La riforma del Codice Antimafia ad andamento lento, quasi fermo

Politica | 7 luglio 2017
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Il Senato ha approvato con 129 voti a favore, 56 contrari e 30 astenuti il ddl di riforma del Codice Antimafia che torna ora alla Camera dei Deputati per  il definitivo consenso. Ha votato a favore la maggioranza di governo, con l’eccezione di una parte degli alfaniani  di AP cui era stata lasciata libertà di coscienza; si sono astenuti i Cinque Stelle in seguito alla dichiarazione di inammissibilità di un loro emendamento ma com’è noto nel regolamento della Camera Alta l’astensione equivale al voto contrario. Si conclude così un’altra tappa di un provvedimento che rischiava fino ad ieri di finire su un binario morto per le forti ostilità che si erano manifestate da parte del centrodestra, soprattutto da Forza Italia che era arrivata fino a far slittare il voto e a far precedere la discussione di questo importante provvedimento da una leggina concernente il passaggio del comune di Sappada dal Veneto al Friuli. Diverse e contrastanti prese di posizione si sono susseguite negli ultimi giorni. Se la Cgil ha duramente risposto alla richiesta di Gianni Letta di alleggerire il Codice, Confindustria si è invece dichiarata contraria all’estensione della normativa sul sequestro dei beni anche a chi è accusato di corruzione. La novità principale è infatti l’estensione delle misure di prevenzione già previste per i mafiosi anche alle persone accusate di reati contro la pubblica amministrazione come il peculato, la malversazione, l’induzione indebita a dare e a promettere utilità, la concussione e la corruzione se commesse con il vincolo associativo e quindi rientranti nella previsione dell’art. 416 bis del Codice penale.  L’estensione delle misure di prevenzione ha suscitato in realtà una discussione assai vivace anche tra i magistrati. Franco Roberti, procuratore nazionale antimafia, ha dichiarato di considerare una priorità assoluta l’approvazione del Codice ed ha insistito per l’estensione alla corruzione degli strumenti dell’antimafia perché “l’esperienza delle indagini… ci dimostra che la corruzione  è il vero collante tra la criminalità mafiosa e quella dei colletti bianchi..per questa ragione servono le stesse norme previste contro la mafia. Quindi un’attenuante speciale per chi collabora, un trattamento speciale per chi denuncia, la possibilità di operare con agenti sotto copertura ...”

Differente l’opinione di Raffaele Cantone, anch’egli magistrato ma oggi presidente dell’ANAC (agenzia nazionale anti-corruzione) che, pur approvando la riforma in particolare per quanto riguarda l’intervento sulla gestione dei beni confiscati, ha espresso perplessità relativamente all’estensione della normativa antimafia alla corruzione “perché si tratta di due istituti diversi. Si rischia di snaturare un sistema di prevenzione che ha il suo carattere eccezionale legato alle mafie.”  Proprio sul carattere di eccezionalità della normativa antimafia il presidente dell’Anac  sembra fondare i suoi dubbi, fino a paventare che “un’estensione così ampia anche a reati non mafiosi, per paradosso potrebbe portare a...rendere concreto il rischio di una declaratoria di illegittimità (costituzionale) dell’intero impianto normativo, sguarnendo il campo dell’antimafia di un presidio che si è dimostrato molto importante.”  Dietro le due dichiarazioni  si intravede in controluce una discussione influenzata probabilmente anche dalla diversità dei punti di vista tra chi esercita una funzione diretta di  scoperta e repressione dei reati come la procura antimafia  e chi invece, come l’Agenzia, privilegia piuttosto il versante della prevenzione. Ci sarà modo di verificare la validità delle tesi nella concreta applicazione della legge. Quali sono i contenuti del nuovo Codice che, conviene ricordarlo, è figlio del disegno di legge di iniziativa popolare  “Io riattivo il lavoro”   presentato da Cgil, Libera , Centro Studi Pio La Torre, Legambiente ed altre associazioni? 

Rispetto alla versione approvata dalla Camera dei Deputati l’ormai lonatano11 novembre 2015, il DdL  aveva subito alcune modifiche in sede di Commissione al Senato e fino in fondo si è perpetrato il tentativo di farne saltare l’approvazione, ma l’impianto fondamentale viene salvaguardato.  Il testo approvato specifica il perimetro dei destinatari a cui possono esser applicate le misure di prevenzione personali e di natura patrimoniale; il procedimento di applicazione delle misure di prevenzione è reso più trasparente, garantito e veloce e si introduce la decontestualizzazione delle misure di prevenzione; il sequestro di partecipazioni sociali “totalitarie” si estende a tutti i beni aziendali e a provvedere al sequestro sarà ora la polizia giudiziaria; è espressamente stabilito che non si può giustificare la legittima provenienza dei beni adducendo che il denaro utilizzato per acquistarli è frutto di evasione fiscale; è introdotto il nuovo istituto del controllo giudiziario delle aziende quando sussiste il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose che ne condizionino l’attività. Gli amministratori giudiziari dovranno essere scelti dall’apposito albo secondo regole di trasparenza che assicurino la rotazione degli incarichi che non potranno esser in numero superiore a tre; non potranno più assumere l’incarico di amministratore giudiziario, coadiutore o diretto collaboratore il coniuge, i parenti o gli affini, i conviventi, i commensali abituali del magistrato che conferisce l’incarico e ciò riguarda anche i dirigenti delle cancellerie. In queste due norme è chiaro l’intento di evitare il ripetersi di vicende scandalose come quella che ha coinvolto l’ex responsabile dell’ufficio misure di prevenzione del Tribunale di Palermo dottoressa Saluto e diverse altre persone a lei vicine.

L’ultima parte riguarda le imprese sequestrate e confiscate ed il riordino dell’Agenzia nazionale. Entro tre mesi dalla nomina l’amministratore giudiziario dovrà presentare una relazione che evidenzi le concrete possibilità di prosecuzione dell’attività allegando un piano e censendo creditori e lavoratori impiegati. In mancanza di prospettive l’impresa sarà liquidata o cesserà l’attività con modalità semplificate. Le aziende sequestrate potranno contare per il proseguimento dell’attività su un fondo di 10 milioni di euro all’anno che si articolerà in una sezione di garanzia per il credito bancario ed in una per il sostegno agli investimenti ed all’emersione alla legalità. Il governo è delegato ad individuare altre misure a sostegno dell’occupazione. Saranno istituiti tavoli provinciali permanenti con i rappresentanti delle istituzioni, dei sindacati e delle associazioni imprenditoriali. Sono garantiti i diritti dei terzi in buona fede che risultino da atti anteriori al sequestro. Si fa più rigorosa la disciplina dei presupposti che consentono alla banca titolare di ipoteca sul bene confiscato di ottenere parte di quanto prestato. L’Agenzia nazionale vede spostato il suo baricentro dal ministero degli Interni alla presidenza del Consiglio; il direttore non dovrà essere necessariamente un prefetto; viene istituito un Comitato consultivo d’indirizzo. L’Agenzia, che ha competenza, dopo la conferma della confisca in sede di appello tanto sui sequestri di prevenzione quanto su quelli penali potrà destinare beni e aziende direttamente ad enti territoriali o associazioni.  In questo quadro tuttavia appare negativa la decisione, contenuta in un emendamento approvato il 29 giugno, di spostare a Roma  la sede dell’Agenzia mantenendo solo una struttura secondaria a Reggio Calabria.

Verranno così cancellate le altre sedi periferiche tra cui quella di Palermo che ha giocato un ruolo significativo nella gestione di una partita complessa e delicata. Si tratta di una delle più urgenti correzioni  che la Camera dovrà effettuare nella terza lettura.  Anche alla luce dell’attivazione in corso in tutto il Mezzogiorno delle forze dell’ordine, in seguito alle ripetute denunce del sindacato, contro il fenomeno dell’intermediazione illecita di manodopera, appare importante che sia stata inserita nel Codice una norma contro il caporalato che fa scattare la confisca obbligatoria di ciò che è servito a commettere il reato. In conclusione, salutato con soddisfazione il voto di  oggi in Senato, bisognerà continuare la pressione e la mobilitazione perché il Codice non trovi ulteriori intoppi, sia rapidamente approvato dalla Camera dei Deputati e diventi al più presto legge dello Stato.

 di Franco Garufi

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