Quel rapporto Onu che rivelò le torture del regime di Asmara
Era
il 26 giugno del 2015. A Ginevra la Commissione di inchiesta delle
Nazioni Unite presentava le sue conclusioni sui diritti negati in
Eritrea all’United Nations Human rights.
Un
rapporto terribile che spiegava il perché dall’Eritrea arrivava in
Europa un continuo flusso di giovani in cerca di asilo.
Nelle
484 pagine del “Report of the commission of inquiry on human rights
in Eritrea” testimonianze, disegni delle torture subite da chi
viene riportato indietro e analisi di esperti gli esperti della
Commissione d’inchiesta sui diritti umani in Eritrea avevano
tracciato il quadro che delineò in modo indiscutibile i crimini
contro l’umanita perpetrati dal governo di Asmara. Esecuzioni
extragiudiziarie, schiavitù sessuale, lavoro forzato nei confronti
della popolazione eritrea.
Crimini
che continuano costringendo una mini e donne, soprattutto obiettori
di coscienza, a lasciare il Paese.
Il
Coordinamento Eritrea Democratica ancora oggi denuncia che «il
governo di Asmara è responsabile di clamorose e diffuse violazioni
dei diritti umani, che hanno creato un clima di paura in cui il
dissenso è represso, un’ampia porzione della popolazione è
soggetta a reclusioni e lavoro forzato e lo stato controlla le
persone con un ampio apparato che è penetrato in tutti i livelli
della società».
Un
rapporto sell’Unhcr, ancora più recente, ha confermato che le
informazioni raccolte attraverso il sistema di controllo pervasivo
statale sono usate in modo assolutamente arbitrario per tenere il
popolo eritreo in “uno stato di ansia perenne“.
E
l’Italia, di questa situazione, ha sempre avuto piena contezza,
oltre a essere consapevole di una grande responsabilità avendo
colonizzato quel Paese per poi lasciarlo nelle mani dell’Etiopia,
prima, e di una guerra di liberazione che invece ha generato una
delle dittature più tiranniche del pianeta.
Ad
amolificare la denuncia delle condizioni degli eritrei vessati dal
regime di Asmara, gli esuli nel nostro Paese che da tempo chiedono
che “L’Italia stia al fianco di chi lotta per la liberazione
dalla dittatura, in Eritrea come in ogni altra parte del mondo”.
Il
Coordinamento Eritrea Democratica, ha prodotto un manifesto che
candida i gruppi della diaspora come alternativa alla dittatura di
Isaias Afewerki “per la costruzione di un’Eritrea libera,
democratica, rispettosa dei diritti di tutti, aperta al mondo” come
si legge nel testo.
Un
interlocutore valido, “un soggetto politico a tutti gli effetti,
per le scelte e i progetti che riguardano l’Eritrea” come si
definiscono loro stessi, a cui sarebbe giusto dare una possibilità
concreta per tentare di avviare una rivoluzione pacifica in grado di
avviare un processo democratico nel Parse.
Questa
potrebbe essere l’unica vera possibilità di fermare l’esodo
dall’Eritrea, che con i 368 morti e i 20 dispersi della strage di
Lampedusa, quella del 3 ottobre, ha rappresentato una delle più
gravi catastrofi marittime nel Mediterraneo dall’inizio del XXI
secolo. Oltre che una macchia indelebile per chi aveva partorito
leggi anti-accoglienza come la Bossi-Fini, la Turco-Napolitano e il
decreto Maroni.
E
oggi quella vergogna si ripete. Con un’apoteosi di populismo
assassino che non si può ignorare, ma contrastare con
determinazione. Per via giudiziaria e non. Per restare umani.
(articolo21.org)
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