Non solo mafia, ora anche i politici minacciano i giornalisti

Società | 26 aprile 2017
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Non sono soltanto “le pressioni di gruppi mafiosi e organizzazioni criminali” a condizionare la libertà di informazione in Italia, ma la violenza a cui i cronisti sono esposti è da ricondurre anche ad “alcuni politici - come Beppe Grillo del Movimento 5 Stelle – che non esitano a comunicare pubblicamente l’identità dei giornalisti che danno loro fastidio”. Intimidazioni verbali o fisiche, minacce e provocazioni continuano ad imbavagliare l’informazione italiana: sono sei i giornalisti che vivono sotto scorta della polizia 24 ore su 24 a seguito delle “minacce di morte, in particolare, della mafia o di gruppi fondamentalisti”. E, davanti alle pressioni dei politici, spesso i giornalisti “optano per l’autocensura”. Secondo il rapporto 2017 di Reporter Senza Frontiere, l’informazione nel bel Paese permane in uno stato di difficoltà sebbene l’Italia abbia guadagnato 25 posizioni rispetto allo scorso anno - passando dal 77mesio al 52esimo posto- nella classifica mondiale sulla libertà di stampa. Tale balzo in avanti è da ricondurre in gran parte “all'assoluzione di diversi giornalisti, tra cui i due che sono stati processati nel caso Vatileaks”. Si ricordi, infatti, che, proprio per i procedimenti giudiziari del Vaticano contro i cronisti che hanno scritto degli affari della Santa Sede, l’Italia, nel 2016, aveva perso quattro posizioni. L’avanzamento nella classifica sulla libertà di informazione nel 2017 si rifà anche ad ddl diffamazione, fermo al Senato, che prevede l’effettiva cancellazione del carcere per i giornalisti e sanzioni pecuniarie significative per chi fa ricorso alle querele temerarie.

A livello internazionale, il quadro non è per nulla rassicurante. Anzi. “Mai la libertà di stampa è stata così minacciata”, secondo il rapporto 2017. 21 sono i paesi “neri”, dove il livello della libertà di stampa è considerato “molto grave”. Tra loro il Burundi (160°), l’Egitto (161°) e il Bahrein (164°). 51 sono gli Stati “rossi”, in cui la libertà di informazione è valutata “difficile”. Tra questi Cina (176°), Russia (148°), India (136°), quasi tutto il Medio Oriente – qui le violazioni alla libertà di stampa si giustificano in nome della religione, dell’ordine morale e della preservazione dei regimi stabiliti - l’Asia centrale e l’America centrale, oltre che due terzi dell’Africa. A chiudere la classifica, come ormai da anni, la Corea del Nord (180°), preceduta da Eritrea (179°) e Turkmenistan (178°).

Caso più “inquietante” del rapporto 2017 è la Turchia (155°): in dodici anni ha perso un totale di 57 posizioni. Dopo il tentativo di colpo di stato dello scorso luglio, si è inasprita la guerra di Erdogan contro i media di opposizione, riducendo il pluralismo di informazione. “Un centinaio di giornalisti sono stati arrestati senza processo, rendendo la Turchia la più grande prigione al mondo per i professionisti dell’informazione” denuncia Reporter Senza Frontiere.

Tra i giornalisti americani, quelli maggiormente esposti a rischi sono i messicani (147°). Basti pensare che nel 2016 sono stati uccisi 10 giornalisti e nel marzo del 2017 vi sono stati una serie di attacchi contro i cronisti. Come ricorda il rapporto, “il paese rimane afflitto dalla corruzione e dalla violenza della criminalità organizzata, soprattutto a livello locale”. Ma, restando sempre nel continente americano, sarebbe Cuba (173°) a soffrire il regime più ostile alla libertà di stampa a causa del monopolio dello Stato sull’informazione che non è cessato con la morte di Fidel Castro.

A guidare la classifica rimangono sempre i paesi del Nord Europa. La Finlandia, però, perde il primo posto, che occupava da 6 anni, a vantaggio della Norvegia, a causa di “pressioni politiche e conflitti d’interesse”.



 di Alida Federico

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