Lima, le corna e il sangue. Così la mafia iniziò la guerra

Società | 12 marzo 2017
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Totò Riina aveva parlato chiaro: “Dobbiamo rompergli le corna”. Ma quella mattina di 25 anni fa, quando l’euro deputato Dc Salvo Lima esce dalla sua villa di Mondello, affiancato dal docente Alfredo Li Vecchi, non immagina che la sua ora è scoccata. Lima si sistema sulle spalle il loden verde e s’infila nella Opel Vectra guidata dall’amico Nando Liggio. L’auto percorre poche decine di metri e due killer, a bordo di una moto, sbucano su via delle Palme, affiancano la Opel e cominciano a sparare. Lima sente esplodere i primi colpi a vuoto, ha il tempo di mormorare: “Tornano, torna no….”. Poi schizza fuori dall’auto e si mette a correre. Ma stavolta i sicari non sbagliano il bersaglio: Francesco Onorato, capo famiglia di Mondello, spara due, tre volte. L’eurodeputato crolla ucciso: sul marciapiede la sua chioma bianca diventa rossa di sangue. Falcone, la reazione e l’analisi logica 

È il 12 marzo 1992. Per i pm di Palermo è l’inizio dell’o f f e nsiva terroristico-mafiosa che si concluderà, un anno e mezzo dopo, con il fallito attentato all’Olimpico, ma è soprattutto il punto di partenza delle manovre che partoriranno la trattativa Stato-mafia. Commentando il delitto di Mondello, Giovanni Falcone lo definisce da subito “lo gico ”: la prima delle conseguenze del verdetto della Cassazione che il 30 gennaio ‘92 ha confermato le condanne del maxiprocesso, seppellendo sotto una montagna di ergastoli il gotha di Cosa nostra. Sarà lo stesso Riina a rivelare che la sua furia era indirizzata contro Lima, in quanto simbolo di quella Dc che non aveva mantenuto le promesse di impunità: “Q u esto Lima - spiega il boss nel 2013 al compagno d’aria Alberto Lorusso nel carcere di Opera - disse che se andava a Roma, Andreotti l’a vr eb be assicutato (cacciato, ndr). Ma come? … E allora non ne parliamo più...”. È lo start alla carneficina che nei mesi successivi metterà il Paese a ferro e a fuoco, spianando la strada alla Seconda Repubblica. Le cronache degli ultimi numeri de L’Ora , quotidiano antimafia di Palermo, pubblicate tra il giorno del delitto Lima e quello della chiusura del giornale, l’8 maggio ’92, raccontano le vicende oggi analizzate nel processo sulla trattativa: a cominciare dall’allarme lanciato dal ministro dell’I n t e rno Vincenzo Scotti, che parlò di una “strategia eversiva” e fu bollato come “pa ta c ca ro ” persino da Giulio Andreotti. 

L’ultimo direttore de L’Ora Vincenzo Vasile ha dichiarato: “Sono convinto che la chiusura de L’Ora sia legata alla trattativa: abbiamo chiuso poco prima della strage di Capaci e l’inizio di una stagione che forse, con quel giornale aperto, sarebbe stata diversa’’. È lo stesso Vasile a firmare in quei giorni un editoriale, scritto dopo un colloquio con Falcone, che attribuisce all’uccisione di Lima la valenza di una “strategia di tensione di alto profilo’’. Ma Falcone non è l’unico che riconosce il tam-tam di una guerra imminente. In quei primi mesi del ’92, la sentenza della Cassazione toglie il sonno ad un altro notabile siciliano che ha capito come gli ergastoli del maxi abbiano infranto il patto stabile tra mafia e politica: è Calogero Mannino, detto Lillo, ministro Dc. A febbraio, ricevendo a casa un mazzo di crisantemi, Mannino si convince di essere in cima alla black-list di Cosa nostra. E confida all’amico maresciallo Giuliano Guazzelli: “Ora o uccidono me o Lima’’. L’intuizione si trasforma in angoscia dopo la morte de ll’eurodeputato e in panico quando tre settimane dopo, il 4 aprile ’92, anche Guazzelli viene assassinato. Ma il peggio arriva il 23 maggio ’92, nel preciso momento in cui il pentito Giovanni Brusca a Capaci fa saltare con 500 chili di tritolo Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti di scorta: il Paese precipita nel caos. A quel punto Mannino è terrorizzato: incontra a Roma il capo del Ros Antonio Subranni. Incontra il capo della Polizia Vincenzo Parisi. Incontra lo 007 Bruno Contrada. L’obiettivo? Per i pm di Palermo, aprire un contatto con Cosa nostra e fermare la furia di Riina. Odore di trattativa E poi entrò Silvio Secondo il pool Stato-mafia, è proprio Mannino a fornire al Ros l’input della trattativa, anche se la ricostruzione dei pm è stata bocciata come “inadeguata” dal gup Marina Petruzzella che il 5 novembre 2015 ha assolto Mannino “per non aver commesso il fatto”dall’accusa di violenza al corpo politico dello Stato. Ma per la procura di Palermo, che il 15 dicembre scorso ha impugnato la sentenza Petruzzella, definendola “estremamente lacunosa”, è proprio quello lo scenario che spinge il colonnello Mario Mori, vice di Subranni, a contattare Vito Ciancimino, vicino al boss Binnu Provenzano, per avviare tra Stato e mafia un dialogo che potesse far cessare l’offensiva di Riina. Lo stesso scenario che avrebbe portato, il 28 giugno del ’92, Nicola Mancino, definito “m a ll e a b i le ”, al Viminale al posto di Scotti. È a questo punto, scrivono nella loro ricostruzione i pm di Palermo, che Riina ferma Brusca e Gioacchino La Barbera, già sguinzagliati per uccidere Mannino: l’ex ministro viene “graziato” e al suo posto, il 19 luglio 1992, muore Paolo Borsellino. Oggi, ad un quarto di secolo da quella stagione, la ricostruzione giudiziaria non è univoca tra Palermo e Caltanissetta.

 Il pool Stato-mafia sostiene che Borsellino muore perché ha opposto un “mu r o ” alla trattativa. I pm nisseni, guidati da Amedeo Bertone, sono convinti che di questo non c’è la prova. Anche se la storia, da qui in poi, è tristemente nota. A gennaio ‘93, Mancino annuncia, con sei giorni di anticipo, l’arresto di Riina, tradito – secondo Massimo Ciancimino – da Provenzano. A febbraio il Guardasigilli Claudio Martelli viene costretto alle dimissioni dallo scandalo del Conto Protezione e lascia il posto a Giovanni Conso, lo stesso che, a novembre, dopo le bombe di Roma, Firenze e Milano, revoca “in assoluta solitudine” (dice lui) centinaia di 41 bis, segnando il definitivo cedimento morale dello Stato di fronte a Cosa nostra. È l’u ltimo respiro dell’a g o n i z z a nte Prima Repubblica. Tutto è pronto per il trionfo di Silvio Berlusconi.(Il Fatto Quotidiano)

 di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza

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