L'economia criminale salva la Sicilia dalla recessione
L'Istat ridimensiona la crescita del Pil siciliano nel 2015 e 2016 e fa emergere che ben il 19,2% dell'economia regionale è a vario titolo illegale. Provo a distinguere tra queste due notizie per evitare che la sovrapposizione delle informazioni contribuisca ad aumentare la confusuone e a disinrmazione che circolano sull'economia siciliana.
Il primo dato che l'Istat ci fornisce comporta una revisione in negativo dei tassi di crescita del PIL siciliano nei due anni che ci stanno alle spalle. Nel 2015 l'economia siciliana, secondo i dati definitivi pubblicati dall'istituto di statistica era diminuita dello 0,1% invece che cresciuta dello 0,2% come calcolato nelle previsioni della stessa Istat. Una differenza dello 0,3% che, pesa sui fondamentali necessari a costruire il Def (documento regionale di economia e finanza) ma non determina uno spostamento significativo. Il PIL del 2016, anno in cui la crisi era tecnicamente alle spalle, è invece dello 0,9% rispetto al 2,1% delle stime. Stavolta lo scostamento è significativo ed in genere viene interpretato come una conseguenza della scarsa incisività della ripresa occupazionale in Sicilia.
In particolare all'incremento dell'occupazione non avrebbe corrisposto un aumento del reddito a disposizione delle famiglie e dei consumi. In realtà la situazione siciliana appare contraddittoria , come contraddittori appaiono spesso i dati sulla Sicilia proposti dall'Istat. Personalmente introdurrei anche un altro.elemento: 2015 e 2016 sono stati gli anni della rincorsa nella spesa dei fondi comunitari: circa tre miliardi di euro sono stati immessi nel circuito dell'economia regionale ma essi sembrano non aver determinato effetti positivi di crescita. Segno della scadente qualità della spesa incapace di assolvere ad una funzione di leva dell'economia dell'isola. Si tratta di una riflessione utile anche per ripensare e modificare le modalità di utilizzo dei fondi europei e della spesa del cosiddetto.patto per la Sicilia: insomma non solo accelerare l'utilizzo delle risorse, ma anche provvedere alla loro qualificazione.
Francamente eccessivo appare invece l'allarme relativo alle conseguenze della correzione Istat sul bilancio regionale: sarebbe l'ora di finirla con questo giochino del buco quotidiano che sempre più appare come un alibi per rinviate le soluzioni che il governo regionale ha il dovere di proporre.
Assai più significativa è, a mio avviso, la seconda questione: l'economia illegale, informale e le varie forme di economia illegale valgono in Sicilia 14,9 miliardi di euro pari al 19,2% dell"economia regionale. Campania, Calabria e Sicilia costituiscono un triangolo dell'illegalità che pesa come un macigno sul Mezzogiorno e sull'intero paese. Qui si colloca una delle cause principali di una situazione che sembra non trovare via d'uscita e che condanna tre grandi regioni italiane ad una condizione che tronca ogni possibilità di cambiamento. 50 miliardi che sfuggono al fisco, oltre sei miliardi di contributi previdenziali e contributivi evasi, 10 miliardi di economia illegale danno il quadro di un'economia sotterranea che falsa le statistiche e crea una dinamica infernale che spinge verso il basso la componente legale dell'economia. Questo è il nodo che la polirica si rifiuta di affrontare: non ci sarà rinascita della Sicilia se non si affronta con strumenti adeguati l'area illegale dell'economia che sottrae risorse alla crescita e determina condizioni aberranti per la lavoratrici ed i lavoratori coinvolti. Per far ciò bisogna cambiare i paradigmi con cui si affrontano i.problemi e lasciarsi definitivamente alle spalle il vittimismo e lo sterile rivendicazionismo. Basti pensare a cosa significherebbe per le è esangui risorse siciliane recuperare diversi miliardi di evasione fiscale e quanta ricchezza reale verrebbe immessa nel circuito economico . Quando la politica troverà il tempo di occuparsene?
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