Pio La Torre, un comunista alla guida della Cgil in Sicilia

Cultura | 17 ottobre 2018
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La presentazione di un bel libro su Pio La Torre sindacalista, il 18 ottobre 2018, presso la Camera del Lavoro Metropolitana Palermo, scritto da Pierluigi Basile e Dino Paternostro, è l’occasione per ritornare non solo sulla nota figura di Pio La Torre comunista, sindacalista della Cgil, ma sulla costruzione della democrazia repubblicana in Sicilia e in Italia. Intanto dalla puntigliosa ricostruzione degli incarichi svolti da Pio si evince come un uomo della sinistra di allora (comunista, socialista, ma anche democristiana, laica) si impegnava a dirigere un sindacato di categoria o una Camera del lavoro, come un modo espressivo del suo impegno politico culturale. Le due figure, politica e sindacale, che si evince dagli scritti e dalle azioni di massa di Pio, non erano scindibili. Tra Cgil e partiti della classe dei lavoratori c’era una comunanza e un’identità politico-culturale che si manifestava sia nel lavoro sindacale che in quello politico.

Sbagliando si parlava di cinghia di trasmissione tra partito e Cgil, come un qualcosa di gerarchico, il “Partito”, l’intellettuale collettivo di Gramsciana memoria, vocato alla trasformazione di rapporti di produzione e sociali per il socialismo e il sindacato vocato a organizzare le istanze primarie della classe lavoratrice. Ciò non fu mai proprio così. La sinergia tra sindacato e partito nel dopoguerra, dopo la svolta di Salerno impressa da Togliatti, mirava soprattutto, dopo la sconfitta del nazifascismo e il referendum Costituzionale, all’attuazione della Carta Costituzionale che sancì che l’Italia era una Repubblica fondata sul lavoro, sul riconoscimento del principio dell’uguaglianza tra tutti i cittadini, sulla finalità sociale del profitto, sul riconoscimento dei partiti politici e delle organizzazioni sindacali e intermedie quali fondamenti della democrazia rappresentativa.

L’accesso agli archivi di polizia e di prefettura consente, soprattutto nella parte del libro scritta da Pierluigi Basile, di conoscere il punto di vista dei corpi dello Stato (polizia, apparati amministrativi, magistratura) in quella fase storica dopo la rottura dell’unità antifascista. La sinistra era considerata, da quei corpi ancora permeati dalla cultura fascista, un pericolo eccessivo per il nuovo Stato Repubblicano; Pio e i suoi compagni di lotta che chiedevano la riforma agraria, o il riconoscimento dei diritti del lavoro, o si battevano per la pace, erano agenti a servizio della Unione Sovietica che preparavano la rivoluzione armata e non costruttori di democrazia.

In questo scenario si comprende bene, leggendo i rapporti di polizia, carabinieri, prefetti, ma anche le sentenze o le omelie del cardinale Ruffini, perché la mafia potè affermarsi e consolidare il suo potere dai feudi agli appalti, dal Sacco edilizio alle lotte operaie a quelle per la casa, al diritto alla salute, al lavoro. Fu considerata utile alla causa anticomunista, pertanto le si poteva perdonare qualche “peccatuccio” di violenza.

È attuale la lezione di vita di Pio La Torre e della sua generazione? Sì, perché può servire come metodo per leggere le contraddizioni del presente. Pio andava a cercare i braccianti e i contadini poveri, i senzatetto, gli operai sfruttati da un capitalismo senza regole e li organizzava nel sindacato, nel partito, per rovesciare e migliorare le loro condizioni di vita, ponendo l’obiettivo finale di una società costruita attraverso il consenso democratico, “la via italiana al socialismo”. Con quelle lotte Pio e la sua generazione scoprono la mafia quale braccio armato di una parte della classe dirigente e la combattono in nome della civiltà e del cambiamento.

Oggi chi sono i nuovi poveri, i nuovi senza diritti, i nuovi sfruttati dal capitalismo cognitivo e globalizzato, selvaggio e senza regole? Chi parla loro, come li organizza, per quale cambiamento? In queste domande c’è la risposta sui compiti nuovi del sindacato, oggi, non più sospettato di essere cinghia di trasmissione, e per questo attaccato da destra e da una “certa sinistra”, ma sempre stumento indispensabile di partecipazione democratica dei lavoratori del XXI secolo e di difesa dei principi di giustizia sociale e uguaglianza.

Senza la presenza di un forte movimento sindacale unitario, per il quale bisogna lavorare sempre, e di una pluralità di organizzazioni intermedie, i rischi di arretramento della democrazia rappresentativa sono attuali. Lo dimostrano la crescita dei nuovi sostenitori del sovranismo, del populismo, della democrazia illiberale di casa nostra, dell’Europa e del mondo.

 di Vito Lo Monaco

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