Regione e Ars alla paralisi, Sicilia allo sfacelo

Politica | 27 luglio 2017
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Triste, solitario y final”.  Il titolo del romanzo dello scrittore argentino Osvaldo Soriano ben sintetizza questa vigilia di campagna elettorale per l’elezione del presidente della Regione e dell’Assemblea Regionale. “Triste” per il rimpianto di un’occasione perduta, “solitario” per la distanza che separa la politica regionale dai problemi reali della gente, “final” perché in ogni caso niente sarà più come prima. Cupo è lo spettacolo di un’Assemblea regionale ferma da mesi, incapace perfino di approvare una leggina che “congelerebbe” l’iniziativa senza precedenti del procuratore generale della Corte dei Conti di presentare ricorso avverso la parifica del rendiconto della Regione.  Per diversi anni ho frequentato le relazioni annuali della Corte dei Conti ed ho avuto modo di scriverne: chi avesse la pazienza di rileggerle si accorgerebbe che i giudizi formulati in passato non sono sostanzialmente differenti da quelli di quest’anno. Ben diverso è invece l’approdo finale che - aldilà delle dichiarazioni impregnate di diplomatica cortesia-  ha aperto uno scontro tra istituzioni regionali e  procura della Corte dei Conti di cui non è ancora scontato l’esito e non sono pienamente comprensibili le ragioni.

  Attendo di capire come evolveranno gli eventi, ma di certo ci troviamo di fronte ad un  passaggio le cui conseguenze risulteranno decisive per il dopo elezioni. Se l’assessore Baccei ha realmente avviato il processo di risanamento del bilancio regionale, l’inquilino che si insedierà a palazzo d’Orleans all’indomani del 5 novembre prossimo venturo avrà spazi di manovra e possibilità di agire per la riforma della macchina regionale di gran lunga più ampi di chi ha governato questi anni di faticosa e contraddittoria transizione. E’ interesse della Sicilia che su questo si faccia chiarezza anche attraverso una puntuale due diligence sullo stato reale dei conti. 

“Solitario” è stato il lavoro di chi ha continuato tenacemente a studiare la realtà economica e sociale dell’isola, cercando di sottrarsi- come tra Scilla e Cariddi- alle sirene della vulgata crocettiana del “tutto va bene, madama la marchesa” e alle Cassandre del catastrofismo.  

La situazione siciliana è stata messa in luce in modo appropriato dalla Fondazione RES che nel suo Rapporto congiunturale 2017 ha confermato il consolidarsi di una lenta ripresa sostenuta soprattutto dalla domanda interna , che risulta però  inficiata dalle perduranti disparità nella distribuzione del reddito e della ricchezza e dal persistere di tassi assai alti di disoccupazione concentrati in particolare nelle fasce d’età più giovani. Negativo è soprattutto il fatto che si evidenzia una flessione dei contratti di lavoro  a tempo indeterminato  quasi doppia rispetto a quella nazionale a fronte del fatto che i nuovi assunti sono quasi tutti a termine e stagionali. 

Il presidente dell’ISTAT Giorgio Alleva, nell’audizione  presso la Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale  (26 luglio 2017) ha messo in rilievo che la Sicilia registra oggi il maggior indice di diseguaglianza : il rapporto tra il reddito totale percepito dal 20% più ricco della popolazione e quello del 20% più povero che nel 2015 è  pari in Italia al 5,8,  si impenna in Sicilia dove ”il quinto più ricco ha un reddito  superiore di 8,3 volte rispetto a quello più povero”. La stampa siciliana ha insistito su un altro dato della relazione di Alleva, a maggior impatto mediatico, che colloca oltre metà della popolazione  (55,4%) in famiglie percettrici di redditi inferiori al 60% del reddito mediano nazionale (cioè il punto centrale nella distribuzione dei redditi familiari) e perciò nell’area a rischio povertà. 

Penso invece che il dato   di maggior significato politico sia quello relativo alle diseguaglianze reddituali perché esso sottolinea come la crisi globale che ha colpito pesantemente anche l’isola abbia determinato una forte polarizzazione tra una piccola percentuale di popolazione che sta meglio di prima e la grande maggioranza che ha visto peggiorare la propria condizione materiale.  I più colpiti da questa situazione sono i giovani e le donne ed è verso di loro che devono in primo luogo rivolgersi  gli interventi indispensabili a determinare una netta inversione di tendenza.  

Si tratta di vere e proprie emergenze finora  quasi del tutto trascurate dalla politica regionale, mentre poco è stato inserito nel Decreto Mezzogiorno del 20 giugno che pure presenta qualche novità interessante come le misure “Resto al Sud” e gli interventi a favore dell’imprenditorialità giovanile nel Mezzogiorno. E’ ancora troppo poco, soprattutto manca la consapevolezza che mai come oggi il futuro del paese intero dipende da quanto avverrà nel Mezzogiorno. La Sicilia del Meridione è parte fondamentale, ne segue gli andamenti economici e sociali e vive le medesime tensioni politiche che attraversano le altre regioni dell’area. 

Per questo dobbiamo combattere l’illusione che l’isola possa far da sé:   uno dei principali leader della stagione fondativa dell’Autonomia speciale, Giuseppe La Loggia, litigò con il gruppo dirigente della Svimez e con Pasquale Saraceno che ne era l’anima culturale e politica perché nelle  elaborazioni dell’Associazione  di via Pinciana non veniva posto nella dovuta evidenza che la Sicilia, essendo l’ultima delle regioni italiane, aveva diritto a maggiori risorse dallo Stato rispetto alle consorelle meridionali. Una visione riparazionista della Regione e del rapporto con lo Stato dalla quale una parte della classe dirigente siciliana non  ha mai saputo liberarsi. Si parvula licet componere magnis, basti pensare alle feroci polemiche del presidente della Regione Rosario Crocetta contro il governo nazionale per la drammatica vicenda degli incendi. Rimettere in valore e rinnovare l'Autonomia significa invece, innanzitutto, confrontarsi con la cultura della responsabilità e con la necessità di affrontare il tema del consenso sociale delle riforme che ha rappresentato il vero fallimento dell’esperienza di Rosario Crocetta: poche riforme, confuse, in gran parte rimaste irrealizzate, con un dissenso crescente anche da parte di chi all’inizio aveva guardato con simpatia all’esperienza. Una cosa potrebbe consentire di riparare nell’immediato, almeno in parte, al malfatto:  ripescare dai cassetti il disegno di legge d’iniziativa popolare per il sostegno alla povertà assoluta dando una risposta a quei siciliani poveri di cui ancora una volta  Giorgio Alleva ci ha ricordato l’esistenza ed approvarlo prima della fine della legislatura. Sarebbe anche l’occasione per l’Assemblea e la Giunta regionale di scusarsi con i siciliani per tutto ciò che non sono riusciti a realizzare. E renderebbe forse meno penoso il “final”: la non rimpianta uscita di scena di un ceto politico che ha concluso il suo tempo e  sarà ricordato per aver sprecato l’occasione di cambiare la Sicilia.  

 di Franco Garufi

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