Quanto costa all'Europa il braccio di ferro tra Barcellona e Madrid
La Generalitat catalana, il governo autonomo di Barcellona ha comunicato che intende far svolgere in ogni caso il referendum del 1° ottobre. Madrid ha risposto inviando oltre quattromila uomini e donne della Guardia Civil e tentando di sottoporre al comando centralizzato i Mossos d'esquadra, la polizia regionale catalana. La Catalogna con i suoi 7.500.000 abitanti, la seconda metropoli della penisola iberica, una lingua sempre più usata al posto del castigliano, un reddito pro capite nominale pari nel 2012 di 26.500 euro, realizza il 20% del PIL spagnolo e il 25% della produzione industriale (automobili, elettronica, ingegneria chimica, tessile, agro-alimentare). Inoltre fa parte del gruppo dei “quattro motori d'Europa” insieme alla Lombardia, alla francese Rhone-Alpes, al land tedesco del Bad Wuttemberg. La sua vicenda, perciò, non è solo una questione interna spagnola ma si proietta direttamente sul futuro stesso dell'Unione Europea. Sono stati rimessi in libertà, dopo un giorno di detenzione, sette dei 14 dirigenti dell'amministrazione catalana arrestati ieri nel blitz della Guardia Civil, ma restano in carcere tra gli altri il vicepresidente indipendentista della Generalitat Junqueras e il segretario generale dell'economia Jovè.
Nel frattempo il governo catalano ha attivato il sito web dove i potenziali elettori del referendum sull'indipendenza del primo ottobre potranno vedere la collocazione dei seggi elettorali. Tutto fa pensare che lo scontro sia destinato ad acuirsi, con sbocchi non immaginabili. L'Unione Europea, che è aggregazione di stati nazionali, non poteva assumere altra posizione che quella espressa: rispetto dell'ordine costituzionale della Spagna come di tutti gli stati membri. Dall'affermazione della portavoce della Commissione traspare tuttavia l'impotenza delle istituzioni comunitarie che “non hanno la competenza per esercitare un “possibile ruolo di mediazione tra Madrid e Barcellona”. Personalmente non credo che la trasformazione delle regioni in piccoli stati indipendenti sia la via d'uscita alla crisi dello stato nazionale: vale per la Catalogna come per la Scozia, ma anche per il leghismo lombardo-veneto che non a caso si è progressivamente trasformato in un movimento sovranista di dimensione nazionale come sanzionato anche dall'estromissione di Umberto Bossi dall'ultimo raduno di Pontida. Non credo neanche che la maggioranza dei catalani o dei nostri connazionali pensi che la soluzione dei loro problemi stia nel consentire alle regioni più ricche di liberarsi del “peso” delle aree meno sviluppate, come – nel caso spagnolo- l'Andalusia o- nel nostro- il Mezzogiorno.
A mio avviso l'Europa è ferma in mezzo al guado e rischia di affogare: la crisi dello stato nazionale che era stato il vero vincitore delle due guerre mondiali (Tony Judt in “Dopoguerra” ha ricordato l'enorme espulsione di popolazioni allogene ed alloglotte dai territori degli stati dell'Europa orientale e centrale dopo il '45; ma per l'Italia si pensi alla vicenda delle popolazioni dalmate ed istriane di lingua italiana) ha purtroppo coinciso con il momento di maggior debolezza delle istituzioni comunitarie strette tra la bocciatura del progetto di Costituzione europea, la crisi economica mondiale e le politiche di rigore che hanno interrotto -e trasformato in ostilità- il circuito di fiducia che si era creato tra l' Europa politica e i popoli dei 27 paesi membri. I “ragionieri di Bruxelles” sono diventati agli occhi di chi vedeva peggiorare le proprie condizioni di vita e crescere l'incertezza del futuro, i veri nemici. C'è questo, oltre alle ragioni del confronto storico con Madrid, dietro la decisione della gente di Barcellona di scendere in piazza. Il governo Rajoy sta reagendo con l'arroganza dei deboli, con la polizia nazionale (scelta che potrebbe provocare incidenti irrimediabili con i Mossos de esquadra) invece che con la politica e il dialogo. La situazione può facilmente degenerare, in un paese dove si è votato due volte nel giro di un anno e il cui governo di centrodestra ha una maggioranza tutt'altro che salda.
Con buona pace dei neo-autonomisti siciliani che inneggiano al presidente Carles Puigdemont , il leader di Convergenza e Unione che presiede la Catalogna, la Sicilia non avrebbe alcun vantaggio a seguire l'esempio catalano. La sinistra non può continuare a tacere. I socialisti spagnoli ed europei, ma anche le altre formazioni progressiste, devono far sentire la propria voce: non si può desistere dall'affrontare una vicenda tanto grave e complessa, lasciandola alle contrapposte ma non convincenti ragioni della destra e degli indipendentisti.
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