Spese in aumento ed entrate al minimo, perché la Corte dei conti ha sospeso la parifica del bilancio regionale

Economia | 30 giugno 2017
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La Corte dei Conti, presieduta da Maurizio Graffeo, ha sospeso il giudizio di parifica del rendiconto generale per il 2016 della Regione siciliana sulla base della richiesta del procuratore generale Pino Zingale che nella sua requisitoria ha evidenziato irregolarità nel bilancio consuntivo. E’ la prima volta che la Corte non parifica il bilancio sospendendo il giudizio. La Corte ha dato il termine del 10 luglio per le controdeduzioni delle parti e ha rinviato l’udienza al 19 luglio Pubblichiamo l'intervento di Pino Zingale.






Eccellentissimo Signor Presidente delle Sezioni Riunite per la Regione Siciliana

Signori Magistrati componenti del Collegio



Prima di adempiere al compito assegnatomi dall’ordinamento desidero rivolgere un sentito ringraziamento al personale amministrativo del mio ufficio che ha fornito un imprescindibile ausilio alla mia azione, consentendomi di svolgerla in modo adeguato alle finalità che le sono proprie; alla Guardia di Finanza, all’Arma dei Carabinieri ed alla Guardia Costiera di Palermo che, credo per la prima volta nella lunga storia di questo tipo di giudizio, sono stati chiamati a supportare gli accertamenti del Pubblico Ministero con professionalità e solerzia encomiabili, contribuendo a mettere in luce situazioni che, come per la Sanità della quale dirò in seguito, neppure all’Amministrazione regionale erano note; al Direttore Generale dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo Dr. Antonio Candela, che con altissima professionalità e competenza ha consentito alla Procura Generale l’effettuazione di verifiche ed accertamenti che, altrimenti, non sarebbero stati possibili.

Un saluto, poi, a tutte le autorità presenti e, per la prima volta, ai rappresentanti delle diverse fedi religiose che rappresentano il sostrato morale ed etico della comunità civile nella nostra Regione, al cui servizio è la nostra Istituzione, fondato sulla libertà di coscienza e sulla condivisione dei valori di libertà, eguaglianza e reciproca accettazione che in una terra come la Sicilia hanno avuto, nei secoli, una profonda sedimentazione.

Un particolare saluto, infine, desidero rivolgere al Procuratore Generale aggiunto della Corte dei conti dott. Eugenio Schlitzer ed al Presidente di coordinamento delle Sezioni Riunite della Corte dei conti in sede di controllo dott. Angelo Buscema, magistrati ai quali mi lega una lunga colleganza ed amicizia.

Il mio predecessore evidenziava, lo scorso anno, come la crisi che ha investito il nostro Paese e, in modo particolarmente incisivo la nostra Regione, nata come finanziaria, si fosse gradatamente trasformata in “economica” e rischiasse di diventare “sociale”: ciò è, purtroppo, puntualmente accaduto.

La circostanza che il Fondo monetario internazionale abbia alzato la propria previsione di crescita 2017 per l'Italia dallo 0,8 all'1,3% (ed allo stesso livello si attesta la nuova stima di Banca d'Italia), non modifica nella sostanza i termini di gravità della crisi che stiamo vivendo, anche se introduce un qualche elemento di moderato ottimismo.

A smuovere dall'area dell'1% lo scenario per la crescita di quest'anno è stata l'inattesa revisione dei dati Istat relativi al primo trimestre.

Lo 0,4% congiunturale ha portato la crescita già acquisita a fine marzo allo 0,9%, livello che, per la Commissione Ue, l'Italia dovrebbe raggiungere nell'intero anno.

Il primo vantaggio di questo quadro congiunturale in netto miglioramento riguarda il debito pubblico.

Con una crescita reale all'1,3% e un tasso di inflazione, secondo le ultime proiezioni della Banca d’Italia, all'1,4% si concretizza una crescita nominale vicino a 3%, che, a condizione di evitare manovre pre-elettorali troppo espansive, sarà molto utile per contenere il rapporto debito/Pil.

Tuttavia, nonostante tali dati, l'Italia è ultima in Europa per la crescita 2017.

Comparando la recente previsione alle stime per i Paesi Ue diffuse a maggio da Bruxelles, l'Italia raggiungerebbe con 1,3% la sola Finlandia e si avvicinerebbe all'1,4% (ora di fatto 1,6%) della Francia.

In Sicilia, poi, la ripresa economica, è rimasta assai debole e non si è ancora diffusa alla generalità dei settori produttivi; i redditi e i consumi delle famiglie sono aumentati nel corso del 2016 in misura molto contenuta e la crescita dell’occupazione si è addirittura interrotta nel secondo semestre.

Negli anni della crisi si era ampliato il divario in termini di reddito pro capite della Sicilia con le aree più sviluppate del Paese e i principali indicatori economici si erano contratti in misura significativa e superiore alla media nazionale; nel 2016 il PIL in termini reali è rimasto ancora inferiore ai livelli pre-crisi di circa 12 punti percentuali, rispetto ai 7 punti dell’Italia.

Sotto il profilo degli enti erogatori, due terzi della spesa pubblica locale sono di competenza della Regione Siciliana e delle Aziende sanitarie locali (ASL), un quarto è erogato dai Comuni mentre il resto è da riferire alle ex Pro- vince e agli altri enti.

Le spese correnti, che costituiscono quasi i nove decimi della spesa totale degli enti territoriali siciliani, sono scese del 3,8 per cento annuo. Una quota significativa di tali spese è rappresentata dal costo del personale dipendente, in calo soprattutto per effetto della riduzione del numero degli addetti.

Nello stesso periodo anche la spesa in conto capitale, costituita in gran parte da investimenti fissi, si è ridotta (-2,1 per cento in media all’anno nell’ultimo triennio). In rapporto al PIL regionale gli investimenti fissi lordi delle Amministrazioni locali siciliane sono stati pari all’1,5 per cento in media nel triennio considerato, un livello più elevato rispetto alla media nazionale.

In base ai dati ancora provvisori anche nel 2016 proseguirebbe la tendenza alla contrazione degli investimenti.

A tutto ciò si sommano i continui, reiterati, episodi corruttivi che ci penalizzano influenzando, tra l’altro, la scelta degli investitori esteri al pari del costo del lavoro del Paese e delle dimensioni del suo mercato.

Crisi economica, corruzione, distorsione del modello legale tipico non necessariamente associato ad un quadro penalmente rilevante, procedono di pari passo, creando un circolo vizioso in cui l’uno e l’altro fenomeno si intersecano e divengono contemporaneamente causa ed effetto.

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L’anno 2016 è stato caratterizzato da rilevanti norme, statali e regionali, specificate nell’atto scritto, non senza rilevare come per quelle regionali comportanti spesa - e di ciò è dato atto nella relazione di codeste Sezioni Riunite - spesso risultino di dubbia efficacia e completezza le relazioni di accompagnamento per quel che riguarda la dimostrazione dei meccanismi di copertura, con disposizioni talora al limite dei precetti di cui all’art. 81 cost.

Anche per i dati contabili qui all’esame rinvio all’atto scritto, evidenziando soltanto che:

- le entrate complessivamente accertate sono diminuite del 3.24%, passando da € 21.947 milioni ad € 21.235 milioni, che inverte il trend positivo (+ 24,12%) fatto registrare nel 2015;

- le spese complessivamente impegnate sono, invece, aumentate rispetto al precedente esercizio, passando da € 19.432 milioni a € 21.051 milioni;

- l’incidenza delle spese correnti impegnate nel 2016 è stata pari al 74,62% della spesa complessiva (a fronte di un 86,09% del 2015), mentre le spese impegnate in conto capitale hanno rappresentato solo il 6,89% della spesa complessiva, a fronte di un 9,89% del 2015 e di un 16,01% del 2014, confermando un trend drammaticamente negativo che evidenzia lo scemare della capacità di investimenti da parte della Regione Siciliana.

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Come per gli anni precedenti questo P.M. focalizzerà alcuni dati riguardanti settori significativi della spesa e delle entrate, rimandando all’atto scritto per ulteriori dati e precisazioni.

BENI CULTURALI

La Procura Generale, anche al fine di dare consapevole risposta ad alcune anomalie rilevate dai media, ha posto la propria attenzione sulla gestione di quello che è il vero “oro nero” della nostra Isola: il patrimonio artistico ed archeologico della Regione che costituisce il 25% di quello italiano, il quale è, a sua volta, il 50% di quello mondiale.

A fronte di tale unico patrimonio che potrebbe fare da volano ad un robusto sviluppo in chiave turistica dell’economia isolana, si è riscontrata una gestione dei siti e dei parchi archeologici al limite del collasso, frutto di una pluriennale assenza di reale progettualità e consapevolezza del dato economico, oltre che culturale, insito in una tale vastità di beni ed aree artistiche ed archeologiche.

Attraverso le audizioni dirette effettuate dalla Procura Generale è emerso come il personale, non solo di vigilanza e fruizione ma anche tecnico (restauratori, architetti, archeologi, ecc.), lungi dall’essere sovradimensionato sia, invece, ampiamente carente, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, talora sganciato da una consapevole progettualità gestoria, stante la perdurante assenza di precostituite piante organiche sulla base di una seria valutazione delle effettive esigenze e dei carichi di lavoro.

In più di una audizione è stato evidenziato come solo la buona volontà e lo spirito di sacrificio dei più abbiano, sinora, evitato il peggio.

In gran parte dei siti archeologici mancano gli archeologi (al Parco Archeologico Valle dei Templi di Agrigento solo recentemente sono stati assegnati tre archeologi, mentre il Parco Archeologico di Naxos è privo di architetti, geometri, restauratori, storici dell’arte ed ha una sola archeologa, figura, quest’ultima, che è del tutto assente presso il Parco Archeologico di Selinunte) e più di un museo è del tutto privo di restauratori.

Il personale di vigilanza e fruizione è inadeguato e, per espressa ammissione dei singoli direttori dei siti, il rischio di pervenire alla chiusura al pubblico di vaste aree archeologiche e museali è più che una ipotesi, stante l’impossibilità di garantire adeguati standard di sicurezza e custodia.

Nonostante ciò tutti i siti archeologici e museali hanno fatto registrare, con diverse percentuali, un costante aumento di visitatori - e corrispettivi introiti - soprattutto stranieri, fenomeno imputabile, però, più che all’accentuazione di attrattività del nostro patrimonio artistico ed archeologico, alle contingenze internazionali che hanno precluso la percorribilità di diversi ed, in passato, gettonatissimi percorsi alternativi in altri paesi dell’area del mediterraneo.

Incidono pesantemente su tale situazione non solo un’evidente ed atavica assenza di progettualità ma anche la circostanza che il sistema della vigilanza, conservazione e fruizione del patrimonio culturale è attualmente regolato da un contratto collettivo decentrato integrativo siglato il 6 dicembre 2005, il quale prevede l’individuazione di tre profili professionali con differenti responsabilità operative nell’ambito dell’esercizio delle mansioni esigibili da ciascuna categoria contrattuale, con delicati risvolti di latente conflittualità nella reciproca perimetrazione delle rispettive competenze e di una conseguente difficile gestione delle risorse umane da parte dei singoli responsabili dei vari siti.

A ciò si aggiunga la problematica della distribuzione territoriale delle risorse umane che, alla luce della vigente normativa impone una gestione della dislocazione del personale non sempre compatibile con la migliore fruizione dei siti, disposizioni in larga parte limitative soprattutto nei casi di esigenze di trasferimenti presso strutture intermedie caratterizzate dalla disseminazione territoriale. La possibilità di rendere conciliabili le esigenze della fruizione dei siti con le norme a tutela dei lavoratori in materia di trasferimenti rende di difficilissima individuazione l’adozione di scelte conducenti a risultati soddisfacenti, con la conseguenza che molti siti della cultura, anche tra quelli più noti e frequentati, sono, in atto, per espressa ammissione della stessa Amministrazione regionale, a rischio di chiusura per carenze di personale e che contemporaneamente, in taluni altri siti, si assiste ad una presenza di personale in esubero.

Tutto ciò trova conferma nella circostanza che il Dipartimento dei beni culturali e dell’identità siciliana ha solo recentemente elaborato, per mandato del Dipartimento della funzione pubblica, una rilevazione degli effettivi fabbisogni di personale, che ha dato luogo a una proposta – ancora inattuata - inerente ad una nuova pianta organica dipartimentale, con numeri ben diversi dall’attuale distribuzione e consistenza di personale in servizio.

Nonostante le complesse problematiche sopra evidenziate, va sottolineato che i dati relativi ai visitatori nei luoghi della cultura in Sicilia hanno registrato un incremento di presenze, segnando nel 2016 un nuovo record: 4,4 milioni di ingressi hanno portato incassi per oltre 23 milioni di euro, con un incremento rispettivamente del 11,8% e del 13,5% rispetto al 2015, che corrispondono a circa 400 mila visitatori in più e a maggiori incassi per 2,8 milioni di euro.

Una parte di queste risorse tornerà ai poli regionali museali, alle aree e ai parchi archeologici non ancora autonomi, alle gallerie e alle biblioteche regionali così come prevede l'art. 3 della recente legge regionale 29 settembre 2016, n. 20.

Tra i luoghi della cultura nei quali il trend positivo è più marcato spicca il Teatro Antico di Taormina – assegnato alla gestione del Parco archeologico regionale di Naxos – con un aumento di visitatori che sfiora il 25% in un anno, il Parco archeologico della Valle dei Templi (+ 16%), l'area archeologica della Neapolis (Siracusa) con un incremento del 12,2%.

Oltre al rilancio di alcune realtà museali che sono state oggetto di interventi di miglioramento e riqualificazione a valere sui fondi europei, un contribuito concreto è stato fornito dalla scelta di condividere anche in Sicilia la proposta del Ministero per i beni e le attività culturali relativa all’istituzione delle "Domeniche gratuite al Museo", iniziativa che avvicina all’arte e alla cultura, in particolare le famiglie oltre che i turisti.

Nonostante le carenze rappresentate in precedenza nei vari versanti di operatività dell’azione amministrativa, sembra opportuno evidenziare come gli sforzi del Dipartimento per ottenere importanti risultati di gestione non si siano arrestati ai risultati riguardanti la fruizione dei siti, proiettandosi, anche e soprattutto, sul versante della certificazione della spesa comunitaria.


spesa certificata PoFesr 2007/2013

fino al 2015

nel 2016

46.253.993,79

90.470.621,73

Totale fino al 2016

136.724.615,52

Sulla scorta dei dati della precedente tabella si può affermare che nell’anno 2016 - e questo costituisce un dato sicuramente positivo ed apprezzabile – si sia realizzato un livello di certificazione equivalente a quasi il doppio della somma certificata negli anni precedenti di attuazione del Po Fesr 2007/2013.

CONCESSIONI DEMANIALI MARITTIME

Le concessioni demaniali marittime comportano per il concessionario l’obbligo di corrispondere un canone nella misura stabilita dalla legge.

Dal rendiconto generale entrata per l’anno 2016, rispetto ad una previsione di competenza di € 10.054.064,60, il rendiconto evidenzia una riscossione di competenza di € 10.034.211,77 ed un accertamento di € 10.060.293,43.

Il dato suddetto risulta fermo, sostanzialmente, alla situazione delle concessioni in essere al 2011, ultimo anno di gestione affidata alla Capitanerie di porto, senza che sia stata fatta alcuna ulteriore verifica ed accertamento negli anni successivi.

Dalle dichiarazioni rese dai funzionari della Ragioneria centrale dell’Assessorato Regionale Territorio e Ambiente, risulta che sin dall’inizio della seconda metà del 2015 l’ufficio non riceveva atti concessori ma soltanto i dati del versamento da cui non poteva risalire ad alcuna specifica pratica, nemmeno se fossero inerenti a nuove concessioni o a quelle già esistenti. Dal 2016 sono iniziati ad arrivare dei decreti relativi a concessioni già esistenti inerenti al 2015.

La Regione per l’anno 2015 confermava, pertanto, che non si era dato seguito a livello centrale al controllo dei pagamenti demaniali marittimi.

Inoltre veniva confermato che dall’1/1/2012, data di cessazione del rapporto convenzionale tra la Capitaneria di Porto e la Regione Siciliana per la gestione del predetto demanio marittimo e di consegna dei relativi fascicoli, la Regione non aveva provveduto a censire le concessioni presenti su tutta la fascia costiera.

In conclusione l’attività di gestione si evidenzia come del tutto approssimativa, carente e priva di riferimenti oggettivi, risultando in larghissima parte ignoti alla Regione il numero delle concessioni ed i relativi titolari in essere nel 2016, con l’indicazione di elementi assolutamente approssimativi e privi di certezza giuridica se non con riferimento alla situazione (risalente) in essere al 31 dicembre 2011.

Ciò che emerge con estrema chiarezza dagli accertamenti effettuati da questa Procura Generale, con l’ausilio della Capitaneria di Porto di Palermo, è che:

1) la somma iscritta in bilancio quale previsione di entrata non trova riscontro in dati certi ed attendibili derivanti dalla ricognizione delle singole concessioni esistenti, dato quest’ultimo che, per espressa ammissione dello stesso personale preposto al ramo, non risultava e non risulta in atto in possesso dell’Amministrazione medesima, situazione che denunzia l’assoluta incompletezza ed inaffidabilità dei relativi dati che, ragionevolmente, dovrebbero avere consistenza di gran lunga maggiore di quelli stanziati in bilancio.

2) la convenzione onerosa tra Regione Siciliana e Riscossione Sicilia s.p.a. per la riscossione dei canoni demaniali conferma tale affermazione, in quanto non ha avuto nel 2016, e neppure in atto, alcun seguito, proprio per la mancanza di censimento di tutte le concessioni vigenti che consenta di far conoscere all’Ente i destinatari dell’attività concordata.

La gestione, pertanto, ancorché formalmente corretta sotto il profilo della rendicontazione, è ben lungi dal potersi considerare soddisfacente e lascia trasparire, ad avviso di questa Procura Generale, seri profili di illecito erariale per i quali sarà attivata la locale Procura Regionale per le valutazioni di sua competenza.

PERSONALE REGIONALE

Alla data del 31/12/2016, i dipendenti a tempo indeterminato della Regione Siciliana, esclusi i Dirigenti, erano 13.372 e, cioè, 767 unità in meno rispetto al 2015.

Alla stessa data, i Dirigenti della Regione a tempo indeterminato erano 1.411, con una diminuzione quindi di 150 unità rispetto al 2015.

Il rapporto tra dirigenti e restante personale regionale è rimasto invariato rispetto al 2015 e, cioè, 1 dirigente ogni 9 dipendenti: una proporzione del tutto irragionevole ed abnorme, frutto, in larga parte, di scriteriate scelte politico/clientelari del passato, estranea a qualsivoglia sano principio di gestione sia in campo pubblico che privato.

In Lombardia, ad esempio, il rapporto è di circa 1/13, mentre nel Lazio è di circa 1/15.

Al personale a tempo indeterminato va, però, aggiunto il personale “esterno” a tempo determinato (656 unità, con un lieve aumento rispetto al 2015 con 641 unità) e, pertanto, il totale dei dipendenti regionali, compresi i dirigenti, sempre alla fine dell’anno 2016 si attesta a 15.439, mentre nel 2015 erano 16.341, con una diminuzione di 902 unità.

Inoltre, considerando il contingente dei soggetti ai quali è stato esternalizzato un servizio e il personale utilizzato ad altro titolo (RESAIS, EAS, ESA...) si perviene a 18.075 unità, inferiore di 932 unità rispetto al 2015.

Nonostante tutto, nel corso del 2016 la spesa per il personale regionale è stata di 629 milioni 171 mila euro, con una diminuzione di 66 milioni 302 mila euro rispetto al 2015.

A proposito del personale regionale in senso ampio va posta particolare attenzione all’art. 62 della legge regionale n. 3 del 2016, il quale prevede che, in caso di liquidazione di società partecipate della Regione, il personale dipendente delle medesime società, nonché quello di cui all’albo di cui all’art. 64 della legge regionale 12 agosto 2014, n. 21, confluiscano nelle società partecipate che ne assumono le funzioni, fatti salvi gli equilibri finanziari delle società.

L’art. 11, comma tre, della legge regionale n. 20 del 2016 stabilisce, poi, che al personale del CERISDI (che non è mai stato né una società partecipata né un ente strumentale della Regione e del quale la Regione non era neppure socia al momento della messa in liquidazione), in servizio alla data del 30 giugno 2016, si applichino le disposizioni dell’art. 64 della legge regionale n. 21 del 2014, relative all’albo dei dipendenti delle società in liquidazione a totale o maggioritaria partecipazione regionale.

Tale ultima norma presenta fortissimi dubbi di costituzionalità poiché assimila ad una società partecipata dalla Regione un ente che ha sempre mantenuto ferma la propria natura di ente associativo di diritto privato, secondo quanto affermato dallo stesso Ufficio Legislativo e Legale della Regione in un parere del 2006; si tratta, infatti, di un soggetto di diritto privato, e precisamente un'associazione riconosciuta con decreto del Presidente della Regione Siciliana, costituita ai sensi degli artt. 14 e seguenti del codice civile, a nulla rilevando la presenza nel suo seno di associati "pubblici" (cfr., sul punto, anche C.G.A., Sez. consultiva - 564/96, per il quale "Il CERISDI ha natura di ente di diritto privato"). Nello statuto, peraltro, non sono previste forme di ingerenza tali da potersi affermare che il CERISDI è soggetto a "controllo o vigilanza" della Regione.

Si consente, pertanto, ad alcuni dipendenti di un ente privato, che nella fase dell’assunzione non sono mai stati sottoposti a procedure selettive pubbliche, un sostanziale accesso al pubblico impiego in violazione delle norme che prevedono l’applicazione di procedure pubbliche selettive sia per l’accesso ad enti pubblici in senso stretto che alle stesse società partecipate.

La norma, che ad oggi non ha prodotto effetti diretti né indiretti sul bilancio regionale, non potrà sfuggire ad una valutazione di costituzionalità da parte delle Sezioni Riunite nel momento in cui i suoi effetti dovessero diventare attuali sul rendiconto della Regione.


PENSIONI DEI REGIONALI

Il trattamento pensionistico del personale regionale è, in atto, gestito da un apposito Fondo, che costituisce un soggetto giuridico separato dalla Regione, il quale:

1) assicura con onere a carico dell'Amministrazione Regionale i trattamenti di pensione a favore del personale (e rispettivi superstiti) della Regione Siciliana, destinatario delle disposizioni di cui ai commi 2 e 3 dell'art. 10 della Legge Regionale 9 maggio 1986, n. 21 (cosiddetto CONTRATTO 1, ad esaurimento);

2) assicura con oneri a proprio carico i trattamenti previdenziali (pensioni dirette, indirette e di reversibilità, nonché altre indennità previste) a favore del personale (e rispettivi superstiti) della Regione Siciliana, destinatario delle disposizioni di cui al comma 1 dell'art. 10 della Legge Regionale 9 maggio 1986, n. 21 (cosiddetto CONTRATTO 2, attualmente a regime);

Per il contratto 1 il costo per la finanza regionale è pari a 610 milioni 25 mila euro, mentre per il contratto 2 il costo per il fondo pensioni Sicilia è di 16 milioni 709 mila euro.

Quindi, rispetto all’anno 2015 (rispettivamente: € 584 milioni 543 mila, € 11 milioni 292 mila), i suddetti costi sono ulteriormente aumentati, nonostante la spesa per il c.d. CONTRATTO 1 dovrebbe tendenzialmente registrare, in futuro, una lenta ma progressiva riduzione fino all’azzeramento.

Sempre con riferimento alla spesa pensionistica ed alle ripercussioni che potrebbe avere su di essa, va segnalato il recente art. 7 della legge regionale n. 8 del 9 maggio 2017.

Al comma 1, l’art. 7 in esame prevede che, al fine di costituire il fondo immobiliare del Fondo pensioni dei dipendenti della Regione Siciliana, la Regione trasferisce in proprietà complessi immobiliari che all’entrata in vigore della legge sono in uso ad uffici regionali o dagli stessi utilizzabili, in ragione di un valore equivalente a 59 milioni di euro annui per il biennio 2017 – 2018. Alla Regione Siciliana è fatto obbligo, prima di procedere a contratti di locazione presso soggetti privati, a stipulare contratti di locazione novennali rinnovabili con il Fondo pensioni per gli immobili oggetto della norma.

Al comma 3, si autorizza il Fondo pensioni all’acquisto del cento per cento delle quote del Fondo di cui all’art. 9 della legge regionale n. 17 del 2004 ed al comma 4, si precisa che, per effetto del comma 3, è accertata in entrata del bilancio della Regione Siciliana per l’anno 2017, quale corrispettivo della cessione, la somma di 22.750 migliaia di euro.

In primo luogo, occorre evidenziare che il Fondo Pensioni Sicilia costituisce un ente autonomo e che il tenore precettivo della norma ne inibisce, invece, sostanzialmente, l’autonomia decisionale.

Le norme suddette presuppongono, infatti, che le operazioni ivi descritte siano frutto di scelte gestionali e strategiche dell’Ente, recepite in un accordo raggiunto d’intesa con la Regione. L’accordo è però de facto di difficile configurabilità, in quanto negli ultimi due anni il Fondo è rimasto privo degli organi direttivi ed è stato gestito dai Commissari; l’Ente, dunque, si è trovato privo della capacità di assumere determinazioni straordinarie e strategiche di ampio respiro, atteso che la gestione dei Commissari pro–tempore è tendenzialmente limitata agli aspetti più ordinari. Solo alcuni giorni fa è stato ricostituito il consiglio di amministrazione.

Per il vero, il conferimento unilaterale degli immobili era già previsto dal comma 1 dell’art. 15 del D.P.Reg. n. 14 del 23 dicembre 2009, ma solo in sede di prima applicazione; per il futuro, non era considerata un’opzione praticabile, in quanto una delle ragioni legislative della costituzione di un autonomo Fondo Pensioni era ravvisabile proprio nell’esigenza di scongiurare il rischio che le somme destinate ai trattamenti previdenziali venissero utilizzate per coprire eventuali deficienze di cassa.

In secondo luogo, il procedimento di valutazione degli immobili appare del tutto aleatorio.

Secondo il principio già sancito dal comma 6 dell’art. 15 della legge regionale n. 6 del 2009, gli immobili conferiti al Fondo dovrebbero essere valutati da un’Agenzia indipendente pubblica. La valutazione dovrebbe essere operata, ai sensi del comma 2 dell’art. 15 del D.P.Reg. n. 14 del 23 dicembre 2009, avendo come base “l’indicazione, oltre che del valore patrimoniale intrinseco, anche del grado di redditività e di liquidabilità”.

La norma in esame, invece, si limita a prevedere che all’individuazione ed alla valutazione degli immobili provvedano gli “organi competenti all’atto del trasferimento”; difettano, con tutta evidenza, sia i requisiti di competenza e di professionalità di coloro che saranno concretamente chiamati ad effettuare le valutazioni, sia specifici criteri predeterminati di riferimento, sulla cui base effettuare serie e attendibili valutazioni patrimoniali.

L’art. 7 presenta, altresì, delle criticità per l’impatto che potrebbe avere sugli equilibri attuariali.

Vi è, infatti, assoluta incertezza sull’identificazione e valutazione degli immobili oggetto del conferimento; vi è incertezza sulla quantificazione reale del valore delle quote del Fondo FIRS; non vi è certezza delle caratteristiche specifiche degli immobili e, in particolare, non si comprende se si tratti di beni che abbiano goduto di un’adeguata manutenzione e/o che siano stati già correttamente adeguati alla nuova destinazione d’uso; per la manutenzione e l’adeguamento, viene stabilito un compenso forfettario annuo pari all’uno per cento del valore degli immobili alla data di entrata in vigore della legge, che potrebbe anche essere del tutto inadeguato, con il conseguente rischio di maggiori oneri a carico del Fondo Pensioni; vi è la concreta possibilità che le valutazioni siano iperboliche e inadeguate e che non tengano conto delle previsioni negative del mercato immobiliare, che comporterebbero ictu oculi un deprezzamento dei beni incamerati; è ipotizzabile una perdita potenziale da mancato rendimento, riconducibile alla riduzione dei canoni di affitto di cui all’art. 27 della legge regionale n. 9 del 2013; è verosimile una perdita, in termini di mancato rendimento, riconducibile al differimento del limite di impegno di cui al comma 4 dell’art. 15 della legge regionale n. 6 del 2009.

Da ultimo, il comma 4 dell’art. 7 in esame accerta in entrata del bilancio della Regione Siciliana per l’anno 2017, quale corrispettivo della cessione, la somma di 22.750 migliaia di euro, senza che la cessione si sia ancora perfezionata, fatto del tutto singolare.

Si tratta solo di un primo esame della nuova normativa, effettuato sulla base dell’analisi del testo e dei dati generali a disposizione di questa Procura Generale, che rende però del tutto palesi le criticità che l’art. 7 potrebbe avere in relazione agli equilibri attuariali del Fondo.

Una situazione di equilibrio è possibile, nel medio – lungo periodo, solo se il rendimento non si attesta al di sotto del 3%. Sotto questo profilo, la nuova normativa non sembra basata su di un’analisi accurata, in grado di garantire il raggiungimento dell’obiettivo; di contro, è preoccupante l’evidente abbandono di quell’atteggiamento prudenziale che dovrebbe sorreggere qualsivoglia operazione economica sia in grado di incidere sull’integrità del patrimonio del Fondo, che non è costituito da somme provenienti dalla fiscalità generale, ma dai contributi versati dai lavoratori; come sottolineato anche dalla Corte costituzionale, le somme rivenienti dalla contribuzione dovrebbero essere destinate esclusivamente alla tenuta del sistema previdenziale e, dunque, non dovrebbero essere mai utilizzate, né direttamente né indirettamente, per sopperire a strutturali e/o momentanee deficienze di cassa.

Il dubbio che emerge è che attraverso il predetto meccanismo si voglia semplicemente ed artificiosamente drenare liquidità dal Fondo verso il bilancio regionale, a fronte del trasferimento di immobili non meglio identificati e la cui redditività è tutta da dimostrare, con conseguenze del tutto imprevedibili in ordine alla possibilità futura di pagamento delle pensioni dei regionali.

Una norma che solo per assenza di immediato impatto sul rendiconto qui in esame – ma il tema diverrà attuale e rilevante il prossimo anno - questa Procura non chiede di inviare all’esame della Corte Costituzionale per i molteplici aspetti di dubbia costituzionalità che essa contiene.


SOCIETÀ PARTECIPATE

Parlando di personale, non può tacersi del peso sul bilancio regionale degli oneri derivanti dalle retribuzioni in favore di strutture ed organismi esterni riconducibili alla Regione.

In particolare assumono notevole rilevanza gli oneri per il pagamento degli organismi societari partecipati dalla Regione.

Sempre con riferimento all’esercizio finanziario 2016 (e quindi al 31 dicembre dello scorso anno) risulta che le società partecipate, in cui la Regione detiene il 100% del capitale o ha comunque una posizione maggioritaria, sono 10, delle quali 4 in house e 6 in controllo.

Come già sottolineato negli anni scorsi dalla Sezione del Controllo, gli oneri a vario titolo sostenuti dalla Regione per le società partecipate determinano un impatto considerevole, ed in larga parte sottostimato, sul Bilancio regionale.

Dagli ultimi dati in possesso di questa Procura Generale, forniti dalla Sezione di controllo, i costi del personale delle società partecipate ammontano a 257 milioni di euro, al netto dei costi per consulenze e rapporti atipici e senza considerare le società in liquidazione.

Come l’anno scorso, poi, il numero dei dipendenti è costantemente superiore a 7.000 unità.

Come già rimarcato in occasione del giudizio di parificazione relativo all’anno finanziario 2015, sono assolutamente indispensabili adeguati e rigorosi controlli sui sistemi di reclutamento e sul rispetto dei divieti in tema di assunzioni.

In particolare, è necessario un continuo monitoraggio sulla prassi di ricorrere a rapporti atipici e sull’attuazione di inquadramenti e progressioni di carriera.

Infine, ancora una volta, si segnala che la Regione Siciliana non ha proceduto - ed il fatto si connota di gravità assoluta nell’ottica di una reale trasparenza della spesa pubblica - al consolidamento dei costi del personale del perimetro pubblico allargato, includendo anche la galassia delle società partecipate.

A tal proposito va rilevato che, con riferimento agli accantonamenti per perdite degli organismi partecipati, di cui ai commi 551 e 552 dell'art. 1 della legge 147/2013, la Regione non ha fornito dati e criteri di valutazione adottati ai fini della mancata costituzione del Fondo perdite organismi partecipati, disattendendo la deliberazione n. 9/2015 della Sezione Autonomie di questa Corte.

A ciò si aggiunga la perdurante non attuazione dell’art. 23 dello Statuto regionale per quanto riguarda la creazione di una specifica Sezione di controllo di questa Corte sugli enti ai quali la Regione contribuisce in via ordinaria, analogamente a quanto previsto per lo Stato, che sembra, però, avviata a soluzione alla luce dell’iniziativa assunta dall’attuale Governo regionale che ha attivato la Commissione paritetica Stato-Regione per l’esame di un testo che ne preveda l’istituzione, la cui prima stesura, però, appare assai approssimativa e non coerente al dato normativo nazionale e del tutto insoddisfacente sotto il profilo della garanzia di un efficace controllo.

L’urgenza di un simile strumento di controllo in posizione di terzietà appare quanto mai evidente non solo alla luce dei dati sopra riportati ed adeguatamente evidenziati nella relazione di codeste Sezioni Riunite, ma anche tenuto conto di taluni episodi come quello che ha riguardato Sicilia E-Servizi s.p.a. (ora Sicilia Digitale s.p.a.), per la quale la Ragioneria, a seguito di talune presunte irregolarità gestionali, aveva disposto un’ispezione che non ha avuto esito, poiché l’Amministratore unico ha vietato agli uffici della società di consentire l’accesso ai funzionari regionali, circostanza che è stata comunicata al Presidente della Regione il quale non ha assunto alcuna consequenziale iniziativa.


IL DEBITO DELLA REGIONE

Al 31 dicembre 2016, il debito di finanziamento (cioè tutto il debito compreso l’anticipazione di liquidità) a carico della Regione Siciliana era pari a 8 miliardi e 35 milioni circa, in flessione rispetto alla stessa data dell’anno precedente del 2,2%.

Il debito al netto dell’anticipazione di liquidità era di 5 miliardi e 478 milioni, anche questo in leggera flessione dell’1,93% rispetto al 2015.

Sono stati stipulati due ulteriori contratti di mutuo con la Cassa Depositi e Prestiti per 65 milioni di euro per finanziare spese di investimento degli enti locali e per 3 milioni 223 milioni di euro l’acquisto del complesso edilizio riferito alle Terme di Sciacca, mutuo, quest’ultimo, ad erogazione differita e che avrà effetti contabili solo dal 2017.

Si è fatto ricorso, pure, ad un ingente utilizzo di uno strumento contabile che già era stato stigmatizzato in occasione della scorsa relazione e cioè le “anticipazioni di liquidità”, previste dal decreto legge n. 35 del 2013 come, appunto, anticipazioni di liquidità e non come indebitamento in senso tecnico: nel corso del 2016 la Regione Siciliana non ha, però, stipulato ulteriori contratti di prestito per anticipazione di liquidità.

La Corte Costituzionale è intervenuta nel 2015 precisando che si tratta di mera anticipazione di cassa, di più lunga durata temporale rispetto a quella ordinaria.

Tuttavia, poiché come pubblico ministero, neutro e imparziale, agisco anche nell’interesse della collettività oltre che dell’ordinamento generale, non posso fare a meno di rilevare che una notevole anticipazione di liquidità del 2014 e 2015 (2 miliardi 667 milioni di euro, per un residuo al 2016 di 2 miliardi 567 milioni di euro) influisce pesantemente sul servizio del debito e, quindi, sulla capacità di spesa futura della Regione: tale liquidità, pur non essendo tecnicamente considerata come indebitamento ai fini del rispetto del limite di cui all’art. 62, comma 6, del D.Lgs n. 118/2011, comporta comunque l’assunzione di obblighi da parte della Regione. Infatti la restituzione, gravata naturalmente da interessi, peserà sulle già esangui casse della Regione Siciliana per un trentennio e cioè sino al 2044-45: la legge prevede infatti per queste anticipazioni un piano di ammortamento trentennale.

La già difficile situazione finanziaria della Regione è aggravata ulteriormente dagli effetti dei contratti derivati stipulati dalla stessa.

Com’è noto, infatti, le operazioni in derivati presentano un carattere di spiccata aleatorietà, in grado di pregiudicare il complesso delle risorse finanziarie pubbliche.

L’istruttoria delle Sezioni Riunite siciliane ha evidenziato che, fino all’anno 2007, la Regione aveva tratto vantaggio economico da tali strumenti, a partire, invece, dall’anno 2008 si sono registrati differenziali negativi a carico della Regione, con cospicue perdite economiche negli ultimi anni: soltanto nell’anno 2016 la perdita relativa ai contratti derivati, per interessi, è stata di 34 milioni di euro, con una perdita cumulata fino al 2016 di 168,5 milioni di euro.

Peraltro va rilevato che, nonostante i numerosi rilievi delle nostre Sezioni Riunite, la Regione non ha predisposto un sufficiente fondo di riserva finalizzato a limitare gli esborsi futuri e quindi non potrebbe affrontare neanche la chiusura di uno solo dei contratti derivati in essere, se ciò fosse richiesto da un operatore finanziario, facoltà che gli è riconosciuta.

Non è pertanto procrastinabile l’assunzione di iniziative volte a contenere i rischi della attuale esposizione debitoria collegata alle operazioni di finanza derivata: è indubbio infatti che l’operatore pubblico deve agire usando misure prudenziali ulteriori e superiori rispetto all’operatore privato.


SANITÀ

La spesa relativa alla tutela della salute (Missione 13 del rendiconto generale) ammonta a 9.494 milioni di euro.

A seguito dell’adozione della contabilità armonizzata, il totale degli impegni afferenti al settore sanitario ha costituito il 57% della spesa complessiva della Regione.

La spesa per l’assistenza ospedaliera convenzionata nel 2016 (Consuntivi CE al 4° trimestre 2016) è stata di circa 690 milioni di euro, che posta a confronto con il dato consuntivo 2015 fa registrare un lieve decremento dello 0,21%.

La spesa per l’assistenza specialistica convenzionata nel 2016 è stata di circa 439 milioni di euro, in aumento del 2,76% rispetto al 2015.

La spesa farmaceutica, erogata attraverso farmacie convenzionate, pubbliche e private, per 702 milioni di euro, ha registrato un decremento di circa 24 milioni di euro, come già accaduto per il 2015.

Considerando nel suo complesso la spesa farmaceutica regionale (somma di quella diretta e di quella convenzionata), si perviene ad un ammontare di 1.548 milioni di euro, con un incremento pari a circa 22 milioni di euro.

Va infine rilevato, tra le note positive, che merita approvazione l’attività svolta dall’Assessorato alla salute, volta a ridurre gli sprechi pur mantenendo inalterata la qualità della prestazione: mi riferisco ai controlli sulle cartelle cliniche, al monitoraggio sull’appropriatezza dei ricoveri, all’attenzione dedicata agli eventi cardiologici che, da soli, costituiscono una parte ingente della spesa regionale.

In tale contesto la Procura Generale ha deciso di svolgere un approfondimento sulle modalità di liquidazione dei DRG (diagnosis-related group, in italiano: raggruppamento omogeneo di diagnosi) alle strutture del servizio sanitario nazionale ed a quelle in regime di convenzione, al fine di verificare gli effettivi costi del servizio e le eventuali differenze di trattamento - a parità di prestazione - ed i risparmi potenzialmente realizzabili.

È emerso che l’Amministrazione regionale, per il 2016, ha dato puntuale applicazione alle tariffe di cui al Decreto Assessoriale n. 923 del 14.05.2013. Le tariffe in argomento sono state, poi, abbattute in funzione della fascia di appartenenza della struttura.

I "DRG" vengono, altresì abbattuti per "inappropriatezza" al superamento delle soglie di ammissibilità in regime di ricovero, previste dal decreto del 31/12/2013; a tali ricoveri si applica la tariffa del "day service" (inferiore rispetto a quella dei ricoveri) abbattuta del 20%. Una quota dei ricoveri viene, inoltre, sottoposta a controlli analitici da parte delle competenti ASP.

È stato accertato che “alle strutture ospedaliere, cosiddette a "gestione diretta" da parte dell'Assessorato della Salute (Ospedale Buccheri di Palermo, I.O.R. (Rizzoli) di Bagheria, Fondazione Istituto Giglio di Cefalù), si applicano le medesime tariffe, per la valorizzazione dei "DRG", di cui sopra. Per l'ISMETT di Palermo, si applica, invece, sino al 31 dicembre 2017, la disciplina speciale prevista dall'articolo 1, commi 607 e 608 della Legge 23/12/2014, n. 190, anche se risulta di difficile comprensione il motivo per cui un identico intervento medico, se routinario, debba essere remunerato in modo differente a seconda della struttura ove viene praticato.

La Procura Generale ha proceduto, inoltre, alla verifica dello stato di attuazione della rete ospedaliera regionale e degli effetti, in termini di diseconomie dirette ed indirette, registrabili nel 2016 a seguito della mancata realizzazione della rete ospedaliera”, provvidenzialmente e definitivamente esitata ed approvata proprio all’indomani dell’avvio di tali accertamenti.

L’articolo 15, comma 13 lettera c), del decreto legge 6/7/2012 n. 95, convertito, con modificazioni, dalla Legge 7/8/2012 n. 135, ha disposto che le Regioni, sulla base e nel rispetto degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi da definirsi con apposito regolamento, adottino provvedimenti di riduzione dello standard di posti letto ospedalieri accreditati ed effettivamente a carico del Servizio Sanitario Regionale ad un livello non superiore a 3,7 posti letto per mille abitanti, adeguando coerentemente le dotazioni organiche dei presidi ospedalieri pubblici ed assumendo come riferimento un tasso di ospedalizzazione pari a 160 per mille abitanti.

In considerazione della predetta normativa, la Regione Siciliana ha avviato la riorganizzazione della rete ospedaliera secondo i nuovi parametri.

Dopo lungo e travagliato iter l’Assessorato della Salute ha elaborato il Documento metodologico per la riorganizzazione del sistema di rete dell’emergenza e, da ultimo, con D.A. n. 629 del 31/03/2017 ha approvato la “Riorganizzazione della rete ospedaliera ai sensi del D.M. 2 aprile 2015, n. 70”.

Al fine di verificare gli effetti in termini di diseconomie eventualmente registratesi nel 2016 (anno in cui la riorganizzazione doveva già essere operativa) – e, quindi, della irregolarità del rendiconto generale della Regione a seguito della ritardata attuazione della rete ospedaliera regionale – si è proceduto all'esame di alcune fonti qualificate di dati.

Confrontando i dati rilevati dal flusso ministeriale HSP, che riguarda il numero di posti letto attivi, con le previste riorganizzazioni della rete ospedaliera, è emerso che:

1) al 01/01/2016 i posti letto attivi erano complessivamente n. 16.336 con uno scarto in meno, rispetto a quelli previsti dal D.A. 46/2015;

2) al 01/01/2017 i posti letto attivi erano complessivamente n. 15.978 con uno scarto ancora negativo di 2.073 rispetto a quanto previsto dal nuovo D.A. n. 629/2017.

Nel corso dell’anno 2016, dunque, i posti letto attivi erano in numero inferiore non solo rispetto a quelli programmati dal D.A. n. 46/2015 ma anche rispetto a quelli che sarebbero stati successivamente programmati dal D.A. n. 629/2017.

Considerato il livello di occupazione medio, pari al 79,4%, la mancata definizione, nel corso del 2016, degli adempimenti connessi all’applicazione dei criteri e parametri previsti dal D.M. 70/2015, se da un lato non ha consentito l'erogazione di prestazioni sanitarie per n. 590.343 giornate di degenza, relative ai posti letto non attivati, dall'altro non ha prodotto una diseconomia in termini puramente finanziari, in disparte ogni considerazione sulla minore offerta del servizio salute rispetto al programmato.

Per quel che concerne, infine, la spesa per il personale sostenuta nell’anno 2016, si è proceduto al confronto tra le due rimodulazioni della rete ospedaliera in termini di Unità Operative con posti letto previsti dai citati decreti (D.A. 46/2015 e D.A. 629/2017) e i dati pervenuti dalle Aziende Sanitarie, ed è stato effettuato il confronto tra le UU.OO. con posti letto attive al 01/01/2016 e al 31/12/2016.

Si è registrato, con riferimento alla pregressa programmazione:

1) al 01/01/2016, un risparmio di spesa complessivo pari a € 7.257.723,33;

2) al 31/12/2016, un risparmio di spesa complessivo pari a € 3.463.426,53.

Con riferimento, invece, alla nuova rete ospedaliera:

1) al 01/01/2016, una differenza di spesa complessiva pari a - € 14.265.010,47;

2) al 31/12/2016, una differenza di spesa complessiva pari a - € 18.059.307,27.

Alla luce di questa ulteriore analisi, i costi relativi alle UU.OO. attive risultano inferiori, nel 2016, a quelli che sarebbero scaturiti dall’attuazione di entrambi i decreti in esame.

Ciò chiaramente è correlato non solo al minor numero di Unità Operative Complesse attive rispetto a quello previsto dal D.A. n. 46/2015 o dal D.A. n. 629/2017, ma anche alla presenza di UU.OO. con facente funzione ex art. 18 del CNN, aventi un costo inferiore rispetto a quelle con titolare, e di UU.OO. ad interim, per le quali non è previsto alcun costo aggiuntivo.

Emerge, tuttavia, con estrema evidenza la circostanza che la rete ospedaliera approvata, se dovesse trovare piena e compiuta attuazione determinerebbe non un risparmio ma un’impennata fortemente espansiva dei costi della sanità – che non sembrano avere formato oggetto di specifica ponderazione da parte dell’Assessorato che, in prima battuta, non è stato neppure in grado di fornire a questa Procura i dati di riferimento per il calcolo della relativa spesa, sia attuale che futura -, le cui fonti di finanziamento non è dato al momento di potere individuare e la cui realizzazione potrebbe avere un notevole impatto negativo sui futuri esercizi.

Una nota particolare merita, poi, la Fondazione Istituto Giglio di Cefalù, la cui gestione e condizione giuridica, per espressa ammissione dello stesso Assessore alla Salute in sede di audizione, resta parecchio nebulosa alla stessa Amministrazione regionale.

La Fondazione Istituto San Raffaele G. Giglio di Cefalù, oggi Fondazione Istituto G. Giglio di Cefalù, veniva istituita il 17 gennaio del 2003 attraverso una joint venture tra la Regione Siciliana, il Comune di Cefalù, l'Azienda USL 6 di Palermo, oggi Asp, e la Fondazione San Raffaele del Monte Tabor di Milano.

Rappresentava uno dei primi modelli in Italia di sperimentazione pubblica-privata per la gestione di un ospedale pubblico, secondo quanto previsto dall'articolo 9 bis della legge n. 502 del 1992.

Era stata costituita con l'obiettivo di trasformare l'ospedale Giuseppe Giglio in centro di eccellenza, di ricerca, di alta specializzazione a prevalenza oncologica ma non esclusiva, attraverso il trasferimento del know-how dal San Raffaele di Milano.

La sperimentazione gestionale con il Centro San Raffaele del Monte Tabor si concludeva, non senza polemiche, il 2 luglio del 2013 come da espressa deliberazione della Giunta Regionale (delibera n. 237).

Il 24 gennaio del 2013 il Consiglio di Amministrazione veniva commissariato.

Il 24 dicembre 2013 la Giunta Regionale approvava con delibera le modifiche allo statuto della Fondazione e nominava, a far data dal 1 gennaio 2014, un commissario straordinario.

In data 13.05.2015 si è insediato l’attuale Consiglio di Amministrazione.

Il presidente della Fondazione, con il nuovo Statuto, è di diritto il consigliere d’amministrazione designato dal presidente della Regione.

I soci fondatori della Fondazione, che ha assunto la denominazione di "Istituto G. Giglio di Cefalù" sono la: Regione Siciliana, Comune di Cefalù, Asp di Palermo, a cui si aggiungo i nuovi ARNAS Civico G. Di Cristina Benfratelli di Palermo e l'Azienda Ospedaliera Ospedali riuniti Villa Sofia - Cervello di Palermo.

Orbene, la norma in virtù della quale è stata originariamente istituita la fondazione stabiliva che le regioni autorizzassero programmi di sperimentazione aventi ad oggetto nuovi modelli gestionali che prevedessero forme di collaborazione tra strutture del Servizio sanitario nazionale e soggetti privati, anche attraverso la costituzione di società miste a capitale pubblico e privato.

Nel caso di specie si è preferito optare per la forma giuridica della fondazione.

La stessa norma prevedeva che al di fuori dei programmi di sperimentazione ivi previsti fosse fatto divieto alle aziende del Servizio sanitario nazionale di costituire società di capitali aventi per oggetto sociale lo svolgimento di compiti diretti di tutela della salute, disposizione che, come di tutta evidenza, ha valore anche per le forme giuridiche alternative eventualmente prescelte.

Infatti, la stessa norma prevede che il programma di sperimentazione prevedesse forme e modalità di pronta attuazione per la risoluzione della convenzione di sperimentazione e scioglimento degli organi societari in caso di mancato raggiungimento del risultato della avviata sperimentazione.

Nel caso del Giglio di Cefalù, dal 2013, la fondazione non svolge più alcuna forma di sperimentazione pubblico-privato, è totalmente partecipata da soggetti pubblici, in larga parte operanti direttamente nella sanità pubblica, ed i cui dipendenti sono pure ivi utilizzati; utilizza immobili di proprietà della ASP di Palermo ed ha una struttura amministrativa che genera, però, costi aggiuntivi in funzione del previsto consiglio di amministrazione e del collegio dei revisori; ha un proprio Direttore Generale nominato dal Consiglio di amministrazione; i trattamenti economici ivi applicati non è chiaro a quali parametri siano ancorati (è il caso di ricordare come per gli Istituti di Ricovero e Cura trasformati in Fondazioni il D.Lgs n. 288/03 abbia previsto che il trattamento economico del personale privatizzato non potesse essere superiore a quello previsto dai contratti pubblici della dirigenza medica e non medica e del comparto sanità) ed, infine, né l’ASP di Palermo né l’Assessorato alla salute esercitano una effettiva vigilanza e controllo sulla gestione della struttura.

Un centro di costo, in sintesi, fuori dal perimetro normativo e privo di effettivi controlli da parte della Regione e dell’ASP, come ammesso in sede di audizione sia dall’Assessore alla salute, sia dal Direttore Generale dell’ASP di Palermo.


DEBITI FUORI BILANCIO

La Regione lo scorso anno ha fatto ricorso alla speciale procedura prevista dall’art. 73 del D.Lgs 118/2011, il quale prevede che il Consiglio regionale riconosca, con legge, la legittimità dei debiti fuori bilancio derivanti da, tra gli altri, acquisizione di beni e servizi in assenza del preventivo impegno di spesa, entro sessanta giorni dalla ricezione della relativa proposta e che, decorso inutilmente tale termine, la legittimità del debito si intenda riconosciuta.

La norma presenta alcuni profili di criticità costituzionale, specialmente là dove il riconoscimento, che è previsto debba avvenire con legge, si determini per inazione dell’organo legislativo: si tratta dell’unico esempio, nel nostro ordinamento, di effetti legislativi scaturenti da una sorta di silenzio assenso, che non trova ancoraggio nel testo della nostra Costituzione.

Nel caso che ha formato oggetto di istruttoria da parte di questa Procura Generale, e le cui risultanze sono state riversate in atti, il riconoscimento è avvenuto con legge formale.

È appena il caso di osservare che l’avvenuto riconoscimento non elide la responsabilità, se ve ne fosse, di coloro che hanno determinato la spesa (e nel caso di specie – relativo alle vicende di Expo 2015 - con notevolissimi profili di criticità ed illegittimità rilevati anche dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato) che, tuttavia, atteso l’intervenuto riconoscimento da parte dell’ARS, coperto dalle guarentigie dell’attività legislativa, non rileva in questa sede.


RENDICONTO DELLA REGIONE SICILIANA

L’ultimo tema, decisivo, al quale mi corre obbligo dedicare particolare attenzione è quello dell’analisi tecnica del rendiconto della Regione Siciliana, dalla quale scaturiscono le conclusioni orali che, avverto sin da subito, sulla base delle ultime acquisizioni istruttorie offerte dalle Sezioni Riunite e degli approfondimenti effettuati dai miei uffici, determineranno la modifica, in questa sede, delle conclusioni scritte depositate in atti.

Il rendiconto generale 2016 della Regione Siciliana sintetizza efficacemente un anno di transizione, un anno in cui la Regione si è trovata a dover affrontare contemporaneamente la sfida del risanamento e la sfida dell’armonizzazione dei sistemi contabili.

Tuttavia è evidente che le soluzioni adottate nel corso di questo esercizio finanziario non sono risolutive rispetto ai due grandi temi: da un lato il riequilibrio dei conti e l’impatto dell’accordo con lo Stato che dovranno essere valutati nel medio termine, dall’altro il processo di armonizzazione contabile.

La presenza di un notevole disavanzo di amministrazione, le cui coperture risultano altamente incerte, impedisce, poi, allo stato di poter ritenere realizzato l’obiettivo del risanamento definitivo dei conti regionali.

Sulla base dei dati del Rendiconto generale, al 31 dicembre 2016 la Regione registra un disavanzo di amministrazione complessivo di 99 milioni, pari alla somma algebrica tra l’avanzo di 5.370 milioni della gestione dei fondi vincolati non regionali e del disavanzo di euro 5.469 registrato sui fondi ordinari della Regione.

Qui, però, emergono alcune criticità che non consentono, allo stato degli atti, ad avviso della Procura Generale, di potere giungere, in questa sede, alla dichiarazione di regolarità del rendiconto generale.

Infatti, non risultano istituiti il Fondo rischi spese legali, il Fondo passività potenziali e il Fondo perdite partecipate.

Con riferimento al Fondo rischi spese legali, non vi è evidenza che la Regione abbia proceduto ad una compiuta “ricognizione del contenzioso esistente a carico dell’ente”, obbligatoria in sede di prima applicazione dei principi applicati della contabilità finanziaria, di cui all’allegato 4/2 del D.Lgs n. 118/2011.

Pertanto, qualunque valutazione sul contenzioso con “significativa probabilità di soccombenza” e sui relativi accantonamenti risulta viziata da questo mancato adempimento.

Non si tratta, come taluno potrebbe ritenere di mera inattendibilità del dato, ma di vera e propria irregolarità del rendiconto, in quanto è stata omessa una valutazione imposta dalla legge (e correlativa istituzione del fondo), alla luce della notoria circostanza che la Regione Siciliana è coinvolta in una congerie di contenziosi passivi il cui dato complessivo risulta in questa sede pretermesso.

Le Sezioni Riunite hanno evidenziato, poi, nel capitolo dedicato all’indebitamento, i rischi collegati ai contratti derivati in essere, che avrebbero richiesto un adeguato accantonamento al Fondo passività potenziali.

Anche tale Fondo non è stato istituito ancorché, alla voce “vincoli derivanti da leggi e principi contabili” risulti un accantonamento operato ai sensi della Legge Regionale 15 maggio 2013, n. 9 art. 3, pari a 20,5 milioni di euro, comunque largamente insufficiente a fronteggiare il mark to market negativo dei contratti che presentano rischi significativi.

Con riferimento, poi, agli accantonamenti per perdite degli organismi partecipati la Regione, come già detto, non ha fornito dati e criteri di valutazione adottati ai fini della mancata costituzione del Fondo, violando quanto disposto dalla Sezione Autonomie con deliberazione n. 9/2015.

L’insieme di tali mancanze incide significativamente sulla regolarità del risultato di amministrazione che, allo stato degli atti, non appare supportato da reali elementi di valutazione e che, alla luce della necessaria istituzione dei fondi suddetti, dovrebbe risultare notevolmente diverso.

Ulteriori e non meno pressanti considerazioni merita l’applicazione del risultato finanziario al bilancio.

La Regione sostiene di aver individuato coperture per 7.011 milioni di euro a fronte del disavanzo di 5.896 milioni di euro.

Tale tesi non appare, allo stato, convincente, almeno per quel che riguarda due delle tre metodiche di copertura indicate dalla Regione.

Una delle modalità consiste nell’utilizzare i presunti avanzi futuri derivanti da eccedenze da “reimputazione”.

Ai sensi dell'art. 1 l.r. 31/2015, la Regione dà copertura a una quota di disavanzo di amministrazione 2016 pari complessivamente a 2.003 milioni di euro (capitoli 7, 8, 10 e 11) iscrivendo nella parte spesa de bilancio 2017 e 2018 una somma pari alla differenza positiva tra gli stanziamenti in entrata e in spesa di ciascun esercizio derivanti dalla "reimputazione".

Limitando l'analisi alla parte riconducibile al riaccertamento straordinario dei residui, emerge che su 1.564 milioni di euro di "reimputazioni" di residui attivi nel bilancio 2016, le riscossioni si sono attestate a 411 milioni di euro, mentre 608 milioni sono i residui eliminati definitivamente dal conto del bilancio; di contro, sul fronte dei residui passivi, su 444 milioni di euro di "reimputazioni" i pagamenti 2016 si sono attestatati a 54 milioni di euro, mentre 32 milioni di euro sono le cancellazioni definitive; la quota dei residui attivi e passivi non riscossa o versata e non cancellata è stata "reimputata" agli esercizi successivi.

L'eccedenza, o avanzo, effettivamente realizzatosi nel corso del 2016 si attesta pertanto a soli 357 milioni di euro, in luogo dei previsti 1.120 milioni di euro, con una differenza negativa di 763 milioni di euro.

Alla luce di quanto precede, è verosimile che anche nel 2017 e 2018 non si realizzi l'avanzo previsto e, pertanto, la copertura del disavanzo di amministrazione per questa quota parte risulti incerta.

La seconda modalità, parimenti critica, prevede l’utilizzo del Fondo anticipazione di liquidità.

Una quota di disavanzo di amministrazione pari complessivamente a 2.592 milioni di euro, viene coperta ai sensi della legge 208 del 2015, commi 692 e seguenti utilizzando le quote trentennali di “accantonamento” del Fondo anticipazione di liquidità.

Tale modalità contrasta con i principi enunciati dalla Sezione delle autonomie della Corte dei Conti con delibere 19/2014 e 33/2015 e con la sentenza n. 181/2015 della Corte costituzionale che non consentono effetti espansivi della spesa.

A partire dal 2017, la Regione considera la quota di accantonamento dell'anticipazione di liquidità (capitolo 9 spesa), quale rata di copertura del disavanzo di amministrazione fondi regionali di un ideale piano di riparto fino al 2045.

L'operazione contabile produce di fatto il venir meno della sterilizzazione della quota di avanzo finanziario, parte vincolata, riconducibile a tale Fondo, con esiti espansivi sulla spesa pari, a breve, a 76 milioni di euro e a lungo termine a 2.592 milioni di euro.

In termini puramente quantitativi, poi, ove si ripristinassero gli effetti di sterilizzazione dell'accantonamento, rimarrebbe, a parità di stanziamenti di spesa, un disavanzo da coprire pari a 2.592 milioni di euro.

Orbene, in merito all’effetto “reimputazioni” che sembrerebbe neutro nel medio termine, occorre ricordare che già codeste Sezioni Riunite, lo scorso anno, hanno osservato che l’operazione, introdotta con la legge di assestamento 2015 per alleggerire l’onere del ripiano del disavanzo da riaccertamento straordinario, “potrebbe avere conseguenze pregiudizievoli negli esercizi futuri qualora non si realizzasse la riscossione delle entrate corrispondenti ai predetti residui”, evenienza, questa, già realizzatasi nel 2016.

Gli effetti distorsivi della suddetta operazione contabile che emergono a consuntivo sono tre: una sottostima del disavanzo finanziario al 31/12/2015 da coprire negli esercizi finanziari successivi, pari almeno alla differenza tra i residui attivi e passivi eliminati definitivamente nel corso del 2016, ovvero 576 milioni di euro; la mancata copertura di una quota di disavanzo di amministrazione al 31/12/2015, di 763 milioni di euro, pari all’eccedenza da reimputazione che non si è realizzata (e per 576 milioni di euro è certo non si realizzerà); l’alterazione, inevitabile, del pareggio di bilancio a livello previsionale per il medesimo importo.

Anche in merito all’altra modalità di copertura - utilizzo delle quote di accantonamento del Fondo anticipazione di liquidità (capitolo 9 della spesa) - si rilevano effetti distorsivi sul bilancio e sui suoi equilibri.

Sotto un primo profilo, si ha alterazione dell’equilibrio di bilancio (art. 81 della Costituzione) che viene in definitiva conseguito ottenendo un beneficio “economico-patrimoniale” da un prestito.

Sotto altro profilo, si realizza un passaggio di risorse dai fondi vincolati a liberi; di fatto si utilizzano, in termini di competenza, i proventi del d.l. 35/2013 per finanziare il disavanzo; l’anticipazione di liquidità in quest’ottica assume carattere di vero e proprio indebitamento e finisce quindi per soggiacere ai vincoli dell’art. 119 della Costituzione.

Tale situazione, ad avviso della Procura Generale, non può non avere rilievo già in questa sede, anche al fine di sollecitare le conseguenti valutazioni che dovrebbe compiere la Regione Siciliana in sede di assestamento, per gli effetti che le predette operazioni hanno sulla gestione dell’esercizio finanziario 2017, al fine di evitare conseguenze disastrose sui conti pubblici.

Si evidenziano, pertanto, e mi avvio a formulare le richieste conclusive, elementi ostativi alla dichiarazione di regolarità del rendiconto generale, almeno senza un preventivo ulteriore passaggio istruttorio in contraddittorio con la Regione e sulla base dei principi del giusto processo.

Ritiene questo P.M. che, prima di giungere ad una pronuncia di diniego di regolarità, che segnerebbe un punto di svolta di straordinario rilievo negativo nella gestione dei conti pubblici regionali, in quanto mai, in passato, la Corte ha dovuto fare ricorso a tale pronuncia, sia necessario, oltre che opportuno, effettuare ulteriori accertamenti in contraddittorio con la Regione, che possano condurre ad una più esaustiva e consapevole pronuncia da parte di codeste Sezioni Riunite.

Modifico, pertanto, le conclusioni di cui all’atto scritto, chiedendo che:


CONCLUSIONI

IN VIA PRINCIPALE: sia dichiarata la irregolarità del rendiconto generale della Regione Siciliana per l’esercizio 2016, per i motivi di cui alla requisitoria orale che qui si deposita agli atti.

IN VIA SUBORDINATA:

Disporsi supplemento istruttorio al fine di:

1) chiedere all’avvocatura dello Stato la quantificazione del contenzioso passivo della Regione Siciliana e la relativa stima di quello con significative probabilità di soccombenza (omessa istituzione del fondo rischi spese legali);

2) chiedere alla Regione di quantificare il rischio potenziale tenuto conto del valore di mercato dei derivati (omessa istituzione del fondo passività potenziali);

3) chiedere alla Regione copia dei bilanci e/o riepilogo dei risultati di bilancio di tutti gli organismi partecipati o, in subordine, quantificazione del fondo sulla base di tali dati (omessa istituzione del fondo perdite organismi partecipati);

4) chiedere alla Regione un elenco analitico dei residui attivi e passivi per anno di provenienza reimputati nel bilancio 2017 e 2018 (differenze da reimputazione);

5) chiedere alla Regione un elenco dei capitoli di entrata e spesa utilizzati ai fini della completa sterilizzazione dei bilanci dal 2016 al 2019 degli effetti sul risultato di amministrazione delle anticipazioni di liquidità ed un piano di copertura del disavanzo di amministrazione al 31 dicembre 2016, escludendo i capitoli di spesa utilizzati per la completa sterilizzazione dell’anticipazione ex DL 35/2013 e, ove la sterilizzazione non sia integrale, di fornire una relazione analitica riguardante i capitoli utilizzati, presupposti normativi e motivazioni, illustrando, per ciascuna annualità, destinazione della quota di risultato di amministrazione non sterilizzato applicato al bilancio.

Rinviando la decisione definitiva ad altra udienza.

Palermo, 30 giugno 2017

Il PROCURATORE GENERALE D’APPELLO

PER LA REGIONE SICILIANA

Pino Zingale



 di Pino Zingale

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