Sondaggio in cento licei italiani: la mafia è forte ma si può vincere

24 aprile 2017
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Il mafioso è irrazionale perché non agisce da uomo negando con i suoi comportamenti violenti e delittuosi il fattore distintivo dell’uomo che è la ragione e il concetto di legalità più che il semplice rispetto della legge deve essere legato alla dignità e alla moralità dell’essere umano”. Questo uno dei commenti da parte di uno degli oltre tremila studenti che hanno partecipato all’indagine sulla percezione mafiosa condotta per il decimo anno dal Centro Studi Pio La Torre tra i ragazzi che partecipano al Progetto Educativo Antimafia promosso dal Centro e i cui risultati sono contenuti in un numero speciale della rivista “ASud’Europa” che sarà presentata venerdì 28 aprile, alle ore 11, al Teatro Biondo di Palermo, alla presenza del Capo dello Stato, in occasione della manifestazione per il 35° anniversario dell’uccisione di La Torre e Di Salvo.

Sono stati 3061 gli studenti che hanno risposto alle quarantasette domande del questionario. La sfiducia degli intervistati nei confronti della classe politica è elevata (84.53 nei confronti dei politici nazionali, 79.91 nei confronti di quelli locali%) e il 47.27% ritiene che la mafia sia più forte dello Stato, e solo il 29.80% considera possibile sconfiggerla definitivamente.

Non c’è differenza significativa tra i giovani del Centro-Nord e del Sud sulla percezione della corruzione delle classi dirigenti locali – sottolinea Vito Lo Monaco, presidente del Centro Pio La Torre -. La mafia è forte perché si infiltra nello Stato che è più forte delle mafie solo per un 13% dei giovani. Ma la stragrande maggioranza dei giovani, oltre il 90%, ripudia la mafia e ritiene che sia più forte il rapporto tra mafia e politica. I giovani non si rivolgeranno a un mafioso o a un politico per un lavoro, assimilando l’uno all’altro.

L’indagine nel suo insieme - continua Lo Monaco - appare preoccupante e incoraggiante. Sono preoccupanti le risposte di cui sopra, ma sono incoraggianti gli altri elementi emersi da altre risposte. Sul tema della fiducia svetta quella agli insegnanti (83%), seguono magistrati, forze dell’ordine, giornalisti, sindacalisti e per ultimi (sfiducia sopra l’80%) i politici locali e nazionali. I giovani del Meridione sono meno pessimisti dei loro colleghi del Centro-Nord riguardo all’esito della lotta alla mafia. Si vede che una storia più antica di lotta antimafia ha inciso sulla coscienza civile delle nuove generazioni. Sulla percezione dei giovani certamente incide il ruolo educativo della scola e dell’antimafia sociale che opera quotidianamente prima e dopo ogni anniversario, ma soprattutto la consapevolezza che occorre cambiare il modello di sviluppo e superare ogni forma di disuguaglianza e ingiustizia sociale che alimentano rabbia, populismi. Se le mafie, dicono i giovani, possono influenzare l’economia delle proprie regioni, vanno colpite nei loro interessi economici, vanno contrastate la corruzione e il clientelismo, l’omertà e sostenere le buone politiche di cittadinanza”.

I risultati del report

L’indagine è stata condotta tra giovani studenti delle 3°, 4° e 5° classi di alcuni Istituti di scuole medie superiori distribuiti a macchia di leopardo su tutto il territorio nazionale. Il campione non può essere considerato rappresentativo in termini statistici, in quanto per la sua determinazione non è stata utilizzata la tecnica del campionamento probabilistico ma rappresenta l’espressione di una scelta autonoma di alcuni studenti e docenti di Istituti scolastici che, sensibili alle tematiche sulla legalità, hanno volontariamente aderito alle finalità del progetto.

Alla domanda su quanto pensino che la mafia sia diffusa nella propria regione, il 48.79% dei ragazzi intervistati ha risposto abbastanza, il 24.81% molto, il 15.43% poco. Nell’azione di accompagnamento ad una elaborazione critica del fenomeno mafioso, il ruolo più importante è affidato alla scuola e alla famiglia. A questo proposito, alla domanda “Con chi discuti maggiormente di mafia”, il 52.42% dei rispondenti individua nella scuola il luogo maggiormente deputato ad affrontare tematiche legate all’ingerenza della criminalità mafiosa, mentre soltanto il 30.15% dei ragazzi intervistati, sostiene di discutere di questi argomenti in famiglia. Il 25.01% dei rispondenti dichiara di parlarne fuori dalla scuola con amici o conoscenti e il 18.44% con altri studenti. Il rimanente 9.35% dichiara di non parlarne mai con nessuno. I dati confermano come sia proprio l’impegno del corpo docente, rispetto anche a quello delle stesse famiglie, ad avere il ruolo più marcatamente attivo nell’azione di promozione della cultura della legalità e di forme di partecipazione attiva. Durante il loro excursus scolastico il campione intervistato dichiara di avere affrontato tali tematiche soprattutto durante gli anni delle superiori (il 62%), contro il 58% della scuola media inferiore e il 29% della scuola elementare.

Sulla percezione del rapporto tra fenomeno mafioso e mondo della politica, gli intervistati hanno dichiarato per il 41.18% di ritenerlo molto forte, il 48,72% abbastanza forte, debole il 4.27%, inesistente l’1.16% e non so il 4.66%. Un risultato che conferma la piena consapevolezza da parte dei ragazzi di quanto sia stretto il rapporto tra mafia e politica. Un do ut des di favori reciproci che i giovani hanno imparato a riconoscere e con i quali, sono consapevoli, dovranno scontrarsi in un’ottica di possibilità per il proprio futuro professionale. Infatti, alla domanda se si ritiene che la presenza della mafia possa ostacolare nella costruzione del proprio futuro, ben il 32,32% ha risposto , molto, il 28.24% sì, poco, il 18.99% no, per niente e il 20.45% non so.


Mafia più forte dello Stato

Chi legge queste risposte non può non cogliere un senso d’impotenza e rassegnazione nei rispondenti, che trova la massima espressione nella risposta alla domanda: “A tuo avviso, tra lo Stato e la mafia chi è più forte?”, dove il 47.27% ha risposto la mafia, mentre sono ugualmente forti il 27.86% e solamente il 13.49% dichiara di mostrare maggior fiducia nello Stato. Ancora più sconfortante è il quadro che emerge dalle risposte alla domanda: “Secondo te, il fenomeno mafioso potrà essere definitivamente sconfitto?”, dove la risposta no prevale sul anche quest’anno in maniera rilevante. In particolare: il 42.35% ha risposto no, il 29.80% , mentre il 27.86% non so.


Una “democrazia a saldo”

Nella domanda su quali siano le attività illegali che rappresentano campanelli d’allarme della presenza mafiosa sul territorio – sottolinea Alberto Vannucci, docente di Scienza Politica dell’Università di Pisa -, dopo le attività criminali più tradizionali (spaccio di droga per il 49%, rapine per il 21%, estorsioni per il 6%, entrambe in crescita del 5% rispetto a un anno prima) sono i sintomi di un progressivo degrado del vivere civile a colpire di più gli intervistati (lavoro nero per il 17%, abusi edilizi per l’8%, discariche abusive per il 3%). Ma c’è anche la consapevolezza che i mafiosi hanno bisogno di incidere nei circuiti della politica e della creazione del consenso, sia corrompendo gli amministratori pubblici (7% delle risposte) che gli elettori (6%) tramite pratiche clientelari o compravendita di voti. Ne emerge il quadro inquietante di una “democrazia a saldo”, nella quale – ce lo raccontano le cronache i cui echi sembrano pervenuti agli studenti – bastano poche decine di euro (o meno) per ottenere affiliazioni fasulle ai partiti da far pesare in sede congressuale, voti pilotati alle primarie, preferenze di voto alle elezioni amministrative o politiche.

Per il professor Ernesto Savona, direttore di Transcrime “la lotta alla mafia è parte delle cose possibili come la lotta alla corruzione che ne costituisce l’alimento principale. Occorre investire sui giovani e sulle loro speranze e tra queste c’è quella di vivere in paese moderno efficiente e trasparente dove il merito viene premiato rispetto alla “parentela” o a posizioni di rendita. Tutte cose che si possono fare e che non sono un portato del fato. Sta alla classe politica creare le condizioni necessarie e agli educatori trasmettere valori e tra questi valori c’è quello dell’impegno quotidiano a cambiare il mondo che ci circonda”.


Il contesto familiare e le diverse percezioni

Il professor Adam Asmundo, ordinario di Economia dell’Università di Palermo ha analizzato le risposte degli studenti suddividendole in due sottogruppi, quelle dei figli di genitori entrambi con titolo di licenza media inferiore sono state messe a confronto con le risposte dei figli di genitori entrambi laureati. “La conclusione generale dell’indagine – la possibilità di sconfiggere per sempre la mafia – spiega il professor Asmundo - offre un’immagine sintetica della differenza fra i due gruppi di ragazzi agli estremi della distribuzione. Entrambi manifestano nelle loro risposte una più elevata frequenza di atteggiamenti consapevoli (il “non so è limitato al 24-25%), ma la conclusione è diversa. Per i primi – i ragazzi figli di genitori entrambi con licenza media – la sconfitta della mafia è data in percentuale al 30 contro il 44%; per i secondi – figli di genitori entrambi laureati – la sconfitta del crimine organizzato è possibile e raccoglie il 39 contro il 37% degli intervistati. Il titolo di studio non rappresenta certo un criterio esaustivo di una netta differenziazione sul piano sociale, tuttavia è generalmente associato a una differente posizione occupazionale, reddituale e, in termini prospettici, di possibili dinamiche di carriera. Si tratta di elementi che entrano a far parte dei valori sottostanti la “rete corta” dei rapporti familiari e dei più vicini spazi relazionali.

Fra le cause della diffusione delle mafie, altro elemento distintivo fra i due sottogruppi è il peso attribuito all’immigrazione, fortemente indicata dal primo gruppo e pressoché ininfluente per il secondo, che identifica invece prevalentemente le più generali – e complesse e contraddittorie – influenze della globalizzazione. Rispetto ai fenomeni che permettono al crimine di prosperare, pesi molto diversi sono attribuiti alle scarse opportunità di lavoro (prevalenti per il primo gruppo, quasi ininfluenti per il secondo) e alla corruzione della classe dirigente (di rilievo minimo per i ragazzi del primo set e nettamente ai massimi per quelli del secondo). Il primo gruppo stima che ci si rivolga ai mafiosi per lo più per ottenere facili guadagni, il secondo attribuisce un peso relativamente maggiore al bisogno di protezione.

I ragazzi del secondo gruppo, infine, mostrano una maggiore fiducia nello Stato, anche se ne riconoscono maggiormente la vulnerabilità, e identificano nella lotta agli interessi economici delle mafie un ruolo prevalente fra le misure di contrasto.

Le differenze territoriali

Il 74% degli studenti ritiene che la presenza mafiosa incida molto o abbastanza sull’economia della propria regione. “Su questo aspetto – sottolinea il professor Rocco Sciarrone, sociologo dell’Università di Torino - emerge però una forte varianza territoriale: questa percentuale registra infatti l’82% nelle regioni di insediamento storico delle mafie, scende al 69% nelle altre regioni del Sud e al 57% in quelle centro-settentrionali. Di conseguenza, la presenza della mafia è considerata un forte ostacolo per la costruzione del proprio futuro dal 36% dei rispondenti di Sicilia, Calabria e Campania, dal 32% da quelli delle altre regioni meridionali e dal 24% da quelli delle regioni del Centro-Nord. Insomma, questo tipo di criminalità è più preoccupante per gli studenti siciliani, calabresi e campani, anche se questi ultimi si mostrano meno pessimisti dei compagni delle altre regioni per quanto riguarda l’esito della lotta alla mafia.

Se nel complesso, infatti, il 42% del campione ritiene che il fenomeno non potrà essere definitivamente sconfitto, tale percentuale risulta nettamente più bassa nelle regioni di insediamento tradizionale, dove si attesta al 38% a fronte di oltre il 50% registrato nel Centro-Nord.

Questa differenza è significativa ed è certamente influenzata dai successi conseguiti sul fronte antimafia negli ultimi anni, in particolare in Sicilia. D’altra parte, i giovani meridionali risultano più e meglio informati sul fenomeno mafioso dei loro coetanei settentrionali, e probabilmente anche per questo sono meno propensi a ritenere la mafia invincibile”.


Il ruolo fondamentale della scuola

La scuola rappresenta il luogo per eccellenza in cui i ragazzi/e trattano di mafia e antimafia – spiega Stefania Pellegrini, docente di Sociologia dell’Università di Bologna. Questo fatto ci restituisce i successi di tanto impegno profuso nei progetti scolastici in materia di educazione alla legalità mediante i quali nozioni storiche e civiche della nostra storia di lotta antimafia sono ormai diventate patrimonio comune da consegnare alle nuove generazioni. Ma quel 70% di ragazzi/e che indica il contesto scolastico come quello privilegiato, fa emergere l’assenza del dialogo famigliare rispetto a queste tematiche. La scuola può avere un ruolo estremamente importante, ma il ragazzo deve poter coltivare ciò che la scuola ha seminato. E se ci soffermiamo sul dato che il 60% delle notizie provengono dalla TV, rischiamo che la narrazione sulla mafia e sull’antimafia sia di gran lunga veicolata dai programmi televisivi che in gran parte riducono lo spettatore ad un ruolo passivo”.

 di Davide Mancuso

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