Salvo Riina ha parlato come un capo, in onda il padrino fatto e finito
La cosa non potrà che fargli piacere, ma bisogna proprio ammettere che Giuseppe Salvo Riina, familiarmente chiamato «Salvuccio», è il figlio perfetto di don Totò, il capo che non ha esitato a trasformarsi in stragista sanguinario nel tentativo di non perdere la sua battaglia con lo Stato. Intanto, Salvo, ha lo stesso faccione del padre, gli stessi occhi impenetrabili dov' è difficile scorgere il barlume di un qualche sentimento.
Parla restando immobile, come se il minimo guizzo di un muscolo potesse tradire ciò che veramente gli passa per la mente mentre parla e racconta la favola della «famiglia diversa» ma governata da un «vero uomo» e da una madre, «donna forte e nello stesso tempo innamorata del marito». E' sembrato, a conclusione della sua performance cercata, voluta e ottenuta, una sorta di immutabile prototipo del mafioso nato e cresciuto.
Ha cercato di apparire affabile, persino simpatico, senza riuscire - però - a cancellare del tutto l' assoluta anaffettività nei confronti di tutto ciò che non sia la sua famiglia e il padre in particolare.Il gelo negli occhi Questo gelo si è colto soprattutto quando l' intervistatore gli ha sottoposto le immagini delle stragi in cui morirono prima Giovanni Falcone, poi Paolo Borsellino. Lo sguardo fisso, senza il minimo cedimento emotivo, come se quelle carni straziate fossero di un altro mondo e lui stesso fosse un marziano sulla terra, ha risposto sulla morte di Giovanni Falcone: «Io ho rispetto per i morti».
E subito ha aggiunto: «Per tutti i morti». Non è banale, la sottolineatura. Come un mafioso che si rispetti, un mafioso col suo pedigree, ha inteso dire che tutti i morti sono uguali e rispetto, dunque, meritano anche i caduti della sua parte. I martiri della società civile, come i loro assassini. E' il discorso di un capo, o di chi vorrebbe diventarlo, espresso con la stessa indolenza ed arroganza offerta dal padre a chi gli faceva notare che in un certo attentato potevano morire bambini innocenti.«E allora?», rispondeva. «Ne muoiono tanti bambini a Sarajevo o in Afghanistan».
Attacco ai pentiti Altrettanto «bonariamente», Salvo, poi dichiara: «Rispetto lo Stato», e anche stavolta precisa che «posso non condividerlo, ma lo rispetto». Perché non lo condivide?Intanto perché «mi ha portato via il padre», rivendicandone così la presunta innocenza. E poi? Alla domanda risponde parlando di Giovanni Brusca (unico citato per nome e cognome) e dei pentiti, attaccati come persone «che non si sono fatte un giorno di carcere» in cambio delle loro delazioni.
Qui l' intervistatore, ha dimenticato di ricordargli che non esiste pentito mafioso mai finito in carcere e che Brusca è tuttora detenuto. Anche sull' argomento dei collaboratori, Riina jr, utilizza lo schema del padre, che ha sempre accusato lo Stato di aver fatto i processi «solo coi pentiti».Il confronto Perché Salvo Riina ha voluto scrivere un libro «celebrativo» della sua famiglia ed è andato a promuoverlo in tv?E' difficile avere certezze in proposito. In televisione è andato anche il figlio di Bernardo Provenzano e, dunque, potrebbe essere il desiderio di non essere da meno del figlio dell' altro capo «corleonese», anche se Angelo Provenzano, a differenza di Salvo, è riuscito a rimanere incensurato.
Chi conosce il giovane Riina, però, nutre il ragionevole sospetto che, in qualche modo, abbia voluto affermare il ruolo di figlio del capo e, quindi, prossimo padrino. Forse si sente maturo, dopo aver dismesso il «piumino» Colmar per indossare la giacca grigia di buona fattura.(La Stampa)
Ultimi articoli
- Il torturatore Almasri e la ragion di Stato
- La marcia del 1983, si rinnova la sfida alla mafia
- Bagheria, consiglio
aperto sulla “marcia” - La nuova Cortina
di ferro grande campo
di battaglia - La riforma agraria che mancò gli obiettivi / 2
- Mattarella, leggi
di svolta dall'incontro
con il Pci - Mattarella fermato
per le aperture al Pci - La legalità vero antidoto per la cultura mafiosa
- Natale, un po' di rabbia
e tanta speranza
nella cesta degli auguri - Lotte e sconfitte
nelle campagne siciliane
al tempo di Ovazza / 1