La competitività regionale ignorata dai candidati alla presidenza
Non ci torno, ma a pochi giorni dall'apertura delle urne mi pare sia utile capire cosa esattamente la conduttrice di “Mezz'ora in più” stesse chiedendo ai suoi interlocutori. Mi fermerò sulla prima domanda: la competitività regionale. L'Unione Europea pubblica dal 2013 un rapporto sull'indice di competitività regionale (RCI nell'acronimo inglese) che definisce la capacità di una regione di offrire un ambiente attraente e sostenibile alle aziende ed ai cittadini che vi vivono e lavorano. L'indice si basa sulle regioni statistiche NUTS 2 ( “nomenclatura delle unità territoriali statistiche”; il numero si riferisce a territori corrispondente per dimensione e popolazione alle regioni italiane, alle comunità autonome spagnole o ai distretti governativi della Germania)) e si compone di 11 pilastri articolati in tre gruppi. I pilastri di base comprendono le istituzioni, la stabilità macroeconomica, le infrastrutture, la salute e l'istruzione di base. I pilastri dell'efficienza sono l'istruzione superiore, la formazione ed apprendimento permanente, l'efficienza del mercato del lavoro e la dimensione del mercato. I pilastri dell'innovazione: maturità tecnologica, sofisticazione delle imprese, innovazione. Ebbene nell'aggiornamento al 2016 pubblicato il 27 febbraio 2017 la Sicilia compare a paga.159 (rci2016_scorecards.pdf).
Vediamo cosa emerge dalla scheda. La nostra regione ha un punteggio complessivo pari a 15,3 su 100 ed è collocata in graduatoria al 237° posto su 263. Posizione che sale di qualche gradino se si considera il PIL pro-capite che la pone al 217° posto. Per quanto riguarda i pilastri di base i due handicap più evidenti riguardano le infrastrutture (12.83/100) e le istituzioni (16.0/100), mentre assai più in alto sta l'indicatore salute ((83.3/100; 9° su 263). Conviene precisare che stabilità macroeconomica e istruzione di base sono calcolate in base all'indice di collocazione dell'Italia nella graduatoria europea. Nei pilastri dell'efficienza, il rank dell'isola scende addirittura a 256/263: il problema principale è l'efficienza del mercato del lavoro (score10.3/100 posizione 248 su 263), la qualità dell'istruzione superiore e della formazione continua (37.2/100, ma 256/262 nel posizionamento, e la dimensione del mercato (19.9/100 come punteggio, ma posizione di metà classifica 181/262.
Qui stanno i primi due nodi decisivi della vicenda siciliana, che si legano alle questioni dell'emigrazione e della inefficienza della pubblica amministrazione. Il nostro mercato del lavoro è profondamente squilibrato, con almeno due generazioni di giovani fuori dal lavoro e la presenza dilagante di attività irregolari in settori come l'agricoltura ed il terziario. Su questi temi qualunque futuro governo regionale novembre giocherà il proprio destino. Sotto il pilastro dell'innovazione c'è un dato che ha meravigliato anche me. Con buona pace delle Cassandre e dei cantori della Sicilia come landa desolata e deserto dell'impresa, le cose vanno parzialmente meglio di quanto si poteva immaginare. Non c'è da scialare, sicuramente, ma nella dimensione innovativa la Sicilia è 226° su 263 regioni con un punteggio di 21.8/100 che sale al 26.9 con riferimento alla maturità tecnologica ed alla sofisticazione d'impresa; tuttavia essa precipita drasticamente al 16.5/100 se si guarda all'innovazione.
In sintesi dunque la maggiore arretratezza siciliana riguarda la qualità del sistema istituzionale cioè il funzionamento della macchina regionale, la scadente dotazione infrastrutturale, la questione dell'occupazione e della gestione del mercato del lavoro, l'asfittica dimensione del mercato e la scarsa propensione all'innovazione. Se si ha la pazienza di osservare la scheda di analisi comparativa si scoprirà che la nostra situazione è simile a quella delle altre tre grandi regioni del Mezzogiorno e si colloca sullo stesso livello di alcune regioni della Grecia, della Spagna, della Polonia della Croazia e della Slovenia.
Un'osservazione che, a mio avviso, rilancia con forza il tema di una politica nazionale per il Mezzogiorno, ma allo stesso tempo propone con forza la questione del rapporto tra Europa, regioni mediterranee e territori degli ex paesi dell'Est. Evito la fin troppo facile demagogia sull'assenza di questi temi dalla campagna elettorale, ma la realtà ha la testa dura e all'indomani del 6 novembre bisognerà metterci mano.
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