Perchè i soldi per lo sviluppo dei Paesi poveri restano in Italia

Politica | 22 gennaio 2018
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Aumentano le risorse destinate dall’Italia ai paesi non sufficientemente sviluppati, come da accordi internazionali. Già nel 2016 lo 0,27% del reddito nazionale lordo è stato indirizzato all’aiuto pubblico allo sviluppo (Aps), una percentuale prossima all’obiettivo dello 0,30% da raggiungere entro il 2020. A ben vedere, però, oltre un terzo delle somme da trasferire ai paesi in difficoltà restano nel nostro Paese per gestire l’accoglienza dei rifugiati. Il 36,8% dei fondi per le politiche di cooperazione allo sviluppo viene, di fatto, sottratto a tale impiego e usato per provvedere all’arrivo di rifugiati e richiedenti asilo nel nostro Paese. Somme, queste, che si aggiungono a quelle fornite nel Documento di Economia e Finanza (Def) del 2017 per la gestione del più generale fenomeno migratorio, comprendente richiedenti asilo, rifugiati e migranti economici. A guardare a fondo nel settore della cooperazione allo sviluppo e ad incrociare i conti del Ministero degli Affari Esteri con quelli del Ministero di Economia e Finanza è l’associazione Openpolis nel suo ultimo report realizzato con Oxfam. Proprio dall’analisi dei due ambiti, si arriva a stimare che nel 2016 per la cooperazione pubblica e per la gestione dei migranti sono stati destinati 6 miliardi e 600 milioni di euro, quasi il doppio di quelli stimabili per il 2011 (+72% in 5 anni).

I fondi della cooperazione che non finanziano progetti nel settore, ma che vengono dirottati sulla gestione dei rifugiati, costituiscono un “aiuto gonfiato”, allontanando in questo modo il nostro Paese, malgrado l’aumento delle risorse nel settore, dal raggiungimento degli obiettivi prefissati a livello internazionale. Nel 2016, infatti, l’Italia ha messo a disposizione quasi 4 miliardi e 476 milioni di euro per finanziare progetti di cooperazione allo sviluppo. E, sempre nello stesso anno, l’impegno per la voce rifugiati è cresciuto del 63,4%, passando dai 960 milioni di euro del 2015 a 1 miliardo e 570 milioni del 2016. Nel 2015 rappresentava il 24,3% dell’Aps totale, mentre nel 2016 ne costituiva il 35%. Come fanno notare gli autori del report, se si sottrae la spesa per i rifugiati al totale, si evidenzia una diminuzione del 3,7% dell’Aps, a svantaggio dei paesi più poveri.

L’Italia non è il solo Paese ad inviare ai “Least developped countries” (Ldcs), ossia i Paesi meno sviluppati, fondi inferiori rispetto a quelli assegnati alla cooperazione pubblica. Infatti, malgrado

l’impegno internazionale di aumentare nel tempo la quota di Aps destinata ai paesi Ldcs, negli ultimi anni si registra la diminuzione di questi fondi. In particolare i paesi Ue del comitato Dac (acronimo di “donor assistance committee”, il comitato di 30 paesi donatori che opera all’interno dell’OCSE, l’organismo internazionale che coordina le politiche di cooperazione pubblica) hanno ridotto le risorse erogate per i paesi Ldcs da 9,7 miliardi di euro del 2011 a 8,5 miliardi nel 2016. Negli stessi anni i fondi dei paesi Ue non allocati geograficamente – voce di bilancio composta in gran parte dai costi per l’accoglienza dei rifugiati nel paese donatore – passano da 9,2 miliardi di euro del 2011 a 20,8 miliardi di euro nel 2016 (si tratta di dati OCSE alla fonte in dollari e convertiti in euro con tassi di cambio annuale OCSE, e si riferiscono ai pagamenti a prezzi correnti). Un andamento simile a quello registrato per le risorse italiane: dal 2011 al 2016 i fondi per i paesi Ldcs diminuiscono del 71%.

È evidente che la crescita esponenziale dei soldi che rimangono nei paesi donatori allontana dall’obiettivo ufficiale di aumentare le risorse che raggiungono i paesi meno sviluppati: nel 2016 sul totale dei fondi messi a disposizione dai paesi del Dac solo il 17% ha raggiunto i cosiddetti paesi Ldcs. Per commisurarne l’entità in rapporto alla ricchezza nazionale basti pensare che l’Italia nel 2016 ha destinato ai paesi Ldcs con il canale bilaterale lo 0,03% del proprio reddito nazionale lordo.

Chiediamo al Governo italiano – ha detto Francesco Petrelli, consigliere politico di Oxfam Italia - un graduale azzeramento delle risorse etichettabili come 'aiuto gonfiato', cioè costituito da risorse che non finanziano progetti di Cooperazione in senso stretto, oppure che non sono realmente addizionali. Questo tipo di aiuto mina i criteri di efficacia degli interventi e limita i possibili successi nella lotta alla povertà.  È necessario che l’Aps italiano - ha continuato Petrelli - non solo cresca quantitativamente, confermando nella nuova legislatura il rispetto degli impegni a breve e lungo termine, con l'obiettivo di raggiungere lo 0,7% del rapporto (Aps/Rnl: Aiuto Pubblico allo Sviluppo-Reddito Nazionale Lordo) entro il 2030; ma sia progressivamente composto solo di aiuto autentico. Già nel corso del 2018 - ha concluso il rappresentante di Oxfam Italia - raccomandiamo il riferimento alle nuove regole stabilite dal comitato sviluppo dell’OCSE e chiediamo una maggiore trasparenza nella rendicontazione degli aiuti, soprattutto dopo che la recente adesione dell'Italia all’Indice internazionale di trasparenza degli aiuti (IATI)”.

 di Alida Federico

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