Missione navale in Libia: così si nega il diritto d’asilo
In passato l’Italia ha dato un esempio di grande civiltà con le operazioni di salvataggio in mare. Ora invece mandiamo le navi militari a fermare i migranti in Libia, con una missione che solleva non poche perplessità sotto il profilo dei diritti umani.
Le ragioni dell’operazione in acque libiche
Dopo settimane di sussurri e ipotesi, quasi a sorpresa e in gran
fretta, l’Italia sta varando una missione militare in acque libiche,
navale e non solo. Forse ha giocato la competizione con l’attivismo di
Emmanuel Macron, forse la percezione ormai diffusa che l’accoglienza dei
rifugiati possa compromettere le sorti elettorali dei partiti di
governo. Sta di fatto che dopo il decreto Minniti-Orlando, il rinvio del
provvedimento sul cosiddetto ius soli, il codice di condotta imposto
alle Ong con il duplice intento di metterle sotto controllo e di
rallentare le operazioni di salvataggio, ora si pensa di usare le
maniere forti contro le imbarcazioni che trasportano le persone in cerca
di asilo.
Va notato anzitutto un cambiamento di rappresentazione e di retorica:
fino a qualche settimana fa, le barche degli scafisti erano a malapena
in grado di galleggiare e le Ong erano accusate di arrivare troppo
vicino alle coste libiche per soccorrerle. Ora invece vengono presentate
come vascelli armati che non esitano a sparare contro le motovedette
libiche. Quindi occorre andare in loro soccorso.
Si è aperto però uno spinoso problema, quello di non urtare la
suscettibilità dei libici e di non esporsi all’accusa di violare la loro
sovranità. Il governo (ministero della Difesa) ha precisato che i
migranti verranno presi in consegna dalle forze libiche e da esse
ricondotti indietro. Con formula che un tempo sarebbe stata definita
“gesuitica”, si aggiunge che in tal modo non si tratterebbe di un
respingimento. Traspare in sottofondo l’intento di prevenire le
obiezioni dell’Alta Corte di Strasburgo, quella che ha condannato
l’Italia per i tristemente noti respingimenti in mare del governo
Berlusconi-Maroni – la prima volta nella storia in cui il nostro paese
si è messo contro l’Onu, oltre che contro le istituzioni europee.
Le incognite della missione
La prevista presa in consegna da parte dei libici (chiamiamola pure
così, con eufemismo) riapre una questione di grande portata sotto il
profilo dei diritti umani. Il nostro governo ha già annunciato che le
domande di asilo dovrebbero essere verificate in Libia, presso hotspot
gestiti da organismi sovranazionali specializzati (Unhcr – Alto
commissariato Onu per i rifugiati e Oim – Organizzazione internazionale
per le migrazioni). Ma una simile operazione comporta diverse incognite.
La prima riguarda il trattamento da parte delle forze armate libiche
prima della consegna agli hotspot. Le testimonianze dei maltrattamenti
inflitti a migranti e rifugiati in transito, e anche a quelli ricondotti
in Libia, sono troppo note, drammatiche e numerose per non mettere in
allarme quanti si interrogano sulla tutela dei diritti umani.
La seconda incognita riguarda il funzionamento degli hotspot, ancora da
progettare, realizzare, dotare di personale. Non sono strutture in grado
di entrare a regime nel giro di pochi giorni. È in questione poi il
rispetto dei diritti dei richiedenti di asilo, compreso quello di
appello a seguito di un eventuale diniego. Non si vede come possano
provvedere strutture di emergenza come gli hotspot, che tipo di
assistenza legale e piscologica possano offrire a persone spesso
traumatizzate. Distinguere tra richieste di asilo fondate o meno, quando
si tratta dell’Africa, non è operazione né facile né sbrigativa, anche
limitandosi ad applicare i nostri criteri, secondo i quali, per esempio,
la Nigeria è un paese sicuro e Boko Haram un problema interno, non
meritevole di tutela internazionale.
Una terza questione riguarda il delicato rapporto tra i servizi
istituiti presso gli hotspot e quelli a disposizione della popolazione
libica, per esempio la sanità. Se i servizi saranno scadenti, si ricadrà
nei dubbi sulla violazione dei diritti umani. Se verranno portati a
standard occidentali, provocheranno risentimento presso la popolazione
locale che non ne potrà fruire.
Un’ultima e forse più grave questione riguarda il destino dei
richiedenti asilo denegati. Se non potranno venire in Europa, rimarranno
in Libia. Bisogna domandarsi come verranno tutelati e chi se ne farà
carico. L’idea sottostante, che la Libia li espellerà molto più
facilmente di noi, è tutta da verificare, ma è anche purtroppo
un’implicita ammissione che noi contiamo sui metodi spicci dei paesi
eletti a nostre guardie di frontiera per mantenere formalmente pulite le
nostre mani.
Il nostro governo ha dato un esempio di grande civiltà con le operazioni
di salvataggio in mare e di successiva accoglienza, malgrado
indifferenze, dubbi e opposizioni tanto all’interno quanto da parte di
diversi partner europei. Non riuscendo più a far transitare i rifugiati
al di là delle Alpi ha dovuto farsene carico (circa 180mila persone
attualmente accolte, non un’enormità in confronto alla Germania, per non
parlare di Turchia, Libano, Giordania). È inquietante che il problema
passi ora sotto la gestione del ministero della Difesa e che ci si
prepari all’uso delle navi da guerra non per soccorrere, ma per
rimandare indietro le persone in cerca di asilo. (info.lavoce)
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