Siamo un Paese che studia poco, peggio di noi solo il Messico

Cultura | 17 maggio 2020
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Siamo un paese che studia poco, che non investe abbastanza nella formazione e che garantisce un’adeguata retribuzione solo a chi consegue una qualifica post-laurea. Appena il 19,3% degli italiani ha un titolo di studio accademico (a fronte di una media del 36,9% dei paesi OECD), un dato che colloca il nostro

Paese al penultimo posto della classifica OECD.

Spendiamo complessivamente in istruzione (dalla scuola primaria all’università) solo il 3,6% del PIL, una somma al di sotto della media OECD, pari al 5%. E i giovani laureati (fascia di età 15-24 anni) guadagnano in media solo il 12,3% in più dei loro coetanei non laureati. A fornirci uno quadro sullo stato di salute del sistema formativo italiano e del suo rapporto con il mercato del lavoro è l’University Report dell’Osservatorio JobPricing, realizzato quest’anno in collaborazione con Spring Professional.

Dati, dunque, scoraggianti per l’Italia che, in tema di formazione accademica, si pone al penultimo posto della classifica OECD. Peggio di noi fa solo il Messico. E questo dato resta sconfortante anche se si considera solo la fascia dei giovani 25-34 anni, che sono il 27,7% contro il 44,5% della media OECD. I giovani italiani che abbandonano la scuola e il percorso formativo (14,5%) sono al di sopra della media drop-out dell’OECD (10,6%), ottenendo una delle peggiori performance nella UE. Non a caso, l’Italia è maglia nera per numero di NEET che, nel 2018, erano il 28,9%, a fronte di una media europea del 16,5%. Laurearsi conviene, ma non basta, se si aspira ad una retribuzione economica congrua: un laureato italiano ha in media un salario del 40% superiore ad un non laureato (la media nei diversi Paesi dell’OCSE è del 57%). La differenza arriva ad eguagliare il dato OCSE del 57% per chi ha un master di secondo livello. Per chi è in possesso di questo titolo, infatti, le retribuzioni aumentano fino al 118% tra i 25-34 anni e i 45-54 anni. Inoltre, il 48% di chi ha conseguito un master di II livello è dirigente o quadro, mentre solo il 6% dei diplomati di scuola superiore arriva a ricoprire tali cariche. Studiare, quindi, torna utile, soprattutto anche se si considera che il livello di disoccupazione fra coloro che non hanno titoli o arrivano al massimo alla licenza elementare è quasi quattro volte superiore a quello dei laureati (17,5% contro 4,6%). Fra i paesi OECD il nostro è il quarto con la disoccupazione giovanile più alta, con un tasso ben superiore al doppio della media, preceduto da Grecia, Turchia e Spagna.

In questo scenario, negli ultimi dieci anni, la laurea si è dimostrata lo strumento maggiormente vincente per contrastare la disoccupazione giovanile: la disoccupazione tra i laureati si è mantenuta uguale a quella del 2009 (11,9% nel 2019; 11,6% nel 2009), mentre in tutti gli altri casi è cresciuta sensibilmente (fino a 10 punti percentuali per chi non ha titolo di studio o al massimo la licenza media). Se la laurea garantisce maggiori possibilità di lavoro anche nei periodi con alti tassi di disoccupazione, è altrettanto vero che l’ingresso nel mondo del lavoro dei laureati è da collegare anche al fenomeno della “sovra-istruzione”.

Pur di ottenere un lavoro, il 42,1% dei giovani laureati rivaluta al ribasso le proprie aspettative e si trova a svolgere un lavoro per cui potrebbe essere sufficiente un livello di istruzione inferiore (secondo il Rapporto Annuale ISTAT 2019, fra i giovani lavoratori laureati fra i 25 e i 34 anni, 4 lavoratori su 10 circa risultano sovra-istruiti). Ad essere penalizzati in tal senso sono soprattutto i laureati nei settori politico, sociale ed umanistico, in numero fortemente eccedente la domanda. Le lauree che, al contrario, offrono stabilmente migliori prospettive occupazionali sono quelle in ingegneria (queste garantiscono anche salari più alti e maggiori crescite retributive), area scientifica e medicina, che prospettano una probabilità di trovare un impiego circa quattro volte di più rispetto alle lauree in psicologia, scienze giuridiche e lettere. L’University Report mostra anche che le università private offrono le migliori prospettive di carriera e di retribuzione: i laureati in atenei privati guadagnano in media 44.195 €, mentre chi è laureato in università statali 39.311 €.

Le università che prospettano le migliori possibilità di ricoprire ruoli apicali sono: l’ Università Commerciale Luigi Bocconi, con il 19% dei laureati che diventa dirigente e il 30% quadro; LUISS Libera università int. degli studi sociali Guido Carli, con il 14% dirigente e il 28% quadro; il Politecnico di Milano con il 12% dirigente e il 25% quadro. Infine, tra gli atenei con cui si ripagano più velocemente gli investimenti sostenuti durante il percorso di studi vi sono il Politecnico di Milano, l’Università Commerciale Luigi Bocconi, il Politecnico di Torino. In fondo alla classifica troviamo l’Università degli Studi di Napoli Parthenope, l’Università degli Studi di Messina e l’Università degli Studi di Cagliari.

 di Alida Federico

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