La mafia 2.0 conferma la strategia della sommersione
Dopo la morte di Salvatore Riina non pare ancora attribuibile ad alcuno la guida di Cosa Nostra. E' ancora imprescindibile il ruolo di Matteo Messina Denaro, «per quanto si colgano segnali interessanti rispetto ad una lenta ma progressiva minore pervasività operativa della sua leadership». Lo segnala la relazione semestrale della Direzione nazionale antimafia (prima metà del 2017), trasmessa alla Camera. «Si prospetta - rileva la Dia - la formale apertura di una nuova epoca - quella della mafia 2.0. - sempre più al passo con i tempi, che confermerà definitivamente la strategia della sommersione. Conseguentemente non dovrebbero profilarsi guerre di mafia per sancire la successione di Riina». Appare, infatti, superata per sempre, aggiunge, «l'epoca della mafia violenta, che ha ceduto il passo a metodologie volte a prediligere le azioni sottotraccia e gli affari, sovente realizzati attraverso sofisticati meccanismi collusivi e corruttivi».
La relazione ipotizza la possibilità di un accordo tra i capi più influenti per ricostituire una sorta di «cabina di regia», simile ma diversa dalla Commissione provinciale (che non risulta essersi più riunita dopo l’arresto dei capi storici), intesa quale organismo unitario di vertice, con un prevedibile ritorno in scena dei «palermitani». Le indagini evidenziano che la «nuova mafia» è sempre più "silente e mercatistica», privilegiando un modus operandi "collusivo-corruttivo: gli accordi affaristici non sono stipulati per effetto di minacce o intimidazioni, ma sono il frutto di patti basati sulla reciproca convenienza». Tra i settori ad alto rischio di corruzione c'è quello dei trasporti marittimi, destinatario di ingenti finanziamenti pubblici, anche comunitari.
La 'ndrangheta si radica ed espande nelle regioni del Centro-Nord
Anche il «progressivo sbilanciamento verso le regioni del centro-nord e la capacità di riciclare e reimpiegare i capitali illeciti» è segnalato nella relazione semestrale della Direzione nazionale antimafia. Il rapporto evidenzia la connotazione unitaria delle 'ndrine, "orientate verso l’affermazione, anche fuori regione, dei 'comportamentì mafiosi che le identificano, senza ovviamente trascurare l’acquisizione di nuovi mercati e spazi criminali, ivi compresi quelli offerti dalle 'maglie larghè di frange colluse della pubblica amministrazione».
Nel semestre considerato si continuano a cogliere «importanti segnali sia di radicamento che espansionistici fuori dalla Calabria, in entrambi i casi finalizzati a permeare i gangli strategici dell’economia, dell’imprenditoria e finanche della pubblica amministrazione, come nel caso dello scioglimento per infiltrazioni mafiose del Comune di Lavagna (Genova)». Per la Liguria, il Piemonte e la Lombardia diverse attività investigative hanno rivelato l’esatta riproduzione della strutture criminali calabresi, evidenziando la presenza di autonome locali, con rigide compartimentazioni e ripartizioni territoriali. Altrettanto significative le presenze segnalate in Veneto, in Emilia Romagna, in Toscana, nel Lazio, in Abruzzo, in Molise e in Basilicata. Si percepiscono, inoltre, tentativi di inserimento nel tessuto economico del Friuli Venezia Giulia.
Il traffico internazionale di droga, indica la Dia, «rimane la primaria fonte di finanziamento» della 'ndrangheta. Le indagini testimoniano la «capacità di organizzare importazioni di cocaina dal Sud America, con triangolazioni via mare imprevedibili e modalità di occultamento sempre nuove».
Altra fonte di guadagno è l’estorsione, che vede ora partecipi anche nuove leve criminali. Ci sono poi i tentativi di infiltrazione dell’economia sana, in particolare nella fornitura di energia elettrica, anche da rinnovabili e nei giochi e scommesse.
«La forza della 'ndrangheta - osserva la relazione - risiede nella capacità di coniugare il vecchio e il nuovo, come testimoniano gli atti di violenza ed intimidazione comunque perpetrati, anche se solo come extrema ratio e sicuramente successivi alle altre strategie di convincimento».
Camorra: violenza quotidiana ed eserciti di ragazzi sbandati
In Campania tanti «piccoli eserciti», sovente formati da ragazzi sbandati, senza una vera e propria identità storico-criminale che, da anonimi delinquenti, si sono impadroniti del territorio attraverso «una quotidiana violenza più che mai esibita, utilizzata quale strumento di affermazione e assoggettamento ma, anche, di sfida verso gli avversari». Il dato caratterizzante, rileva la Relazione, «è fornito dall’età dei singoli partecipi, sempre più bassa, non disgiunta dalla commissione di atti di inaudita ferocia, anche dovuta a una percezione di impunità, tanto da indurli a un esordio criminale addirittura da adolescenti».
A Napoli e provincia complessivamente risultano 89 clan (per un numero complessivo di circa 4.500 affiliati) di cui 42 operativi a Napoli e 47 in provincia che interagiscono tra loro in equilibrio instabile e in territori caratterizzati da una densità abitativa elevatissima, dove è più facile - sotto il profilo delle risorse umane disponibili - rinnovare costantemente gli organigrammi dei sodalizi.
Le zone dove è palpabile il persistente stato di fibrillazione tra i vari gruppi sono i quartieri del centro storico di Napoli e le sue periferie: qui si sono susseguiti scontri a fuoco tra passanti inermi, ad opera di delinquenti armati.
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