Rapporto sulla qualità dello sviluppo: l’Italia cresce poco e male

Economia | 13 febbraio 2017
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L’Italia, nonostante la crescita economica registrata dal Pil e il modesto miglioramento dei livelli occupazionali, continua a mostrare i segni di un progressivo deterioramento della qualità dello sviluppo, accompagnato da profonde differenze territoriali e sociali. L’indice generale, in un anno, scende da 100 a 99, con un peggioramento, in particolare, nel nord e nel centro e con il mezzogiorno che continua a essere in grave ritardo rispetto al resto del Paese.

Aumentano le disuguaglianze economiche e la concentrazione della ricchezza. Su questi assunti si basa il “Rapporto sulla qualità dello sviluppo in Italia” realizzato da Tecnè e dalla Fondazione Di Vittorio con l’obiettivo di misurare lo stato di salute del Paese da uno specifico punto di vista: quello delle disuguaglianze territoriali. L’Italia dunque cresce economicamente poco e la ricchezza tende sempre più a concentrarsi in fasce di popolazione ad alto reddito, col risultato che il ceto medio è più fragile, aumentano i poveri e i quasi-poveri, il lavoro è percepito più instabile e nel complesso è più difficile migliorare le proprie condizioni economiche, sociali e professionali. Solo il 31% degli italiani pensa che la situazione economica del Paese migliorerà nei prossimi 12 mesi. Era il 44% nel 2015.

A livello individuale, solo l'11% si attende un miglioramento della propria condizione. Nel 2015 era il 13%. Se il discorso cade sul lavoro, non va meglio: solo il 24% pensa che l'occupazione crescerà (era il 31% nel 2015). Tutto ciò si riflette in un sentimento di diffuso pessimismo sul futuro del Paese e in una crescente sfiducia economica. Ma la mancanza di fiducia non influenza soltanto il comportamento economico degli individui. Incide anche sulla loro visione del mondo e sul rapporto col prossimo. "Solo il 12% - rileva lo studio - ha fiducia negli altri senza un volto e un'identità, nelle persone che non si 'conoscono'. Va ancora peggio se gli altri sono i 'diversi': immigrati o persone dall'aspetto trascurato e trasandato.

 In questo caso la fiducia scende all'8%. Va decisamente meglio, invece, se è il vicino di casa quello a cui doversi affidare in caso di necessità. In questo caso le persone che si fidano salgono al 70% (69% nel 2015). Ma al primo posto, tra le persone delle quali si può avere fiducia, ci sono gli appartenenti alle forze dell'ordine (82%, rispetto all'81% del 2015). Nel complesso, quindi, ci si fida di più delle persone vicine (non solo fisicamente, ma anche socialmente) e dell'autorità (appunto, le forze dell'ordine). Mentre la fiducia incondizionata, rispetto alla condizione e al ruolo, resta bassissima”. “Rispetto al 2015 - ha sottolineato Susanna Camusso, segretario Generale della Cgil, commentando il rapporto - nel 2016 calano drasticamente le previsioni sulla crescita economica dell’Italia, quelle sulla propria situazione personale e sulle prospettive di crescita dell’occupazione.

Come pure diminuisce notevolmente il concetto di partecipazione sociale”. In una sorta di adattamento funzionale, cresce leggermente la soddisfazione personale verso la dimensione domestica. Peggiorano gli standard abitativi, ma aumentano i beni posseduti dalle famiglie (dalla consolle di videogiochi, alla parabola, a internet). Si frequentano meno gli amici e si passa meno tempo fuori casa, ma si è più soddisfatti del tempo libero. La dinamica segnala un ripiegamento nel privato e un indebolimento della propensione sociale partecipativa. Si parla infatti più di politica, ma si ascoltano meno i dibattiti, cala la partecipazione agli eventi collettivi, ma cresce l’interesse individuale nei confronti di ciò che accade nel Paese.

La politica diventa sempre più un’attività da “poltrona”, assumendo nuove forme di partecipazione immateriale. Aumentano le forme di solidarietà non partecipativa: crescono quanti sono disponibili a dare un aiuto economico, ma diminuiscono quanti sono disponibili a dare un aiuto pratico e diretto. La rarefazione della dimensione collettiva si sposa con la crescita della sfiducia economica e del risentimento nei confronti della politica, mentre prende forma una conflittualità sociale a bassa intensità e ad alta frequenza, che diventa più forte nelle area sociali più vulnerabili.

Cresce la fiducia interpersonale, soprattutto nei confronti di coloro che vivono la medesima condizione socio-economica (per esempio il vicino di casa) e verso le forze dell’ordine, mentre diminuisce nei confronti del “diverso”, che può essere l’immigrato, ma anche chi soffre di forme estreme di disagio sociale ed economico. Nel complesso le 3 regioni migliori dal punto di vista della qualità dello sviluppo sono il Trentino Alto Adige (136), il Friuli Venezia Giulia (113) e il Veneto (112). Quelle che hanno registrato le migliori perfomance rispetto al 2015 sono la Liguria, le Marche (entrambe sopra la media Italia) e il Molise (sotto la media). Fanalino di coda, nell’ordine, Campania, Sicilia e Calabria. "È sempre più evidente - aggiunge Susanna Camusso - la necessità di cambiare rotta rispetto alle politiche economiche e sociali.

 La svalorizzazione del lavoro e dei suoi diritti, la mancanza di lavoro e la sua precarizzazione, la continua crescita di diseguaglianze, oltre che un enorme problema per le persone, rappresenta un freno allo sviluppo del paese. Dare risposte partendo dai più deboli non solo è giusto, ma è il meccanismo necessario per dare sicurezza a tutti, per dare fiducia evitando dumping e diseguaglianze”. E’ così che il segretario della Cgil ha ricordato l'iniziativa nelle piazze d'Italia in occasione della prima giornata nazionale della campagna referendaria del sindacato per abrogare le norme sui voucher e quelle sugli appalti: "Libera il lavoro Con 2 Sì. Tutta un'altra Italia". Sono previste iniziative in 118 piazze per sollecitare il governo a definire al più presto la data dei referendum e il Parlamento a discutere la legge di iniziativa popolare sulla Carta dei diritti universali del lavoro.

 di Melania Federico

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