Né narcos, né folklore, né realismo magico

Cultura | 28 febbraio 2017
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Un terzo di secolo è sufficiente per accostarsi a un romanzo colombiano senza pensare alla eccelsa ma pesantissima eredità di Gabriel Garcia Marquez? Probabilmente sì. La “glaciazione” del realismo magico è alle spalle, perfino alcuni nobili e meno nobili interpreti ancora in vita stanno battendo nuove strade negli ultimi anni. C’è chi l’ha fatto, con la mente sgombra di qualsiasi incrostazione alla moda, in grande anticipo. Non stupisce, ad esempio, che negli anni Ottanta, quando imperava il verbo di Gabo, non abbia trovato fiducia e sostegno, almeno in Italia, “Prima c’era il mare” (144 pagine, 14,50 euro), romanzo di debutto di Tomàs Gonzàlez, datato 1983, con traduzione a cura di Sara Papini. Probabilmente, visto il clima di allora, sarebbe passato inosservato. Adesso, invece, ci sono tutte le condizioni per apprezzarne la “diversità”. È l’ennesima scoperta delle edizioni Gran Via, che di voci inconsuete e poco conformiste dall’America del Sud hanno il catalogo colmo di ex segreti non più custoditi gelosamente oltre oceano: David Toscana, Elvira Vigna, Luciano Lamberti e Juan Villoro sono solo alcuni dei nomi… giusti. I riferimenti culturali di Gonzàlez sono vasti e attingono anche alla mitologia Kogi, che permea la vicenda di J. (il fratello dell’autore, trasfigurato letterariamente) e della sua seconda moglie Elena, una coppia stanca di vivere nella caotica Medellin della metà degli anni Settanta e decisa a lasciarla, a caccia di autenticità, da perseguire sulla costa caraibica della Colombia.

L’idillio con la natura sembra cosa fatta, ma lontana dalla capitale la coppia scoppia, insorgono incomprensioni – l’alcool ha il suo peso – passioni primordiali, violenze e infedeltà, tanto più quanto entrerà in scena un terzo personaggio forte, Octavio, e il passo da un ipotetico eden alla tragedia sarà breve.

La lingua essenziale e adamantina di Gonzàlez è una piacevole sorpresa, i capitoli brevi, tesi e ritmati gettano nella storia il lettore, spezzandone felicemente il fiato. Una volta tanto non ci sono riferimenti politici o sociali, vita e morte semplicemente vengano a galla come temi eterni, c’è un amor perduto e l’infelicità che trionfa in giorni “tristi e indimenticabili”. È più che sufficiente. Non serve poi molto altro per fare letteratura.

 di Salvatore Lo Iacono

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