Paesi fantasma, svuotati dall'emigrazione, salvati dai migranti

Società | 18 ottobre 2018
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Spesso Samira mi accompagna a fare la spesa, quando cucino preparo sempre qualcosa per i suoi bambini. Sono buoni vicini, gente per bene, ormai di famiglia”. Testimonianze comuni a Sutera, paese nisseno simbolo dell'integrazione diffusa, così come tanti altri piccoli borghi siciliani che hanno conosciuto una seconda vita grazie all'inserimento di comunità migranti che hanno preso il posto di chi negli anni Sessanta è scappato all'estero in cerca di fortuna. Come loro. C'è sempre un Sud più a Sud del Sud. I siciliani sono andati all'estero lasciando vuote le case e interi quartieri di tantissimi piccoli comuni, ora rivitalizzati e ripopolati da intere famiglie fuggite dall'Africa ma anche dall'Est in cerca di una vita migliore.

Un riequilibrio frutto della capacità di accoglienza e umanità che i siciliani storicamente hanno dimostrato e dimostrano. “ Mai avuto segmali di intolleranza o razzismo in paese”, sottolinea con orgoglio Gianfilippo Bancheri, sindaco di Delia, comune di 4 mila anime al confine tra Caltanissetta e Agrigento, ripopolato da interi nuclei familiari arrivati dalla Romania ma anche dai paesi del Maghreb, marocco in particolare. “Sono più di mille i romeni, di cui la metà stagionali, e un centinaio i magrebini su 4.300 abitanti – spiega ancora Bancheri - . Mai avuto problemi, tutti perfettamente integrati”. I bambini vanno a scuola, ancora non hanno rappresentanti in comune. “Ma alle prossime elezioni eleggeranno almeno uno di loro in Consiglio comunale – continua - . Molti sono impegnati nel sociale e la politica è lo sbocco naturale”. Nella vicina Canicattì sono oltre cinquemila i romeni, vivono quasi tutti nel quartiere storico Borgalino e hanno un tempio tutto per loro dove si celebra messa in romeno. Ma anche matrimoni o battesimi. “Li coinvolgiamo nella Festa dei popoli che celebriamo ogni anno in estate, ma naturalmente partecipano a tutte le altre manifestazioni pubbliche – continua Bancheri -. La scuola materna è popolata per un terzo da bambini romeni che ormai sono “deliani”, lo stesso per le elementari”.

Da Sutera a Mazzarino o Erice, sino a Marsala, Vittoria, Licata, Gela o piccole enclave come Giampilieri a Messina, sono tantissime le piccole Riace di Sicilia, esempi di integrazione realizzata negli anni grazie alla volontà e all'umanità di tutti.

Tutto cominciò quando abbiamo dato il nostro contributo alla necessità di ospitare le salme della tragedia di Lampedusa nel 2013, ma volevamo accogliere anche i vivi – racconta il sindaco di Sutera, Giuseppe Grizzanti - . Grazie all'associazione I Girasoli abbiamo realizzato un sistema di integrazione diffuso, li abbiamo accolti nelle case lasciate vuote dai nostri emigranti”. Un progetto limitato a gruppi familiari con bambini, inizialmente, poi il comune ha raddoppiato e nel frattempo si è aggregata la vicina Milena. “Sono tutte famiglie che vivono accanto ad altre famiglie di Sutera come buoni vicini – spiega Grizzanti -. Molti hanno fatto corsi di apprendistato nelle piccole imprese artigiane, i bambini vanno tutti a scuola. Facciamo anche corsi di italiano per adulti”. Nel tempo alcuni sono andati via e altri sono arrivati. “La cosa bella è l'accoglienza delle famiglie di Sutera che ormai li considerano loro vicini, anche parenti ina alcuni casi”. Sono nate amicizie e si sono consolidate. Grazie a iniziative come “adotta una famiglia” e progetti del genere si è scatenata la solidarietà e anche partecipazione a lieti eventi come nuove nascite. I nuovi nuclei familiari fanno la pesa nei negozi del paese, partecipano a tutte le iniziative e le feste, compreso il Presepe vivente a Natale, o interventi di pulizia straordinaria. “Siamo cresciuti tanto in paese – conclude il sindaco – il nostro è un paese di migranti, negli anni Sessanta da 5.000 siamo diventati 3.ooo. Sono partiti per Germania e Inghilterra, così come sono partiti loro dalla loro terra per venire da noi”.

Stesse storie a Pachino o Canicattini Bagni. Molti ragazzi, prima ospiti dei centri di accoglienza, nel tempo si sono integrati sino a trovare lavoro e anche casa da soli. “A Pachino “L'albero della vita” accoglie 25 ragazzi anche in gruppo appartamento, abitano da soli, o anche in affido familiare – racconta Simona Cascio, responsabile dell'Arci di Siracusa - . Abbiamo messo in campo progetti che hanno favorito l'integrazione, molti hanno trovato lavoro in agricoltura e nel turismo e si sono sistemati qui”. Quattro ragazzi lavorano nella ristorazione e ora sono autonomi, sottolinea soddisfatta. Mai episodi di intolleranza, anzi. A Canicattini Bagni alcuni ospiti dello Sprar gestito da La Pineta suonano con la banda comunale.

La seconda vita di tanti piccoli borghi è resa possibile grazie al Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR) che costituisce una rete di centri di “seconda accoglienza” destinata ai richiedenti e ai titolari di protezione internazionale – spiega Salvo Lipari, presidente regionale dell'Arci, una delle associazioni maggiormente impegnate nel sistema di integrazione - . Un sistema non finalizzato dunque (come i CDA o i CARA) ad un’assistenza immediata delle persone che arrivano sul territorio italiano ma, anzitutto, all’integrazione sociale ed economica di soggetti già titolari di una forma di protezione internazionale (rifugiati, titolari di protezione sussidiaria o umanitaria)”. Lo SPRAR è costituito dalla rete degli enti locali che accedono ai finanziamenti del Fondo Nazionale per le politiche e i servizi per l’Asilo ed è gestito dall’Anci, l’associazione dei comuni italiani. Il ministero dell’Interno, tramite il servizio centrale, emana ogni tre anni un bando per l’assegnazione dei posti finanziati. I singoli enti locali interessati, congiuntamente ad organizzazioni del terzo settore presenti sul territorio, precedentemente selezionate a livello locale, partecipano a tale bando presentendo il proprio progetto. Il migrante accede dunque a un tirocinio che si svolge spesso in un piccolo comune, che lo prepara ad affrontare il mondo del lavoro e non solo. I progetti prevedono l’accoglienza di singoli e/o famiglie in appartamenti o in centri collettivi, e lo svolgimento di una serie di attività per favorire la loro integrazione sul territorio.  I servizi offerti dai singoli progetti territoriali dello SPRAR riguardano assistenza sanitaria; assistenza sociale; attività multiculturali; inserimento scolastico dei minori; mediazione linguistica e interculturale; orientamento e informazione legale; servizi per l’alloggio; servizi per l’inserimento lavorativo; servizi per la formazione. Ed è grazie ai progetti SPRAR che molti piccoli comuni, soprattutto al Sud sono diventati comuni “misti”, con una forte e efficace presenza di stranieri.

E' nella natura stessa della nostra associazione intervenire sulla tutela dei diritti e sulla tutela dei migranti – continua Lipari -. Vanno potenziati i progetti Sprar, privilegiano numeri piccoli che promuovono integrazioni reali nei piccoli centri. Non è solo assistenza, va promosso l'inserimento lavorativo di chi arriva da noi. Strutture come i Cara sono controproducenti, sono mastodontiche dove prolifera spesso la criminalità. Con le ultime circolari restruttive emanate dal Viminale c'è il rischio di depotenziare gli Sprar aumentando i fenomeni di clandestinizzazione e aumentando anche l'insicurezza – conclude -. Va potenziato il rapporto tra enti locali e associazionismo, invece, per avere sempre più forme di integrazione reale tra le persone ma anche nel tessuto produttivo del territorio”.

Tra i progetti siciliani, spiccano Valderice, dove gli ospiti del centro di accoglienza Sprar di Bonagia sono impegnati nella coltivazione di un terreno confiscato alla criminalità organizzata; a Marsala sono stati coinvolti in alcuni scavi archeologici, a Vittoria molti sono stati impegnati in attività produttive con borse lavoro, poi Pachino e Canicattini Bagni e tantissime altre realtà che testimoniano la grande capacità di accoglienza siciliana. A parte le cosiddette “buone prassi”, esperienze positive di integrazione nel tessuto produttivo, quali il progetto Fieri di Catania (fabbrica interculturale ecosostenibile del riuso), la Sartoria sociale creata con alcuni immigrati a Palermo “che riunisce stilisti, sarti e amanti del cucito di varie etnie”, e molte altre storie di impresa sociale.

 di Angelo Meli

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