La mutazione di Cosa Nostra, arrivano i boss etnici
"Cosa Nostra si sta sgretolando. Non si sa cosa potrà derivare da questo processo di mutamento ma è importante valutare i nuovi punti deboli della mafia per colpirla definitivamente e distruggere questo cancro che affligge da secoli la nostra società". Così il professor Antonio La Spina, sociologo della Luiss di Roma intervenuto alla conferenza del progetto educativo del Centro Pio La Torre sul tema: "L'espansione e la trasformazione delle mafie", moderata dal giornalista di Articolo 21, Stefano Corradino e tenutasi presso il Cinema Rouge et Noir di Palermo.
"Tra i vari mutamenti che si registrano vi è un ridotto controllo del territorio - ha continuato La Spina - testimoniato dall'aumento dei reati comuni, dalla diffusione mafie etniche e dall'utilizzo di manovalanza straniera, un sintomo di "crisi di vocazione" da parte dei giovani siciliani. Da qualche anno poi non si compie quasi più il rito di affiliazione chiamato "punciuta", giuramento di sangue con il quale si conferma la propria adesione alla mafia. Gli uomini d'onore - ha concluso La Spina - si presentavano inoltre come uomini degni di rispetto, pieni di potere economico, sociale e politico. Oggi, nella gran parte dei casi, non hanno questa credibilità. La mafia si è indebolita dunque dall'interno, ma anche dall'esterno per i successi delle investigazioni. Ciò non vuol dire che sia finita, ma va registrato questo mutamento considerevole". Tra i vari fattori di mutamento delle mafie anche la loro espansione in territori diversi da quelli in cui si sono storicamente radicate.
"La crescita della presenza di gruppi mafiosi al Nord - ha sottolineato Rocco Sciarrone, docente di Sociologia dell'Università di Torino - non è avvenuta in concomitanza dei grandi flussi migratori degli anni ‘50 e ‘60, ma si è manifestata quando sono giunti a maturazione fattori interni alla stessa società settentrionale. In particolare: l'importanza che assume il traffico degli stupefacenti, l'espansione della dimensione finanziaria e speculativa del capitalismo italiano e la congiunzione tra questo «capitalismo d’avventura» e il capitale accumulato nel traffico di stupefacenti dai gruppi mafiosi". "Più rilevanti - ha continuato Sciarrone - sono stati i flussi attivati specificamente da mafiosi che hanno poi richiamato altri soggetti criminali nell’area di nuovo insediamento, costituendo gruppi organizzati dediti ad attività delittuose. I mafiosi hanno cercato punti di riferimento tra gli immigrati meridionali non tanto per godere di una sorta di solidarietà «etnica», quanto per accreditarsi come mafiosi ed essere riconosciuti come tali. Nei confronti dei propri compaesani e corregionali immigrati - ha concluso Sciarrone -, i mafiosi si siano posti – anzi, in molti casi imposti – come mediatori e protettori, ad esempio controllando il reclutamento di manodopera in alcuni segmenti del mercato del lavoro, accreditandosi così sia tra la forza lavoro immigrata sia tra i datori di lavoro autoctoni".
La mattinata è stata trasmessa in videoconferenza per le scuole che hanno aderito al progetto ed in diretta streaming sul sito del Centro Studi Pio La Torre www.piolatorre.it e sul portale legalità dell’Ansa.
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