Mafia e politica, dai Vespri a Graviano una storia di negazioni

Politica | 17 giugno 2017
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A ben vedere è una storia di negazioni. In principio si negò anche il nome oltreché il fatto: “La mafia non esiste”. Poi, riconosciuta l’esistenza della criminalità organizzata, si negò –con forza –il rapporto mafia- politica; oggi si nega che le dichiarazioni del boss Graviano, intercettato in carcere, siano vere. Una lunga negazione costruita ad arte, per decenni, dalla stampa e dalla politica. Si nega l’evidenza. Nonostante qualche storico faccia risalire la mafia ai Vespri siciliani o al viceregno spagnolo, si minimizza: roba da studiosi; solo con l’Unità d’Italia, 1861, comincia ad essere percepita come “fenomeno criminale” di rilievo e insigni storici denunciano “l’infiltrazione della mafia nella politica”. Il punto è che già in quegli anni – seconda metà dell’Ottocento – troppi lasciano cadere (negano) proprio il legame con la politica e riducono la mafia a “problema di ordine pubblico”. 

SI NEGA SEMPRE, tutto. Nel 1893, quando viene assassinato Notarbartolo, ex direttore del Banco di Sicilia, è coinvolto come mandante l’onorevole Palizzolo e lo scandalo lambisce anche Crispi. Fatti. Ma lo spirito del tempo vuole che il rapporto mafia-politica venga negato. Non va meglio, agli inizi del Novecento, a Salvemini che definisce Giolitti “ministro della malavita”: “L’onorevole Giolitti (…) approfitta delle miserevoli condizioni del Mezzogiorno per legare a sé la massa dei deputati meridionali; dà a costoro carta bianca nelle amministrazioni locali; mette nelle elezioni a loro servizio la malavita e la questura”. Poi Salvemini attenua la critica, è vero, ma coglie il punto: tra mafia e politica s’è creato un legame perverso che va spezzato. Invece, il legame si consolida col fascismo e nel dopoguerra con le forze d’occupazione angloamericane che fanno affidamento sulla mafia (Lucky Luciano) nei giorni dello sbarco in Sicilia. Nell’Italia repubblicana la mafia s’infiltra sempre più nelle Istituzioni (“È Stato la mafi a ”), controlla appalti, guida, spesso direttamente, Comuni importanti, corrompe, utilizza il sistema clientelare, ricatta, uccide. Cadono, uno dopo l’altro, quanti veramente s’oppongono. È la stagione delle stragi. Ma con scientifico cinismo si continua a negare. Il rapporto mafia-politica? La trattativa Stato-mafia? Meglio parlare della cosiddetta trattativa. Si minimizza. Ancora. È la tragedia dei nostri giorni: mentre le inchieste condotte dalle Commissioni parlamentari antimafia svelano, certa politica codarda o reticente o complice, nasconde. Si ostacola, oggi più di ieri. La grande stampa censura. Napolitano nega l’ascolto d’intercettazioni importanti. Siamo a oggi. Il pm Di Matteo deposita le intercettazioni di Graviano sul ricatto stragista del ‘92-’93. Parole pesanti: “Berlusca ci chiese favori, poi tradì il patto”. Ci vogliono prove, certo, e le accuse non vanno prese in blocco, subito, come vere. Stupisce, tuttavia, il tentativo opposto: considerarle a-priori tutte false. È la linea negazionista. 

DOMANDO: il rapporto mafia-politica è invenzione o Storia? È vero che Notarbartolo è stato ucciso? Che gli angloamericani hanno trattato? Che la mafia ha alzato il livello dello scontro? Che Falcone e Borsellino hanno denunciato e pagato con la vita? E allora: se tutto questo è vero, dopo la stagione di Andreotti chi ha incarnato il livello politico nel rapporto con la mafia? Chi s’è giovato del nuovo equilibrio mafioso? Ecco le domande che gli ipocriti occultano. La mafia, dopo aver detto del “divo Giulio”, fa il nome di Berlusca. Urge la verità processuale. Il successo elettorale di B. (controlla una fetta di territorio, certo) non cancelli l’orrore di evidenze, documenti, intercettazioni. Negare a-priori le parole di Graviano e gridare al complotto non è da uomini liberi: può essere consentito solo a una figlia. Solo a lei è concesso di chiudere gli occhi e perpetuare una storia –tragica –di negazioni.  (Il Fatto Quotidiano)

 di Angelo Cannatà

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