La centralità delle beghe siciliane non ferma l'Europa

Politica | 10 settembre 2017
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Non vorrei disturbare quanti in queste ore si appassionano al dibattito sulla geometria delle alleanze in vista delle elezioni regionali del 5 novembre, ma purtroppo la centralità delle beghe siciliane non ferma il resto d'Europa. E' perciò con voce sommessa che mi permetto di ricordare che è stato pubblicato lo scorso 28 giugno il Documento di riflessione sul futuro delle finanze dell'Unione Europea che costituisce l'ultimo dei cinque documenti che hanno fatto seguito al Libro bianco sul futuro dell'U.E. del marzo 2017. L'argomento, per la verità, non è al centro dell'attenzione neanche nel resto d' Italia, tanto che solo Il Sole 24 ore del 5 settembre scorso vi dedica una pagina. Tuttavia esso è di assoluto rilievo per le conseguenze che potrà determinare sulle regioni del Mezzogiorno italiano e sulla Sicilia. 

Nel dibattito in corso a livello europeo sul futuro dei cosiddetti fondi strutturali, il Reflection paper, pur facendo naturalmente riferimento ai “cinque scenari” disegnati nel Libro bianco (almeno un paio dei quali sembravano prefigurare il superamento delle politiche di coesione) sembra schierarsi per il mantenimento e la riforma di tali strumenti, pur evidenziando la necessità di renderli più efficaci e di facilitarne l'uso. Il documento, che avvia la discussione sul Quadro Finanziario Pluriennale (il cosiddetti bilancio UE), individua quattro elementi di criticità nell'attuale meccanismo della coesione: a) l'aumento dei tassi di cofinanziamento da parte del bilancio UE e la conseguente riduzione del cofinanziamento nazionale hanno ridotto lo sforzo complessivo di investimento; ci si propone di invertire la tendenza calibrando il cofinanziamento nazionale sui diversi paesi e regioni in modo da aumentare la titolarità e la responsabilità; b) la politica di coesione deve meglio prepararsi e reagire a sviluppi imprevisti, crisi e cambiamenti; a tal fine si potrebbe ampliare la flessibilità mediante un incremento della capacità non assegnata e una maggiore flessibilità del fondo di adeguamento alla globalizzazione; 3) occorre semplificare il modello di governance e renderlo trasparente attraverso regole di disimpegno più rigorose, procedure più brevi per chiudere i programmi, maggiore rapidità nella nomina delle autorità di gestione; 4) bisogna semplificare l'attuazione e consentire una programmazione più agevole e flessibile; 5) occorre costituire un unico fondo di investimento in luogo dei cinque attuali, o almeno un unico insieme di norme per i fondi esistenti.. Si tratta di obiettivi ancora di carattere generale che avviano tuttavia la discussione in vista della profonda riforma del modello di funzionamento dei fondi europei di investimento e sviluppo resa ancor più urgente dalla Brexit. 

Si tratterà, per esempio, di capire quale diventerà il meccanismo di assegnazione dei fondi, dato l'orientamento a superare il riferimento esclusivo al PIL e l'attuale divisione tra regioni sviluppate, regioni in transizione e regioni in ritardo. Nei giorni in cui usciva il documento sul quadro finanziario, si è tenuto a Bruxelles il 7° Forum europeo sulla coesione che ha rappresentato la base di partenza per la definizione del modello di coesione successivo al 2020. A tal proposito ha ragione il giornalista del quotidiano di Confindustria a segnalare che uno degli elementi di complessità più visibili risiede proprio nella sostanziale coincidenza tra chiusura definitiva della programmazione 2007-2013 (aprile 2017), gestione del 2014-2020 e avvio della discussione sul futuro dei fondi che ha creato un pesante rischio di ingolfamento di tutte le attività di programmazione, gestionali e di controllo

Tra le novità da segnalare è l'ingresso ufficiale nel dibattito europeo del concetto di “resilienza”, al quale è stato dedicato una sessione dei lavori della Conferenza: la resilienza, com'è noto, è la capacità dei sistemi di adattarsi ai cambiamenti e di gestire le situazioni di rischio, evitando che essi compromettano i processi di crescita e l'equità sociale. Una questione che è diventata decisiva dopo la grande crisi globale. Come ha ricordato nel suo intervento Fabrizio Barca: “Le paure economiche, sociali e normative che hanno prodotto in ogni parte d'Europa una reazione contro le frontiere aperte, contro la diversità e contro il trasferimento di sovranità nazionale hanno una forte dimensione spaziale. Sono cresciute le diseguaglianze all'interno dei paesi e delle regioni. Stanno crescendo i divari tra la popolazione residente nelle aree urbane, nelle città metropolitane, nelle città di medie dimensioni, tra quelli che vivono nei suburbi e coloro che abitano nel centro delle aree metropolitane”.Tutto ciò rende incerto il futuro dell'Europa le cui Istituzioni hanno praticato politiche che hanno deluso i cittadini europei. 

Questi i tre errori principali; aver imposto riforme strutturali cieche alla dimensione dello spazio seguendo il principio “one size fits all”; aver assecondato passivamente le richieste delle grandi imprese ed il meccanismo della compensazione compassionevole. L'agenda per la riforma esposta a Bruxelles dall'ex ministro della Coesione propone cambiamenti radicali nell'impianto delle politiche, a partire però dalla raccomandazione di non cambiare di nuovo le regole introdotte nel 20143 che hanno finalmente creato una piattaforma culturale comune tra quanti negli uffici della Commissione e nei singoli paesi aderenti si occupano di politiche di coesione.

 In particolare lo studioso italiano propone:

a) l'implementazione del potenziale ancora largamente inutilizzato dell'approccio “placed based” (basato sui luoghi) introdotto dalla riforma del 2013 con l'obiettivo di innescare lo sviluppo armonioso e l'innovazione economica, sociale ed istituzionale in ciascun territorio;

b) introdurre regole atte a consentire il public scrutiny, cioè l'esame minuzioso e partecipato a tutti i livelli delle azioni programmate e della loro realizzazione;

c) cambiamenti istituzionali consapevoli della dimensione “spazio”, cioè delle differenze esistenti tra i vari territori,; senza tuttavia indulgere al “local parochialism”;

d) la Commissione deve estendere il suo ruolo pro-attivo (Europen touch) nei territori, acquisendo un ruolo di spettatore intelligente ed imparziale e favorendo la semplificazione e la trasparenza dei meccanismi di gestione;

e) creare un unico fondo strutturale invece dei cinque esistenti o almeno, in una prima fase, creare un'unica direzione competente;

f) centralità delle politiche di inclusione sociale individuando strumenti a dimensione europea come l'assegno per i minori proposto dal defunto studioso inglese Tony Atkinson oppure la creazione di un'assicurazione valida in tutta l'UE contro la disoccupazione;

g) per realizzare il salto di qualità culturale indispensabile alla realizzazione degli obiettivi assumere in tutta Europa 500 giovani intellettuali esperti in sviluppo.

Che non si tratta solo di idee personali dello studioso italiano è testimoniato dalla centralità che la sua relazione ha conquistato nello svolgimento dei lavoro del Forum: siamo di fronte ad una base di discussione politica su cui anche l'Italia dovrà cimentarsi nei mesi a venire ed è assolutamente necessario che i candidati alla Presidenza della Regione abbiano chiara l'importanza di questi temi per la Sicilia.

 di Franco Garufi

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