievo artistico cinematografico solo in occasione della scelta del testo operata da Chiarini, generalmente considerato il suo film migliore. La non debordante carriera cinematografica dello scrittore comprende anche altre due sceneggiature, quella di Cavalleria rusticana (1939) di Amleto Palermi, scritta con Santi Savarino e lo stesso Palermi e quella dell’agiografico-religioso L’apocalisse (1946) di Giuseppe Maria Scotese.
La breve meteora della “Katana Film”
La seconda casa di produzione catanese, dopo l’ Etna Film, ebbe vita brevissima e produsse soltanto cinque film tutti diretti dall’avvocato scrittore e drammaturgo catanese Raffaele Cosentino.
<< Ancora una nuova Casa produttrice di films a Catania. Ne sono proprietari i sigg. Scalia e Coniglione, che hanno affidato la direzione al noto soggettista sig. Avv. Raffaele Cosentino, e la tecnica agli operatori sigg. Carlo Quadrone e Gaetano Ventimiglia. Non cominciano dove Case finiscono, ma con programma che fa presagire molto di buono. Alcune commedie di fine umorismo sono già state ultimate, e avendo assistito a delle scene del “Sig. Diotisalvi” siamo in grado di condividere una buona riuscita. Attendiamo e diremo. Auguri>>.
Così
<
Il
latitante (probabilmente girato nell’allora incontaminata e
ubertosa contrada <
Costumi
e ambientazione di soggetti drammatici poveri non richiedono grandi
sforzi economici e che la piccola <
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