“Muratori” di Edoardo Erba festeggia il suo sedicesimo anno in scena
Divenuto un riconosciuto “cult” del teatro italiano contemporaneo, “Muratori” affronta la sua ultima stagione di repliche per salutare il pubblico di ieri di oggi, dopo sedici anni di repliche e chiudere (mai dire mai….) il suo ciclo fortunatissimo di rappresentazioni. Peraltro iniziate in sordina, quasi una scommessa fra interpreti ed autori
“Sensibile, bizzarro, surreale ritratto di due perdenti non di successo” lo spettacolo è un eccentrico, lunare mix di imprevedibile comicità e inattesa, sommessa poesia. Queste le rielaborate note critiche di A. Pizzuto, scritte al debutto romano di “Muratori” del 2002
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Città invisibili, anonima periferia metropolitana, interno notte. Fiore e Gennaro, muratori arruffoni, sono al lavoro (affannosamente) per occultare, chiudere con un emblematico , sgangherato muraglione (che da Sartre a Berlino ha sempre significati traumatici) il triste palcoscenico di un teatro in disuso. Mattoni trasportati a spalla, calcinacci che imbiancano il viso, cazzuole e impiastri grigiastri dimostrano che non c’è nulla da fingere. Dall’idioma e dalle allusioni si capisce che l’impresa accade a Roma, e il perimetro, un tempo teatrale, è stato ceduto ad un supermercato per l’ampliamento dei magazzini di casermaggio.
La scala dei
conflitti sociali è minimale, miserrima, ma ugualmente arcigna.
Fiore, il più pragmatico e determinato, sogna un futuro da
imprenditore (e debiti – capestro) mentre Gennaro, il più anziano,
ha già da tempo rinunciato ad ogni forma di riscatto, lamentandosi
al massimo della solitudine che avanza e di una amante – tardona
che lo tratta male e senz’ombra di sentimento.
Lavorare a
cottimo, in clandestinità, nel timore di essere scoperti dai
vigilantes è pessimo consigliere : commutandosi in una sorta di
rusticano dialogo (di interpersonali rivalse) rivelante, in
filigrana, frustrazioni, amarezze, aspettative, abbrutimento. Tutte
le disillusioni –insomma- di chi identifica la propria persona con
quel principio di reificazione (valore d’uso e di scambio) che
accompagna la condizione del lavoro al compimento epocale delle sua
dismissione di identità. Totale disistima verso il proprio ruolo ,
commisurato al mero ristorno della quantificazione monetaria: “tanto
vali e tanto ti pago”. Alla faccia della ‘fu’ -classe -operaia
e solidarietà tra proletari
Può dirsi poi che
la commedia si impenni, si accenda di palpito ed eros, rendendosi
intrigante, irrazionale, persino metafisica. All’incarognito
lavorar da muli dei “muratori” (con intermezzi mimici che
stagliano, su controluce rossastra, l’oggettiva alienazione di due
zombie) si contrappone il misterioso andirivieni di una
aristocratica, irreale figura femminile, ‘prigioniera’ del teatro
come il vecchio attore del “Canto del cigno” (di Cechov),
abbandonato in sottopalco come oggetto smarrito perché non più
utile.
Ci si chiede se i muratori e lo ‘spettro di donna’ (che
scopriremo essere la damigella Giulia del dramma di Strindberg) non
siano “due mondi diversi, due dimensioni incomprensibili che un
interminabile muro vorrebbe tenere separate” Annesso e mai concesso
che sia sufficiente erigere qualcosa per metterci al riparo dalle
nostre (esilissime) diversità.
A sostegno di tali
(non eludibili) interrogativi, direi che la claustrale ambientazione
dello spettacolo, il suo omogeneo spartito di scenografia,
luminosità, costumi abbiano un ruolo fondamentale ed espressivamente
comprimario nell’ambito di una ‘epifania scenica’ che, citando
palesemente Beckett, riesce a saldare le pratiche- basse e quelle
‘più in alto’ di un unicum teatrale dove le frontiere del gusto
e del giudizio non sono mai intrinseche (al teatro stesso), ma
sovrastrutturali, quindi ideologiche, da parte di chi ne
fruisce.
Come infatti si dimostra nel finale, quando la ‘forza
lavoro’ e ‘l’eroina di scena’ (che si è trasformata in
‘fantasma d’amore’ anche in virtù del fascino eburneo-
trepidante-intraprendente dell’interprete femminile) decidono di
‘convolare’ verso una dimensione arcana, liberatoria del ‘farsi
‘ teatro, una volta per tutte, senza intercapedini di ruoli e
culture. Verso lo sfondamento della ‘quarta parete’, e di quella
retrostante. Dispersi e felici, con un salto nel vuoto, a memoria di
chi se l’è persa per pigrizia o conformismo.
°°°°
“Muratori”
di Edoardo Erba Con Nicola Pistoia, Paolo Triestino, Lydia Giordano
regia Massimo Venturiello scene Francesco Montanaro costumi Sandra Cardini musiche Ennio Rega disegno Luci Marco Laudano produzione Diaghilevsrl - Al Teatro Ghione di Roma (e in breve tournée)
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