La tossica infatuazione dei romeni per nazionalismo e fascismo
Calabuig, costola iper letteraria di Jaca Book – la case editrice che già negli anni Ottanta aveva proposto al pubblico italiano “Vita e destino” di Grossman, divenuto un caso sotto le insegne di Adelphi, e che nei Novanta aveva lanciato Chinua Achebe – colma un vuoto ed esaurisce una lunga attesa. Annunciata per il 2011 (quando il direttore editoriale di Jaca Book era ancora Joshua Volpara, figlio di Maretta Campi, una delle fondatrici), solo adesso è realtà in Italia la pubblicazione de “Gli huligani” (471 pagine, 20 euro) di Mircea Eliade (tradotto da Cristina Fantechi), seconda parte di una trilogia mai completata, la cui edizione originale risale al 1935: fu scritto in pochi mesi, se ne vendettero subito migliaia di copie e restò nelle librerie fino al 1944; non sarebbe stato ristampato prima del 1991, ovvero dopo la caduta di Ceausescu.
Rumeno di multiforme ingegno, Mircea Eliade, oltre che storico delle religioni, filosofo e antropologo, era anche un pregevole narratore. “Gli huligani” è un romanzo da riscoprire, totalmente al di fuori delle mode, la conferma di un talento che nemmeno trentenne sapeva inquadrare un’epoca, quella della Bucarest degli anni Trenta e della sua gioventù borghese, una generazione tra le due guerre – istruita, interessata all’arte e alla musica, alla filosofia, alla letteratura e alla politica – ritratta lucidamente (e talvolta sarcasticamente) nella «tossica» infatuazione per gli ideali fascisti. Lo stesso giovane Eliade fu tutt’altro che immune alla seduzione del fascismo, non un semplice peccato di gioventù come narra la vulgata, ma un’adesione.
I protagonisti de “Gli huligani” sono ventenni insoddisfatti, ardono dal desiderio di esistere e affermarsi, sognano grandi imprese, favoleggiano dell’uomo nuovo, scandalizzano, non rispettano la parola data, hanno una bassissima considerazione delle regole, sfidano i tabù della società. Gli uomini, artisti e intellettuali, sono immaturi e cinici (specialmente dal punto di vista sentimentale), talvolta insondabili. Le donne (dall’innocente Anisoara alla prostituta Nora, all’attrice Marcella) sono marginali e spesso fanno la fine delle vittime. Più che pensare alla rivoluzione, i vari Petru Anicet, Alexandru Plesa, Mitica Gheorghiu e tutti quelli che ruotano attorno a loro – chiamati alla «vocazione dell’huligano» – sono attratti dal nulla e dalla morte. L’affresco sociale che ne vien fuori è di un’epica inquietante, oltre che di attualità, se solo si dà un’occhiata a quello che succede in Europa più di ottanta anni dopo. I personaggi tratteggiati da Eliade sono i “figli” di certi eroi e antieroi di Stendhal, Balzac e Dostoevskij, trasfigurati però in un’altra dimensione storica e spirituale, in un’Europa che stava per essere inghiottita dagli ideali ultranazionalisti e razzisti.
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