Mafia delle Madonie, 23 comuni si costituiscono parte civile

Società | 9 maggio 2017
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Se i Comuni della zona tra Termini Imerese e le Madonie ci sono quasi tutti, a mancare all’ap - pello come parti civili nel processo «Black cat» - dove sono imputati settantaquattro tra presunti boss e gregari di una vastissima parte della provincia - sono le vittime del pizzo: su sessantacinque imprenditori individuati dai carabinieri, soltanto otto infatti hanno deciso di costituirsi davanti al gup Fabrizio Anfuso. Segno che il contesto è particolare e che spesso, trattandosi di piccoli centri, estortore e vittima vivono a poca distanza, s’incontrano magari tutti i giorni. Dunque, così come nessuno dei commercianti aveva formalmente denunciato le richieste di pizzo (anche se tutti avevano poi collaborato alle indagini), solo in pochi hanno deciso di partecipare attivamente al processo. La scelta degli otto imprenditori risulta quindi ancora più coraggiosa e va vista come una speranza da un punto di vista culturale.

 Con l’assistenza degli avvocati Ettore Barcellona e Francesco Cutraro, saranno parte civile nel processo ventitrè Comuni: Alimena, Aliminusa, Caccamo, Casteldaccia, Caltavuturo, Campofelice di Roccella, Castellana Sicula, Cefalù, Cerda, Collesano, Gangi, Geraci Siculo, Gratteri, Isnello, Lascari, Petralia Sottana, Polizzi Generosa, Pollina, San Mauro Castelverde, Scillato, Sclafani Bagni, Termini Imerese e Trabia. Le Amministrazioni di Castelbuono e di Petralia Soprana hanno deciso anch’esse di costituirsi, ma per un ritardo nel rilascio della procura agli avvocati non è stato possibile in questa fase. Potranno farlo comunque successivamente (in caso di rinvio a giudizio o di scelta di riti alternativi da parte degli imputati). 

«Una decisione maturata – si legge in una nota del Centro Pio La Torre, i cui legali assistono i Comuni – per manifestare la comune volontà politica di ritenersi parti offese nel processo “Black cat” e il comune impegno a contrastare il tentativo di riorganizzazione mafiosa per il controllo del territorio messo in luce dalla brillante azione repressiva degli investigatori e della magistratura. Oltre al danno economico e quello all’immagine di pacifiche comunità civili, il controllo mafioso del territorio continuerebbe a condizionare la vita democratica di un importante comprensorio e della Sicilia oltre che a ritardarne il progresso economico e sociale». I Comuni di Montemaggiore Belsito, Bompietro e Sciara al momento non hanno dato mandato ai legali. Assieme alle amministrazioni comunali, si sono costituite anche diverse associazioni antiracket: il Centro Pio La Torre, Addiopizzo, Confesercenti, Solidaria, Confcommercio e Sos Impresa (sono rappresentate, tra gli altri, dagli avvocati Salvatore Caradonna e Fabio Lanfranca). Gli assenti sono dunque gli imprenditori, anche se alcuni di loro non sono originari della provincia di Palermo, ma vi lavorano. 

Gli otto commercianti che si sono costituiti sono difesi dagli avvocati Caradona, Alessia Alessi, Cinzia Di Vita, Carmelo Franco e Luigi Montagliani. La Procura chiede il rinvio a giudizio di settantaquattro imputati, accusati di aver imposto le regole di Cosa nostra nella zona tra San Mauro Castelverde e Trabia. I capimandamento sarebbero stati due giovani dall’alta genealogia mafiosa: Diego Rinella (fratello dello storico capomafia di Trabia, Salvatore Rinella) e Francesco Bonomo (genero del boss di San Mauro Castelverde, Giuseppe Farinella). I pm Leonardo Agueci, Sergio Demontis, Siro De Flammineis, Gaspare Spedale, Ennio Petrini e Bruno Brucoli avevano individuato ben sessantacinque vittime di estorsione: era proprio attraverso l’imposizione del pizzo che i boss avrebbero controllato il territorio. (Giornale di Sicilia)

 di Sandra Figliuolo

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