La strage di Portella della Ginestra, pilastro fondante della Repubblica

Cultura | 8 novembre 2017
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Sulla strage di Portella della Ginestra (1 maggio 1947) sono stati scritti tanti libri, di denuncia politica, di ricostruzione storica ed interpretazione storiografica, romanzi e perfino fumetti. In qualche modo anche gli atti del processo di Viterbo iniziato nel 1950 e concluso nel 1953, dove non fu fatta giustizia per le 11 vittime (ma la dodicesima sarebbe morta alcuni mesi dopo per le ferite riportate), rappresentano una ricostruzione “letteraria” nella misura in cui si rifiutano di affrontare il nodo dei mandanti della strage e si rifugiano in una “verità giudiziaria” lontana dalla verità fattuale ed attenta solo ad escludere ogni motivazione politica o sociale degli avvenimenti. Portella della Ginestra è uno dei mattoni fondativi della Repubblica italiana “ democratica, fondata sul lavoro” come recita il primo articolo della Costituzione. 

Quando avviene la strage è ancora al lavoro l'Assemblea Costituente davanti la quale il segretario regionale del Partito Comunista Italiano Girolamo Li Causi accusa il ministero degli interni Mario Scelba, siciliano di Caltagirone anch'egli, di depistare le indagini. La Cgil, i quel momento ancora unitaria, coglie subito il valore politico di quanto è avvenuto sul pianoro tra Piana degli Albanesi, San Giuseppe Iato e San Cipirello e proclama a maggioranza lo sciopero generale per il 3 maggio. Lo storico Salvatore Lupo sottolinea che “il grande evento che fu indubbiamente la strage di Portella va ricondotto ...in una dimensione intermedia tra quella nazionale e quella regionale, nelle intenzioni di forze disponibili a usufruire dell'offerta di violenza criminale, eventualmente politica, proveniente dalla banda capitanata da Salvatore Giuliano” (prefazione a F. Petrotta, “La strage e i depistaggi” Roma 2009). 

E' un evento che parla ancor oggi alla coscienza del movimento sindacale italiano che ne ha celebrato unitariamente il settantesimo lo scorso primo maggio e il cui ricordo va rinovellato e trasmesso alle nuove generazioni. Aiuta in questo essenziale lavoro di salvaguardia e consolidamento del ricordo di quei fatti decisivi per il destino della Sicilia, il libro curato dal giovane drammaturgo e poeta (un artista con laurea in Economia e Finanza!) Mario Calivà che ha alle spalle una memoria anche familiare essendo figlio e nipoti di chi il primo maggio del 1947 si trovava a Portella. Il volume “Portella della Ginestra. Primo maggio 1947. “Nove sopravvissuti raccontano la strage” con contributi di Carmelo Botta, Francesca Lo Nigro ed Alessandro Pontremoli, Palermo 2017 pagine 71) intervista nove sopravvissuti tra cui Concetta Moschetto che nell'eccidio perse la madre.

 Le interviste sono state raccolte con lo strumento dell'intervista qualitativa semi strutturata composta da domande aperte, con lo scopo dichiarato di “rispolverare una memoria innocente caduta quasi nell'oblio e sconosciuta alle nuove generazioni...Attraverso il racconto si è offerta a questi testimoni la possibilità di esprimere l'esperienza con parole semplici, grazie alle quali possiamo, almeno in parte, immaginare il modo in cui “gente normale” ha vissuto quel giorno crudele”. Le interviste sono precedute dal saggio “La Sicilia liberata e la lotta dei contadini per il possesso della terra (1943-1947) di Carmelo Botta e Francesca Lo Nigro. I due storici ricostruiscono in modo puntuale gli eventi che, dallo sbarco in Sicilia delle truppe alleate nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1943 fino al momento in cui la banda Giuliano cominciò a sparare dalla Pizzuta sui manifestanti, segnarono una fase di grandi lotte sociali centrate che ebbero al centro la lotta contro il latifondo e l'applicazione dei decreti Gullo per la messa a coltura delle terre incolte e mal coltivate e per una riforma dei patti agrari che garantisse ai contadini almeno il 50% della produzione. I due studiosi danno conto con precisione delle varie posizioni emerse in sede storiografica e che hanno dato origine a tesi contrapposte sul piano politico oltre che teorico. 

Utili sono le tavole sui risultati elettorali nei tre comuni delle elezioni del 2 aprile del 1947 e l'elenco dei contadini e sindacalisti assassinati dalla mafia dal 1944 al 1947, gli anni in cui lo scontro di classe in Sicilia raggiunse l'acme. Se mi è consentita un'osservazione, forse non è del tutto congruo inserire in quest'elenco i 26 uccisi dal fuoco dell'esercito italiano nella quasi dimenticata “strage del pane” consumata a Palermo il 19 ottobre 1944 che trasse le sue origini piuttosto dalla condizione di estremo disagio, fino alla fame, vissuta in quel momento dalla principale città siciliana. Completa il libro un breve ed interessante scritto di Alessandro Pontremoli su “Teatro, narrazione e continuità”. Bella la poesia bilingue di Mario Calivà che apre il volume della quale mi piace riportare la strofa finale:

poi sotto il sole

il sangue si impastò con le lacrime

e si fece mare

dove affogò la valle


e dal quale emerse nudo

e silente

un fiore più greve della terra.



 di Franco Garufi

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