“Quartet”, commedia godibile ma con retrogusto agrodolce o quasi amaro

Cultura | 19 ottobre 2018
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  “Quartet” al Teatro Quirino di Roma

di Ronald Harwood

scene Fabiana Di Marco
costumi Teresa Acone

disegno luci Mirko Oteri 

regia Patrick Rossi Gastaldi

Con Giuseppe Pambieri, Cochi Ponzoni,  Paola Quattrini, Erica Blanc

Teatro Quirino di Roma dal 7 al 28 ottobre (poi in tournée)

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Debutto applaudito di “Quartet”  

una commedia di  Ronald Harwood

scene Fabiana Di Marco
costumi Teresa Acone

disegno luci Mirko Oteri 

regia Patrick Rossi Gastaldi  

 Con Giuseppe Pambieri, Cochi Ponzoni,  Paola Quattrini, Erica Blanc

Teatro Quirino di Roma dal 7 al 28 ottobre (poi in tournée)

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E se ci cacciassero via?”  “E se uno di noi perde la sua autosufficienza  fisica?” “Il sussidio sociale, che vergogna il sussidio sociale”. ….Sotto la patina del ‘brillante per non piangere’, del conversare sul bel tempo andato e delle mirabili effusioni nell’arte del melodramma, serpeggia e avvelena le giornate il dubbio (diffuso a qualsiasi età) del ‘che ne sarà di noi’?, in quale ‘cimitero di elefanti’ ci parcheggeranno al fine? Tanto da rendere lungimirante un lontano titolo del Maurizio Costanzo commediografo ”Vecchi…vuoti a rendere”

 Non per nulla, sul  vellutato dialogare appena offuscato da rimpianti, pentimenti, solitudini blandite da “dettagli” di amicizia solo apparente, “Quartet” di Ronald Harwood (che dà il via alla nuova, variegata stagione del Quirino di Roma) è una commedia “godibile” ma con retrogusto agrodolce, palesemente ascrivibile a ciò che in gergo si definisce “teatro di repertorio” (ottimo per un pubblico eterogeneo e di non ardua ‘distribuzione’ dalle grandi città alla provincia), recitata con esperta dovizia ed inquadrata in un elegante giardino d’inverno che è grazioso salottino d’una Casa di Riposo per artisti della terza età, alle prese con un revival verdiano (“Bella figlia dell’amor…” dal “Rigoletto”) da riproporre all’uditorio (familiare, occasionale, dei maggiorenti?) per l’annuale festicciola di sottoscrizione e (pratico) sostegno al tener su la “decorosa baracca”.

Chi ha già conosce il delizioso lungometraggio del  2012, diretto con mano felpata da Dustin Hoffman (volutamente assente quale attore) e catalizzato da un florilegio di grandi attori (senza nulla togliere al cast italiano) comprendente Maggie Smith, Tom Courtenay, Billy Connoly, Pauline Collins, attorniati da veri musicisti in pensione, saprà- grosso modo- come andranno le cose. Ovvero nel modo migliore e rassicurante, almeno per un pò, l’inquieto “soggiornare” della longevità ipocrita e forzosa

Senza pigiare il pedale sul tema della “nostalgia canaglia”, anzi decongestionando ogni circostanza con misurato dosaggio di umorismo e acre buonumore, la regia di  Rossi Gastaldi incentra psiche,  azione, dinamica scenica  sui quattro protagonisti, affinchè ciascuno sia latore del proprio pimpante malessere: il “bel” Rudy intento a leggere fra le note su Wagner, la frivol-melanconica Cecy sdraiata ad ascoltare musica su un registratore a cuffia e Titta ad rinnovellare sulla procacità e sul passato ‘sbarazzino, chiacchierato’  della bella collega. Piccolo inconveniente: i tre stanno per essere raggiunti dalla Diva Giulia, sussiegosa  star del tempo andato con la quale Rudy  fu infelicemente maritato.

Con qualche tira e molla serpeggia, per un buon quarto d’ora, l’incognita (inoffensiva, dall’esito scontato)     del  “potranno mai tornare a cantare di nuovo insieme?” Potranno..potrannno. Pur se avremmo preferito che la regia escogitasse qualcosa di meglio (non so…un gioco d’ombre, un’espressione fissa ed straniata…) dell’improbabile play back di ‘voci altrui’, adagiato all’imbarazzato labiale dei comunque simpatici, smaglianti, alto-professionisti Pambieri, Quattrini, Ponzoni, Blanc. Mai sopra o sotto le righe nel limbo anagrafico di questo  fluido,  cesellato, applaudito preludio (dei cartelloni romani) cui si danno convegno attori, registi,  addetti ai lavori di quel che resta di un  generazionale ‘milieu’ tipico-capitolino. Spigliato, ma per due terzi attempato.

 di Angelo Pizzuto

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