La crisi della socialdemocrazia e la virata a destra della Germania

Politica | 26 settembre 2017
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La maggior parte dei commenti della stampa italiana sulle elezioni di domenica 24 settembre in Germania si è concentrata su tre filoni: la crescita geometrica degli estremisti di destra dell'AfD, la riconferma della Merkel- pur scesa al minimo storico- come leader della politica tedesca, l'ingresso del roccioso sistema politico-istituzionale teutonico nell'area della incerta governabilità, a far compagnia ai tanto vituperati paesi del Sud Europa, come l'Italia e la Spagna. 

Meno analizzato è stato, invece. il risultato elettorale dal punto di vista della crisi della socialdemocrazia che ha subito una sconfitta che ne segnerà profondamente il futuro. Una sconfitta pesante non solo dal punto di vista dei voti persi, il 5% rispetto all'8,7% della CDU-CSU, quanto per il significato politico che essa assume. Se si consulta la serie storica dei risultati elettorali del partito nel nuovo secolo, si constaterà che il calo è costante: dal 38,5% nel 2002, al 34,2% nel 2005, al 23%0% nel 2009; con la sola eccezione di un incremento del 2,7% nel 2013 nel breve periodo in cui si interruppe la “grande coalizione”. Si tratta quindi di una tendenza di lungo periodo: è stata prima parallela alle vicende del governo socialdemocratico di Gerard Schroeder dopo la vittoria del 1998 che portò il partito oltre il 40% dei consensi, ha poi continuato ad operare nel corso di un'alleanza egemonizzata dalla leader democristiana. Le cause sono molteplici: l'agenda 2010, la riforma sociale che fu fortemente osteggiata dai sindacati e dalla sinistra di Oskar Lafontaine fino all'uscita dal partito nel 2005 del presidente che aveva guidato il partito fino alla vittoria del 1998. 

La vicenda di quegli anni si intreccia con lo sforzo ciclopico compiuto dal paese per completare l'unificazione con i lander dell'Est; sforzo che aveva lasciato la Germania stremata economicamente, socialmente. E dal punto di vista culturale. L'Agenda 2010 incise pesantemente sulla spesa sociale, sul mercato del lavoro e sulle regole per i licenziamenti, sul fisco, sulla formazione professionale. Una riforma che portò ad un duro conflitto con la potente DGB, la Confederazione sindacale che ha tradizionalmente riconosciuto nei socialdemocratici il punto di riferimento politico. Al sorgere dell'astro Merkel i socialdemocratici aderirono, per la terza volta nel dopoguerra, alla grande coalizione dalla quale troppo in ritardo Martin Schultz ha tentato di tirar fuori il partito. Colpisce che dello smottamento elettorale della Spd non traggano vantaggio la Linke che conferma il suo lettorato (+0,3%) e i Verdi in lievissima crescita (+0,7%), mentre è chiaro il flusso del voto conservatore in parte verso il liberali della FDP (+5,6%) e soprattutto gli xenofobi della AfD che crescono dell'otto virgola 3 per cento. Sono di grande interesse i dati pubblicati da Huffpost secondo il quale “ogni 100 elettori dell'AfD 21 provengono da Cdu-Csu, 10 dalla Spd, 6 dalla Linke, tre da FdP e uno dai Verdi. Ad essi vanno aggiunti i 24 che già votavano nel 2013” per la formazione di estrema destra. 

Ancor più sorprendente la distribuzione territoriale del voto. Nei lander dell'ex Germania dell'Est AfD è il secondo partito in assoluto con il 21,5% a pochi punti percentuali dalla Cdu (26,5%). L'analisi va approfondita, ma già questi dati fanno giustizia di una giustificazione semplicistica che circola soprattutto in alcuni ambienti della sinistra nostrana. Se malata fosse solo la socialdemocrazia per colpa delle politiche praticate dal suo gruppo dirigente, quale motivazione avrebbe il travaso a destra di una parte dei voti che la Linke aveva ereditato nell'Est dall'antico insediamento sociale della PDS (il partito post comunista)? Nel pieno della crisi economica e sociale più grave degli ultimi settantanni, una sinistra alternativa ed anticapitalista avrebbe dovuto crescere. In realtà, v'è qualcosa di molto più complesso e profondo: siamo in presenza di una crisi di fondo della sinistra europea, del suo radicamento sociale e della sua capacità di proposta. Il modello socialdemocratico non regge più di fronte al venir meno del compromesso politico ed economico che trovava il suo fondamento nel welfare come luogo di tutela dei diritti dei più deboli e strumento per la lotta alle diseguaglianze. La sinistra post-comunista, che in Germania ha avuto l'onestà di non mascherarsi sotto una diversa ragione sociale, ha sostituito alle ragioni forti della sua visione del mondo un' analisi misticheggiante dei mali della globalizzazione e un ritorno ad una sorta di esaltazione dello stato nazionale, deputato ad organizzare la difesa degli “outsider” contro l'invasione dei poteri sovranazionali, a partire dall'Unione Europea. Entrambe, sinistra socialdemocratica e sinistra antiglobalista, restano orbe di un'indagine approfondita delle mutazioni che la quarta rivoluzione industriale e la pervasività delle Information Communication Tecnologies hanno introdotto nella composizione stessa delle classi sociali.

 I nodi politici sono intricati: le conseguenze dell'impoverimento della classe media e dell'arresto dell'ascensore sociale che aveva caratterizzato i “trenta anni gloriosi” del dopoguerra, la grande questione dell'occupazione dei giovani, il rapporto tra diritti civili e diritti sociali, i limiti dello sviluppo in un pianeta che abbiamo il dovere di conservare alle prossime generazioni, la portata epocale e la difficile gestione delle migrazioni dalle aree povere a quelle ricche del mondo. Socialdemocratici e “rivoluzionari”,insomma, continuano ad analizzare la realtà del 2000 con la “cassetta degli attrezzi” di un Novecento sempre più lontano. La Spd conta ancor oggi 550.000 iscritti: un partito di massa in un'epoca in cui i partiti di massa, espressione delle grandi ideologie che sconfissero il nazi-fascismo, si avviano irrimediabilmente al tramonto. Tuttavia la democrazia e la partecipazione in assenza dello strumento “partito”sono destinate a non essere: è questo il nodo gordiano che la sinistra nelle sue varie versioni non è capace né di sciogliere né di tagliare. Nel frattempo i suonatori di flauti magici tornano a presentarsi alle porte delle nostre città.

 di Franco Garufi

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